Alla fine prese una cotta di maglia della sua misura, uno scudo e una spada larga che, a maneggiarla, gli ricordava curiosamente la sua ascia. Uscì quindi al seguito di un gruppo di soldati e arrivò con loro sopra il bastione della porta est del palazzo, dove già altri difensori si stavano arroccando. Intanto, all'orizzonte, la città bruciava.
- Oh bene, ecco il celebre ammazzaelfi! - disse un capitano, battendogli una mano sulla spalla. - Oggi ci mostrerai quello che vali!
Non fece tempo a rispondere. - Donnole! Donnole! - urlò qualcuno.
Gli uomini donnola avanzavano sulle quattro zampe verso il castello, a una velocità tale da sembrare solo lampi dorati. Gli arcieri scoccarono senza nemmeno prendere la mira, facendo piovere sul loro assalto una tempesta di frecce. La maggior parte delle creature, però, arrivò fin sotto i bastioni e da lì presero ad arrampicarsi per le mura, artigliando la roccia come fosse creta e sfruttando ogni minima sporgenza tra i mattoni. In un attimo a dozzine saltarono sul bastione, in mezzo ai soldati.
- A morte! A morte! - gridò il capitano accanto a Hreon, esortando tutti a combattere.
Gli uomini donnola erano armati di corti pugnali che non stringevano in mano, ma tenevano fissati ai polsi con dei lacci. In questo modo potevano tagliare e lacerare con quelli, ma anche aggrapparsi con le loro piccole dita di predatori, armate di robuste unghie. Hreon li aveva affrontati diverse volte, anche perché infestavano in grande copia le terre dei nani, ma quando provò ad andare contro di loro si accorse di non conoscerli affatto o meglio, di aver disimparato a combatterli.
Erano troppo in basso, troppo lontani, troppo abili nell'appiattirsi e schivare. Lui, di contro, aveva un baricentro che scivolava fuori equilibrio in un niente, era goffo e pesante e la spada sembrava trascinarlo ogni volta che cercava di brandirla. Riuscì a uccidere due donnole quasi per fortuna, perché si erano gettate contro di lui con foga eccessiva, ma dopo quelle fu costretto sempre a indietreggiare di fronte all'assalto organizzato dei nemici, lasciando che altri uccidessero. Stava cercando di guidare un corpo di uomo con la mente di un nano e questo, lo sapeva, lo avrebbe presto ucciso.
Perse l'equilibrio, le donnole cercarono di assalirlo, il capitano corse in suo soccorso e le respinse. - Ragazzo - gli disse poi, mentre ammazzava l'ultima - sei fin troppo intontito dai festeggiamenti, eh?
Hreon stava per rispondere, ma in realtà non aveva la forza di alzarsi. Da terra attirava meno l'attenzione delle donnole e poteva forse sfuggire alla lotta. Non era un atteggiamento onorevole che gli appartenesse, ma ormai non c'era più nulla che gli appartenesse veramente quindi non se ne preoccupò. Stava anzi cercando di trovare un luogo dove nascondersi quando una voce prese a risuonare nella sua testa. Inizialmente gli parve un'allucinazione, un errore del suo cervello che male interpretava i rumori della battaglia, ma, a furia di ripetersi, le parole acquistarono sempre più senso e riuscì persino a riconoscere la voce: - Vieni a me! Vieni a me! - era Ikaress che lo chiamava.
Si alzò in piedi, animato di un eroismo nuovo, che non aveva mai conosciuto. - Principessa! Principessa! - chiamò.
- Stolto! - gli gridò il capitano, abbattendo una donnola. - Non è qui, è solo nella tua testa!
- Come?
Il militare gli rivolse un'occhiata maliziosa. - Sei stato con lei, vero? Non lo sai che Ikaress è una maga? Il sesso con lei è un incantesimo. Ora le appartieni!
La voce nella testa di Hreon era sempre più insistente. - Ma io no... la sento che mi chiama!
- Allora vai! L'ordine della principessa è più importante della difesa del castello! Raggiungila! Nessuno ti fermerà presso le mura interne!
Hreon non riusciva a opporsi all'ordine che sentiva nella sua testa quindi seguì il consiglio del capitano e cominciò a indietreggiare dai bastioni per tornare verso il castello. Nonostante non conoscesse il palazzo di Enniagenda sapeva esattamente dove andare così si mise a correre per arrivarci il più in fretta possibile. Superò le cerchie intermedie delle mura in agilità, ma quando arrivò ai piedi del castello vero e proprio non poté fare a meno di fermarsi.
I Cappi erano tutti disposti intorno al massiccio centrale, una legione di tuniche grige tutte uguali, immobili, con le braccia conserte. Non erano armati e non sembravano intenzionati a combattere, rimanevano lì e basta, fissando davanti a sé.
Una voce, a quel punto, si sovrappose nella sua testa a quella di Ikaress. - Dove stai andando?
La domanda gli arrivò nel cervello con tale forza da fargli male. - La principessa... mi chiama. - disse. Oppure pensò soltanto.
In quel momento degli uomini donnola che evidentemente avevano superato i bastioni apparvero alle sue spalle e, vedendolo immobile e confuso, provarono ad attaccarlo. Qualcosa, però, glielo impedì. Delle ombre scure, che partivano dai Cappi più vicini a lui e crescevano poi fino a prendere forma umana, si scagliarono su di loro e li sollevarono in aria per poi schiantarli al suolo più volte, finché nessuna delle bestie più ebbe possibilità di muoversi.
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