– Un nome… – ma non finisce la frase, perché dal rumore di passi che si allontanano capisce che Magdalala è andata via. Un nome empio? Cosa significa empio? E perché Azoleen è un nome empio? Non sa cosa pensare. Forse Magdalala voleva dire ampio. Ma Azoleen non è poi così ampio. Meno di Magdalala, comunque.
Il carro sobbalzò e Azoleen serrò i denti per non gridare, ma non le fu poi così difficile trattenersi. Portare tutta la propria attenzione sul fuoco era facile, le veniva naturale. Era come se quell’incendio calamitasse il suo spirito e, visto che questo le permetteva di non prestare attenzione alle ossa rotte, lei non si opponeva di certo.
Il fuoco la sprofondava in un’altra dimensione, la guidava verso i ricordi e pareva nutrirsene. La riportava indietro, e lei si lasciava trasportare.
Anche se quei ricordi non erano molto gradevoli, erano sempre meglio delle schegge d’osso che le trapassavano le braccia.
Rivisitare un passato remoto, per quanto infelice, era sempre meglio che permettere alla propria mente di analizzare cosa le stava accadendo in quel momento e, soprattutto, cosa le era appena accaduto.
– Posso fare una domanda? – chiede, mentre una delle inservienti la sta tirando per un braccio per farla uscire dallo sgabuzzino.
– Falla – grugnisce questa, guidandola lungo il corridoio.
Lei si lascia trascinare, incespicando nel tentativo di stare al passo, gli occhi chiusi, accecati dalla luce.
– Azoleen vuole dire qualcosa? – chiede.
– Era il nome della figlia prediletta del fondatore di questo orfanotrofio – risponde la donna senza dilungarsi.
Lei resta qualche secondo in silenzio, come ad assorbire l’informazione, poi esita, soppesando se può azzardarsi a chiedere un’altra cosa: lì le domande non sono ben viste.
– Posso fare un’altra domanda? – chiede alla fine, cercando di ottenere una vocina accattivante.
L’inserviente grugnisce di nuovo e la bambina, interpretandolo come un sì, si affretta a domandare:
– Cosa vuol dire empio?
– Vuol dire malvagio, colpevole, peccatore – risponde la donna.
Lei non capisce: qualcosa le sta evidentemente sfuggendo.
– E perché Azoleen è un nome empio? – chiede d’impulso.
L’inserviente si ferma di botto e le strattona il braccio fino a portarsela di fronte. Lei cerca di decifrare l’espressione della donna, ma attraverso le palpebre ancora socchiuse non vede altro che luce accecante.
– Come ti salta in mente di dire una cosa del genere? – sbotta la donna adirata.
Lei, preoccupata, gli occhi ancora abbagliati, non sa cosa dire.
– È Magdalala che l’ha detto! – cerca di difendersi.
Lo schiaffo la coglie completamente di sorpresa e le si stampa sulla guancia con uno schiocco. Il dolore arriva subito dopo, bruciante. Poi l’inserviente la strattona e comincia a trascinarla nuovamente verso lo sgabuzzino, dove la richiude.
Ora è di nuovo al buio. La guancia le brucia e una macchia rossa è impressa nelle sue retine.
Azoleen scoprì che certi ricordi funzionavano meglio di altri nel distrarla dal dolore. Erano più avvolgenti, la proteggevano con più efficienza dal presente.
Questo era andato a meraviglia. La sfera di fuoco ruggiva più furiosa che mai, e quanto alle braccia spezzate, avrebbe potuto non averle affatto. Non sarebbe nemmeno riemersa dai ricordi se due piccole mani rugose e mollicce non le avessero toccato il volto.
Aprì gli occhi. Aveva la vista offuscata e nella penombra distinse a malapena una piccola figura coperta di stracci, china su di lei.
– Ti ho portato da bere, Fiorellino – disse la stessa voce che aveva sentito quando giaceva sotto la neve.
Azoleen non provò nulla per quella creatura, né rabbia per il sarcasmo con cui le si rivolgeva, né tanto meno gratitudine. Pareva che nel suo petto non ci fosse altro spazio se non per l’incendio che le divampava nel cuore. L’essere non parlò più, si limitò ad aprire con malagrazia la bocca di Azoleen e a versarci dentro un po’ d’acqua. La ragazza sentì il liquido scorrerle sulla lingua secca e tentò di deglutirne un po’. Tossì, e le scosse le inflissero un paio di stoccate di insopportabile dolore. Emise un gemito mentre fitte atroci le partivano dalle braccia e si dipanavano per tutto il suo corpo. Azoleen credette di morire, era insopportabile. Strinse i denti ed ebbe un conato di vomito. – Ehi, sei proprio un relitto – sbottò la creatura con tono divertito. La ragazza sentì la sfera di fuoco scaldarsi di nuovo e bruciare nel centro perfetto del suo essere. Come sommerso dal montare della marea, il dolore passò subito in secondo piano.
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