C’era qualcosa di rovente al centro del suo essere.
Era come una sfera di fuoco. Una tempesta di fiamme che bruciava con una potenza inaudita, impossibile da spegnere.
Quel nucleo ardente era l’unica cosa che sentiva Azoleen in quel momento, per il resto era come morta. Non sentiva il freddo, non sentiva la sete e non sentiva nemmeno più il dolore. In quel momento non pensava, non provava sentimenti. Se non fosse stato per quel magma incandescente che le stringeva il cuore, avrebbe potuto non esistere.
Iniziò a nevicare.
I fiocchi di neve cominciarono a depositarsi su di lei. Sul suo corpo magro, sulle sue braccia spezzate, sulla gola tumefatta. Presto ne sarebbe stata sepolta.
Azoleen non si mosse, in quel momento lei non era altro che un nucleo di fuoco al centro di un corpo distrutto. Ma qualcosa le diceva che quel fuoco non si sarebbe spento. Non ancora.
Quel fuoco niente poteva fermarlo, eppure non c’era sollievo, non c’era consolazione o conforto nel sapere questo. Solo la verità assoluta di fiamme altissime.
A lungo rimase così: priva di pensieri e di sensazioni, in quello strano mondo che aleggia senza forma tra la vita e la morte.
Poi qualcosa la toccò su un fianco.
Se ne accorse a stento. Se aprì gli occhi fu solo per riflesso condizionato, non perché le interessasse vedere cos’era. In quel momento non le importava nulla, nulla che non fosse il rogo che le bruciava dentro. Tuttavia vide una sagoma scura stagliata contro il cielo bianco, gonfio di neve.
– Questa è viva – sentì dire.
La voce le arrivava come da un pianeta lontano, come se avesse dovuto attraversare chilometri di ovatta per raggiungerla, e non aveva alcun significato per lei. Richiuse gli occhi.
– È ridotta malissimo – disse un’altra voce. Anche questa pareva aver viaggiato per chilometri, solcato interminabili distese attraverso le quali aveva perduto ogni senso. – Guarda i suoi vestiti, deve aver perso praticamente tutto il sangue che aveva. Per me non conviene prenderla, è troppo rovinata.
– Ma qualcuno che si piglia i catorci c’è sempre. E poi, secondo me, il sangue non è suo, non vedo grosse ferite – rispose la prima voce.
– Non so, mi sembra comunque messa male. Con quelle braccia…
Azoleen non ascoltava, ma sentiva. Era come se le parole le passassero attraverso, e lei le lasciava transitare, senza cercare di trattenerle o di comprenderle.
– Be’, al massimo la diamo da mangiare ai corck.
– Vedi un po’ tu, il carro è il tuo.
Poi Azoleen percepì la prima vera sensazione al di fuori di quell’incendio nel mezzo del petto. Qualcuno le aveva dato un colpo al braccio destro. Un’esplosione di dolore le percorse l’arto fino alla spalla. Emise un gemito.
– Vedi che ancora un po’ di forza ce l’ha? – disse il proprietario della prima voce in tono brillante. – Guarda.
Azoleen gridò mentre una piccola mano le stringeva il braccio proprio nel punto in cui radio e ulna erano stati spezzati. La ragazza sentì una lingua di fuoco, proveniente da quel nucleo di magma che le riempiva il cuore, lambirle i polmoni, poi…
…poi avvenne una cosa strana.
– Sta’ zitta! – sta urlando l’inserviente. La sua voce risuona, leggermente attutita dalla porta dello sgabuzzino. – Quante volte ti ho detto di non gridare?
Lei è una bambina. È piccola, magra, non dimostra più di sei anni anche se ne ha quasi otto. Ha il viso pallido con due occhi immensi e nerissimi a riempirlo quasi tutto. I suoi capelli sono altrettanto neri, tagliati in maniera irregolare da qualcuno che non aveva tempo o voglia di fare un lavoro accurato.
Ora si trova al buio, chiusa in uno sgabuzzino, in punizione. Non è la prima volta e certamente nemmeno l’ultima.
– Fammi uscire! – piagnucola.
– No! – sbotta l’inserviente. – Te lo sei meritato: lo sai cosa dicono le regole dell’orfanotrofio sui litigi!
Lei, nel buio, prova la sensazione di subire un’ingiustizia. Una sensazione che le è terribilmente familiare.
– Ma ha iniziato Agaroo! – urla. – Io mi difendevo soltanto!
Sente l’inserviente fare un piccolo sbuffo di insofferenza.
– Non c’entra chi ha iniziato – dice la donna col tono di chi impartisce un saggio insegnamento. – Fare a botte è sempre sbagliato.
– E allora – chiede lei, il cuore stretto come da una mano invisibile – perché non è in castigo pure Agaroo?
Fuori dalla porta l’inserviente sbuffa di nuovo: sta perdendo la pazienza. Finisce sempre così quando insiste, lo sa molto bene.
– Adesso piantala! – dice infatti la donna. – È così e basta. Tu ti meriti di stare lì dentro, punto. – Ha abbandonato il tono saggio, che del resto non le si addice affatto, e sta praticamente gridando. – E dovresti ringraziarci se poi ti tiriamo fuori, invece di fare domande!
Lei sente i passi dell’inserviente che se ne va; aspetta qualche secondo, trattenendo il fiato. Poi scoppia a piangere.
Azoleen rimase pervasa dalle sensazioni che quella memoria le aveva provocato. Era stata molto diversa da un comune ricordo.
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