Nello svolgimento della saga, il termine Medio – Mondo ha assunto un significato più generale, sostituendosi a quello di Tutto – Mondo: per Medio – Mondo si intende quindi l’intero mondo di Roland, l’unico nel quale la Torre esiste fisicamente e dal quale è possibile entrarvi.
La distopia e il postapocalittico
Lo scenario in cui per la prima volta incontriamo Roland Deschain è un mondo “andato avanti” e svuotato di tutto, principalmente di vita: deserti e praterie spoglie dove l’unica cosa che cresce è l’erba diavola, sentieri semi scomparsi sotto un sole che non sempre sorge a ovest e spesso tramonta a sud est, masserie abbandonate e pochi sparuti abitanti di confine. Non solo il mondo fisico sembra cadere a pezzi ma anche il confine fra vita e morte, fra reale e irreale: il Pistolero viaggia in luoghi infestati da demoni del presente e del passato. Le città sono in rovina, con abitanti segnati da malattie e alterazioni (Tull), infestate da esseri anomali (Eluria), simili a incubi postatomici (Lud), sterminate da terribili pandemie create in laboratorio (Fedic), caratterizzate da nascite deviate (Calla Bryn Sturgis, Hambry). Gilead della Baronia di Nuova Canaan, luogo di nascita di Roland, ha l’aspetto di una città medievale fortificata dove antichi macchinari e persino la luce elettrica a volte funzionano ancora. Ma, come sappiamo, si tratta di una città-che-fu già all’inizio della storia.
La distopia di questa ambientazione ha una matrice degna dei migliori scenari da fine del mondo: l’Imperium dei Grandi Antichi, forte e potente circa tremila anni prima degli eventi della saga, è stato responsabile di esperimenti magico –tecnologici aberranti dai quali è derivata una catastrofe planetaria. Guerre nucleari, biologiche e chimiche, armi di distruzione di massa e qualcosa di “altro” ancora più terribile hanno posto drammaticamente fine al Prima. Ciò che sopravvive è una società feudale con resti tecnologici spesso più pericolosi che utili, vaste terre contaminate, generazioni di mutanti umani e animali, creature magico-demoniache, intelligenze artificiali quanto mai inquietanti.
Il Medio – Mondo possiede infatti varie eredità dei Grandi Antichi, per la maggior parte equivalenti alla spazzatura aliena raccontata in Roadside Picnic di Arkady e Boris Strugatsky: rottami incomprensibili, campi petroliferi abbandonati, hangar arrugginiti, qualche macchinario a stento funzionante, antichi laboratori (i Dogan) dove magia e tecnologia ancora coesistono. I cardini della realtà, i Vettori, sono stati contaminati e gli ultimi due superstiti (Orso e Tartaruga) sono prossimi a infrangersi, mentre i dodici portali alle loro estremità – altrettanti passaggi verso mondi paralleli – sono presidiati da animali-cyborg malati e impazziti.
Questi elementi distopici compaiono già nel primo volume della saga, L’ultimo cavaliere, vengono ampliati con forza nei successivi La chiamata dei tre e Terre desolate, li ritroviamo costanti fino al settimo volume: ne risulta un’ambientazione in cui accanto all’elemento fantasy/magico è evidente quello postapocalittico.
Il western
Il sapore iniziale è quello del Vecchio West americano ma il retrogusto che affiora è inquinato da elementi gothic: abbiamo un cowboy pistolero simile a un cacciatore di taglie, ma l’uomo che insegue è un negromante. Tull è la classica città western, poche case con una strada in mezzo, ma i suoi abitanti hanno indubbiamente qualcosa di strano: almeno uno di loro è uno zombie. Nel saloon, fra ubriachi e prostitute, il pianista non suona Oh Susannah! bensì una versione modificata di Hey Jude dei Beatles. Anche la Stazione di Posta, punto nodale della narrazione, rispetta i cliché ma al suo interno troviamo una pompa idrica in acciaio perfettamente funzionante (energia atomica?), i viaggiatori che ci arrivano provengono in genere da altri mondi e sono morti almeno una volta.
In sostanza, nei primissimi volumi la storia di King ricalca la formula di Browning, ma al posto di un poema romantico-dark abbiamo un western- dark: l’ibrido nato da un genere ormai vecchio innestato nelle terre irrazionali del fantastico, dove gli ideali di un tempo sono definitivamente sbiaditi e sostituiti da altro.
Nella prosecuzione della saga quest’atmosfera purtroppo si perde. Nel IV volume troviamo ancora una scenografia vagamente texana, ma poi King cambia tono, passa ad ambientazioni improntate più sull’azione, inizia a saltare fra mondi ed epoche, mette se stesso nella storia come un deus ex machina: si capisce in modo chiaro che ha voglia di dire tutto quello che resta non importa come, e di finire la storia.
Il fantascientifico
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