"L’Uomo in Nero fuggì nel deserto, e il Pistolero lo seguì."
[La Torre Nera, vol 1-7]
La Torre Nera di Stephen King costituisce uno degli esempi più singolari di serie fantastica transmediale ideata negli ultimi decenni, per ambientazione, sviluppo e struttura: otto romanzi, un racconto, otto miniserie a fumetti, il gioco online Discordia e moltissimi collegamenti con altre opere dell’autore, dove compaiono integrazioni alla trama principale. E’ difficile stabilire l’arco temporale “dentro” e “fuori” la storia: nell’universo Dark Tower il “quando” e il “dove” non sono sempre perfettamente definiti e lo svolgimento dell’opera, iniziato nel 1982, non sembra ancora terminato.
Le fonti ispirative
La storia di Roland Deschain, dei suoi compagni e del Medio-Mondo nasce negli anni sessanta con un film e un volto. Il film si intitola Il Buono, il Brutto e il Cattivo, il volto è quello del “Biondo”, Clint Eastwood.
Il più famoso degli spaghetti –western di Sergio Leone lascia il segno: nel nostro caso, un giovane Stephen King vede la pellicola in un cinema semi-deserto di Bangor, nel Maine, e ne resta folgorato. Nell’introduzione alla nuova versione di L’ultimo cavaliere (2003) intitolata Sull’avere diciannove anni, King scrive: “Prima ancora di essere arrivato a metà, capii che quello che volevo scrivere era un romanzo con la magia di Tolkien e, come scenario, il West quasi assurdamente maestoso di Sergio Leone. […] Su uno schermo cinematografico, Clint Eastwood sembra alto sei metri e le canne delle pistole sono grandi più o meno quanto l’Holland Tunnel.”
L’ambientazione della Torre Nera nasce quindi con un imprinting assolutamente particolare: il West – si può essere più americani di così? – percorso da una quest alla Tolkien, dove la Compagnia dell’Anello è sostituita dal Ka-tet dei Pistoleri e al posto di elfi, nani e mitologia norrena troviamo saghe arturiane e l’atmosfera postapocalittica – perfettamente compatibile con le ansie moderne – della Waste Land di T.S. Eliot.
Il risultato, come era nei desideri dell’autore, è un lungo, lunghissimo romanzo sia epico sia popolare, destinato a trasformarsi in una sorta di “metatesto”. Il protagonista è un alto, laconico, micidiale pistolero alla Eastwood, bruno e maniacale come forse lo stesso King a vent’anni.
Ma non è tutto. Alla nascita di Roland concorre un ulteriore elemento: il poemetto di Robert Browning intitolato Childe Roland alla Torre Nera giunse, opera derivata da un intricato complesso di poemi cavallereschi, tragedie shakespeariane e fiabe del folklore anglosassone. Le immagini più significative di quello che Browning afferma essere un proprio incubo restano impresse nell’immaginario creativo di King, che le trasferisce nella sua saga: il cavaliere Roland, il suono del corno da guerra, i fantasmi dei compagni morti, la resa dei conti davanti all’obiettivo della lunga quest, la Torre Nera.
Roland, la Torre e il Ka
Roland Deschain è l’ultimo paladino della stirpe di Eld (fondata dal semi-mitico Arthur Eld) al servizio di un’entità positiva chiamata Il Bianco. Il suo è un ordine western-cavalleresco i cui appartenenti sono chiamati Pistoleri (Gunslingers) e posseggono le rarissime pistole – tramandate di padre in figlio – ereditate dal Tempo-che-fu. Il compito di Roland consiste nel salvare ciò che resta del suo mondo dal piano diabolico del Re Rosso; per questo deve raggiungere e proteggere la mitica Torre Nera, dove il grande nemico risiede per distruggerla. Uno dei servi del Re Rosso è colui che appare nella prima frase del primo libro: l’Uomo in Nero.
Roland ha i tratti tipici dell'anti-eroe: protagonista indiscusso dell’intera saga, possiede difetti e fragilità umane ma anche grinta, è disilluso nei confronti della società che lo circonda e spesso cerca riscatto o vendetta più per soddisfazione personale che per il bene della collettività. Ha una propria etica votata al bene ma, molte volte, a differenza del classico eroe tragico, non sceglie ciò che è moralmente giusto bensì ciò che serve i suoi fini: le sue caratteristiche – per esempio il cinismo e la violenza – lo avvicinano a quelle del “villain” ma sono temperate da tratti più umani, persino nobili, anche se le motivazioni “alte” vengono perseguite secondo la filosofia “il fine giustifica i mezzi”. Una morale assai complessa quindi, di frequente contraddittoria e caratterizzata dal rifiuto di valori tradizionali, che porta il nostro anti-eroe a macchiarsi di colpe e a doverle espiare.
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