— Forse la Madre non è benevola con un uomo… e tu sei troppo piccola per potermi aiutare! — esclamò con rammarico.

La bambina era quieta per i suoi anni, ma il suono della sua voce la fece sussultare e si volse nella sua direzione; nella penombra Dinesh vide i suoi occhi brillare come gemme. In quel momento sentì il suono. Meno di un pianto, più di un sospiro.

Proveniva da un punto preciso di là dalla parete, che era di pietra chiara, senza alcun segno, o traccia. Dinesh vi posò sopra le mani, svuotò la mente, e la accarezzò come da lungo tempo non gli accadeva più di accarezzare una donna. La porta si aprì con un soffio, rivelandosi inaspettata e del tutto invisibile ad un occhio impreparato. Lestamente Dinesh sistemò la sua bisaccia in modo da evitare che si richiudesse del tutto. Si affacciò quindi su una sala, e su delle scale che scendevano in altre stanze e fin nel cuore della montagna. La sala era piena di scansie colme di libri antichi, di rotoli, di pergamene. La polvere di molti secoli si era posata sui piani più alti, ma qualcuno nella Città D'oro doveva ancora aver letto i libri delle scansie a portata di mano, perché erano pulite.

— Tutta la sapienza della Terra… quanto sei stato stolto, Helvdan! — mormorò Dinesh, e poi percepì il riflesso di un lume in una stanza oltre la sala, e si affrettò a raggiungerla. Era altrettanto vasta e ingombra di libri, ma c'erano anche tavoli, scrittoi, divani, tappeti, bracieri e lumi. Doveva essere stato un luogo di lavoro. Una lampada su un tavolo, quella che lo aveva attirato, illuminava un divano che era stato affrettatamente preparato con delle soffici coperte per fare da giaciglio ad un bambino.

E il bambino era lì, ed era sveglio. Anche lui aveva occhi color topazio, ma quello ambrato che volge all'oro, e un viso delicato come quello della sorella. I capelli però erano scuri, lunghi, e la lampada li accendeva di caldi riflessi rugginosi. Sorrise, come se la vista di uno sconosciuto fosse proprio quanto si attendeva.

Dinesh si avvicinò con cautela. Ma il bambino non aveva paura di lui.

— Elir? — esclamò il Sapiente, inginocchiandosi per poterlo guardare da vicino. Il piccino annuì, senza distogliere gli occhi dai suoi. Dinesh avvertì quella corrente lieve, antica, profonda, che poteva venire soltanto da una creatura magica.

Gli sfiorò i capelli, sorridendo. — Io sono Dinesh. E mi prenderò cura di te, per un po' di tempo.

Il bambino annuì di nuovo, e Dinesh prese il suo braccio sinistro e sollevò la manica della tunica preziosa che lo vestiva: c'erano dei segni sul piccolo braccio, per tutta la sua lunghezza. Tanti piccoli punti bianchi che spiccavano sulla pelle rosa come se fossero privi di colore, e che tracciavano un disegno compiuto.

— Dunque è vero… — mormorò il Sapiente. — Tu porti la mappa per il Portale!

Elir gli aveva lasciato il braccio senza protestare, e al suo stupore sembrò ridere con lo sguardo.

Il testimone di un'alleanza così antica da essere diventata leggenda stava lì davanti a lui, e Dinesh si sentì prima travolto da quella scoperta, e subito dopo spaventato.

— Di certo niente può essere più allettante per gli uomini che penetrare quel mondo dopo aver devastato questo — ragionò tra sé Dinesh. — Dovrò avere molta… molta cura di te, mio piccolo mago. Tu proprio non dovrai mai essere trovato da quelli come Helvdan! Ora aspetta qui. Vado a prendere tua sorella. Questo mi sembra un buon rifugio, per stanotte…

Dinesh tornò nel tempio e si affacciò un istante sulla porta, ma la neve era ormai così fitta che nemmeno gli incendi qui e là nella città, e i fuochi accesi al porto e alle navi, erano visibili nel buio. Già era alta due palmi sulla terrazza, e aveva cancellato tutte le tracce.

— Bene — rifletté. — Bene per noi, che siamo come morti.

Portò la bambina da suo fratello, trovò il modo di accostare la porta ma non osò lasciarla richiudere temendo di non poterla riaprire dall'interno, e poi si volse a guardare i due bambini, rendendosi conto che lì faceva freddo.

— Avete fame? — fu tutto quello che riuscì a dire, rovistando nella bisaccia. Come si parla ad un bambino di tre anni? Che cosa mangia un bambino di tre anni? E una bimba anche più piccola? Dinesh sorrise appena. — Dovrò fare appello a tutta la mia sapienza, con voi due.

Tuttavia riuscì a far mangiare loro un po' di pane con del miele, e restò a vegliarne il sonno fino all'alba quando, lasciandoli ancora addormentati, tornò ad affacciarsi sulla terrazza del Tempio. La nevicata era cessata. Il cielo era livido, ma pulito, e da quel punto così in alto tutta la città si spiegava ai suoi occhi, assolutamente candida e appena toccata da un brivido rosa, appoggiato dal giorno che sorgeva filtrando, dalle nuvole d'oriente, soltanto uno spicchio di sole.

Le navi di Hasgalen stavano lasciando gli attracchi e le più lontane erano già ben oltre il golfo. Ancora una volta le loro vele gialle, azzurre, verdi e scarlatte erano l'unico colore in un mondo bianco e grigio.

— Per quanto lontano tu possa andare, Helvdan, il ricordo della tua colpa lo porti con te. Ogni volta che guarderai gli occhi di quello che chiami figlio, la tua colpa si poserà sul tuo cuore e lo renderà un macigno. E infine quel peso ti porterà a fondo!

Dinesh mormorò sommessamente il suo augurio, lasciando che il suo respiro corresse sulla neve, giù fino al golfo, a gonfiare le vele delle navi…

— A primavera…. — pensò quindi. — A primavera, quando il mare non sarà più coperto di ghiaccio, anche noi partiremo. Ci sono ancora barche di pescatori alle banchine… Ma fino ad allora l'Isola ci terrà al sicuro. Era conosciuta come l'Isola della Giovinezza… diventerà l'isola abbandonata dove nessuno vorrà più attraccare. L'Isola dei Morti, perduta nel mare d'occidente.

© 2008 by Mariangela Cerrino