– Lo terrò a mente per quanto riguarda i progetti futuri – ribatté, e potei avvertire la nota di divertimento nella sua voce. Dopo essermi concessa un secondo per verificare lo stato della mia forza di volontà, guardai verso di lui. Quella notte, Ethan indossava jeans e una T-shirt sporca di pittura, e i suoi capelli biondi lunghi fino alle spalle erano raccolti alla base del collo; il suo abbigliamento poteva anche essere casual, ma era impossibile fraintendere l’aura di potere e di assoluta sicurezza che contraddistingueva quel principe fra i vampiri.

Le mani sui fianchi, lui si soffermò a esaminare la sua gente: uomini e donne erano impegnati a lavorare su tavoli e cavalletti, in tutto il prato anteriore. I suoi occhi di smeraldo di spostarono dall’uno all’altro nel valutare i loro progressi, ma le sue spalle rimasero tese, come se non fosse sempre consapevole del pericolo che si annidava appena oltre i cancelli.

In jeans e scarpe da ginnastica, impegnato a osservare i suoi vampiri, Ethan non era meno avvenente di quanto lo fosse in abito formale.

– Come vanno le cose dentro? – domandai.

– Procedono, anche se lentamente. Sarebbe tutto più veloce se ci fosse permesso di far entrare operai umani.

– Non farli entrare ci mette al riparo dal rischio di un loro sabotaggio – gli feci notare.

– Ed evita che un installatore di cartongesso possa diventare uno spuntino – rifletté Ethan. Quando riportò lo sguardo su di me, però, notai che una linea di preoccupazione gli segnava la fronte, fra gli occhi.

– Cosa c’è? – domandai.

Ethan mi rispose con quel gesto che era anche la sua tipica firma… l’inarcarsi di un singolo sopracciglio.

– Ecco, a parte i dimostranti e la costante minaccia di un attacco, è ovvio – aggiunsi.

– Tate mi ha chiamato e ha chiesto di incontrare entrambi.

Questa volta, fui io a inarcare le sopracciglia, perché Seth Tate, Sindaco di Chicago, in genere evitava di avere contatti con i tre Maestri vampiri della città.

– Per quale motivo vuole questo incontro?

– Tutto questo, suppongo – ribatté Ethan, indicando con un gesto i dimostranti.

– Credi voglia vedere anche me perché lui e mio padre sono amici, oppure perché mio nonno lavora per lui?

– Una delle due cose… o forse perché potrebbe essere in effetti invaghito di te.

Levai gli occhi al cielo con sopportazione, ma non riuscii a trattenere il caldo rossore che mi salì alle guance.

– Non è infatuato di me – protestai. – Vuole soltanto essere rieletto.

– Ti garantisco che ha una cotta per te, cosa che non fatico a comprendere. E pensare che non ti ha ancora neppure vista combattere. – La voce di Ethan si era fatta dolce. Speranzosa.

Difficile da ignorare.

Per settimane si era comportato così, mostrandosi premuroso e ricoprendomi di lusinghe.

Questo non significava che non ci fossero momenti in cui era tagliente, perché dopo tutto era pur sempre Ethan, un Maestro vampiro con una Casa piena di Novizi che non sempre lo compiacevano e, a gettare altra legna sul fuoco, c’era il fatto che eravamo quasi alla fine di mesi di restauri. Il lavoro di costruzione non procedeva sempre in fretta a Chicago, e andava ancora più a rilento quando l’oggetto del restauro era una tana di vampiri alta tre piani. Quella tana era una gemma architettonica, certo, ma era pur sempre un covo di creature della notte succhiasangue, bla, bla, bla. Spesso, i nostri fornitori umani si erano mostrati riluttanti ad aiutarci, e la cosa non aveva entusiasmato Ethan.

Indipendentemente dal problema dei restauri, Ethan si stava comportando con me in modo perfetto, ogni sua mossa era quella giusta, però aveva incrinato la mia fiducia. Non avevo smesso di credere nel “per sempre felici e contenti”, ma non ero ancora pronta a fidarmi che quel particolare Principe Azzurro fosse pronto ad allontanarsi con me nel tramonto. A due mesi di distanza, il dolore… e l’umiliazione… erano troppo viva, la ferita troppo fresca.

Non ero tanto ingenua da negare quello che c’era fra me ed Ethan, o la possibilità che il fato ci riportasse insieme; dopo tutto, Gabriel Keene, il capo del Branco dell’America Centro-Settentrionale, aveva in qualche modo diviso con me una visione relativa a un paio di occhi verdi che sembravano quelli di Ethan… ma che non lo erano (sì, lo so, anche la mia reazione era stata un: “che diavolo significa?”).

Proprio come qualsiasi altra ragazza americana, avevo letto libri e visto film in cui “lui” si rendeva conto di aver preso una decisione spaventosamente sbagliata… e tornava indietro, per cui volevo credere che Ethan soffrisse per avermi persa, che il suo rammarico fosse reale e le sue promesse sincere.

Quello però non era un gioco e del resto, come aveva sottolineato Mallory, non sarebbe stato meglio se lui mi avesse voluta fin dall’inizio?