— Non temere, piccola mia — le sussurrò. — Ora più nulla potrà toccarti.
Raggiunse una loggia, e un'ampia scala di pietra bianca che scendeva fino ad un cortile pieno di neve; soldati dell'Andiron stavano trascinando giù per la strada mucchi di cadaveri legati l'uno all'altro per affrettare il lavoro. La neve s'infradiciava in rivoli di acqua rossa.
Dinesh si infilò nell'ombra accogliente dei portici di pietra bianca che delimitavano tutta la vasta terrazza al cui centro cresceva l'Albero. Passandogli accanto, tuttavia, si sentì pervadere da qualcosa che di certo non era di questo mondo e che gli gelò il sangue. Si sentì come se stesse per morire, e strinse più forte al petto la piccola; avvertì il suo lieve calore, le sue piccole mani che si erano avvinghiate alla sua giubba, e gli sembrò che un soffio gli toccasse la mente, qualcosa di lieve, come il battere d'ali di una farfalla. Quel qualcosa, qualunque cosa fosse, gli portò consolazione.
Raggiunse una delle scale che salivano senza più guardarsi alle spalle e infine raggiunse la sommità della montagna, e il Tempio, la cui porta era stata scardinata.
Entrò restando sulla soglia, incerto, perché l’edificio, perfettamente circolare, era assolutamente vuoto, tranne che per un cerchio di comuni pietre al cui interno si ergeva un semplice altare. Sopra c'erano soltanto dei fiori bianchi, e un coppa di cristallo di rocca in cui ardeva una viva fiamma.
Non era stato toccato nulla, perché in effetti non c'era nulla da prendere o distruggere, lì: nulla che potesse essere prezioso agli occhi degli uomini.
— Ma dove si può nascondere un bambino di tre anni in un luogo che non ha nascondigli? — sussurrò tra sé Dinesh sgomento, girando intorno al cerchio di pietre.
Imbruniva. Helvdan aveva lasciato il bambino nelle braccia della nutrice ed era tornato sul ponte, lì dove aveva spiato l'appressarsi all'Isola nell'alba di quella giornata che gli sembrava ora senza fine.
Aveva impedito alla sua Regina di accompagnarlo, a dispetto del fatto che molte delle donne che si sarebbero prese cura dei bambini nel viaggio di ritorno ne sarebbero poi diventate le madri effettive, essendo mogli dei suoi nobili e dei suoi capitani. Ma lui non aveva voluto che la sua regina vedesse, nemmeno da lontano, l'Isola; né che potesse percepire l'odore del sangue nell'aria, e lo strazio delle urla, e la paura… la paura che permeava ogni cosa. La sua regina si era piegata alla sua volontà, ma Helvdan non era certo che ne avesse compreso il motivo; forse davvero poteva credere che volesse soltanto farle desiderare più a lungo quel figlio tanto sognato.
— Non si trova! — esclamò Xarshal salendo a bordo, prima ancora di raggiungerlo. — Dinesh non si trova da nessuna parte!
— Che può fare un solo Sapiente contro una nazione? — mormorò Helvdan.
— Mio Re? — replicò Xarshal giungendogli accanto, senza comprenderlo.
— Possiamo dimenticarci di Dinesh. Se è restare tutto solo su un'isola morta ciò che vuole… così sia. Noi partiremo non appena farà giorno. Abbiamo un lungo viaggio che ci aspetta. Vieni a vedere mio figlio, Xarshal! Poi andremo a scegliere suo fratello.
— Suo fratello? — Xarshal non riuscì a nascondere lo stupore dalla voce.
Helvdan sorrise, ma i suoi occhi erano duri. — Io sono il Re. Ho diritto a due bambini. Non posso correre il rischio che un accidente mi privi dell'erede.
Xarshal chinò il capo. — Dove lo sceglierai? Le donne stanno facendo tutto di loro iniziativa… Beathon non è certo il miglior giudice, ma d'altra parte non era previsto che fosse lui a destinare i bambini…
Helvdan alzò a mezzo una mano, a frenare quelle che gli sembravano parole inutili. — Salirò su una delle navi, quella che mi sembrerà giusta sul momento, e sceglierò quello che il mio cuore mi dirà di scegliere… Hai già avuto tuo figlio, Xarshal?
— Non ancora. Arrivo ora dalla città… ho fatto il giro dei quartieri per affrettare i soldati!
— Bene. Allora sceglierai tuo figlio e io lo consacrerò subito, come il più caro dei miei nipoti e sangue del mio sangue.
Xarshal chinò il capo. — Non speravo in tanto onore… Ne fai il primo erede al trono dopo i tuoi figli!
— Così sia — replicò Helvdan, e lo precedette sottocoperta, dov'era il suo alloggio e, subito accanto, quello riservato alla nutrice, una donna già avanti negli anni, ma dallo sguardo limpido, che aveva cresciuto la Regina e che godeva di tutta la sua fiducia. La donna si alzò subito, abbozzando appena un inchino. Essere stata nutrice della Regina le dava una certa confidenza con il Re, anche se questo che era tornato dall'Isola non sembrava lo stesso uomo che dieci anni prima aveva ringraziato il cielo stringendo tra le braccia la sua giovane sposa.
Ma il Re non aveva occhi per lei. Il suo sguardo si posò subito sul bambino che, nel caldo delle coperte del letto, si era addormentato. Helvdan gli posò una mano sulla fronte. Il bambino rabbrividì al freddo di quella mano che sapeva di neve.
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