I tuoi romanzi, pur nella varietà degli intrecci e delle ambientazioni, sembrano avere dei minimi comun denominatori. Per esempio: le tue protagoniste sono sempre donne. Da cosa dipende questa scelta?
Dipende dalla letteratura femminista di cui mi nutrivo a quell'epoca. In effetti pensavo che le protagoniste di sesso femminile fossero state usate pochissimo nella letteratura, dunque questo mi aiutava a creare situazioni nuove e trame con una struttura abbastanza nuova. Ma negli Anni Settanta le rivendicazioni delle maggiori teoriche femministe avevano per la prima volta un sapore particolare: mi sembravano tese a migliorare l'uomo, ancora prima della donna, e il femminismo americano era molto legato ai movimenti di liberazione Gay. C'era dunque in me, come scrittore, anche una certa tendenza movimentista. In realtà le mie amazzoni non sono veramente lesbiche, tuttavia ero molto irritato da come la letteratura del ventesimo secolo presentava le lesbiche: personaggi oscuri e malinconici, sempre perdenti. Decisi di farne dei personaggi allegri, ragazze a cui piace viaggiare e cacciarsi in strane situazioni, pronte a ogni esperienza. In seguito passai a protagoniste meno di rottura, come Thally (in "I Computer dell'Apocalisse") e Balthis, ma essenzialmente si tratta di personaggi fatti apposta per mettersi in qualche guaio, delle macchine da trama, nel senso che basta la loro mentalità per costruire la trama in cui finiscono per agire.
Della "magia" tout-court (del sovrannaturale, del trascendente) nei tuoi mondi non pare esserci traccia. Al posto della magia, nei tuoi libri troviamo una scienza sofisticatissima ma (all'epoca della storia narrata) ormai dimenticata e vissuta come feticcio dall'umanità "comune". Eppure il tuo gioco di prestigio (sostituire alla presenza oggettiva della magia, la presenza soggettiva della "mentalità magica") funziona perfettamente: il lettore vive quelle bizzarre tecnologie come se fossero magiche; proprio come il comune uomo di strada di uno dei tuoi mondi. Perché questa "razionalizzazione", dunque?
La magia affascina, ma dubito che convinca. Come ho già detto in un'altra occasione, al mago che pronuncia un incantesimo per fare qualcosa di fantastico, preferisco l'imbonitore con un assistente nascosto dietro la tenda che soffia fumo dentro la sfera magica, o tira i fili per far apparire un mostro di cartapesta. È più divertente. Il genio pazzoide di diecimila anni fa che riesce a costruire un cavallo a vapore, o un drago meccanico capace di volare, fa parte di una trama più terrena, più solida, rispetto a quelle che contengono elfi e stregoni, e credo che questo abbia più presa sulla capacità dei lettori di vivere dentro ciò che leggono. Quando i lettori si trovano davanti alla descrizione di un incantesimo, per quanto divertente sia, secondo me rimangono a osservare la situazione dall'esterno; la loro voglia di credere non diventa del tutto capacità di credere e immedesimarsi.
Pensando ai tuoi scritti mi vengono in mente molte cose: Salgari, Conan il barbaro, i film "erotici" degli anni Settanta, Barbarella, il marchese De Sade, i fasti di Roma antica, il Rinascimento, il paganesimo greco, l'Antico Testamento, gli "anime" giapponesi, i supereroi americani… Che effetto ti fa sentire questa strana dichiarazione? Quali sono i veri materiali da costruzione dei tuoi romanzi?
I personaggi sono tutto. Se ho un buon personaggio e mi sembra abbastanza senza precedenti, la costruzione del romanzo viene da sola. Tuttavia in ogni mio romanzo c'è un tentativo di strutturare la trama in un modo mio particolare. In genere lo costruisco per episodi successivi: ogni capitolo un episodio, e ogni episodio è dotato di inizio, svolgimento e conclusione, come tanti racconti inanellati sul filo della stessa trama. Credo che questo tenga fermo l'interesse del lettore sulla trama generale. Ho sempre avuto la tentazione di sfuggire agli schemi costruttivi tipici del romanzo, ma cercarne altri che abbiano la stessa presa non è facile.
E veniamo a Balthis. Com'è nata nella tua mente questa dodicenne così innocente e così abile nell'arte di arrangiarsi?
Era un tipo di protagonista poco o nulla sfruttato nella letteratura e nei film, almeno nel 1980. Come precedenti potrei citare forse gli scugnizzi napoletani dell'immediato dopoguerra, ragazzini svelti e astuti fatti maturare molto in fretta dalle necessità della vita e dalla miseria. Oppure "Il principe e il povero" in cui abbiamo questa contrapposizione fra le situazioni viste dall'alto e le stesse situazioni viste dal basso. E la visione che ne ha il povero, in questo quadro, è la più intrigante. Balthis è questo: i grandi avvenimenti visti non dagli Dei (i grandi protagonisti che li determinano) ma da una ragazzina inerme che ne viene trascinata in varie parti del mondo. Ovviamente non del tutto trascinata, perché bene o male riesce sempre a mettere ostacoli imprevisti nelle loro manovre.
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