Thorin sits down and starts singing about gold.
Se avete riconosciuto questa frase, riconoscerete anche l'immagine alla sinistra.
In questi giorni è nelle sale Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato, primo dei tre film che Peter Jackson ha tratto da Lo Hobbit: la riconquista del tesoro, romanzo di J.R.R. Tolkien pubblicato ormai 75 anni fa.
Della storia di questo film e dei successivi avete già letto molto sulle pagine di FantasyMagazine, non è scopo di questo articolo riepilogare quegli eventi.
Prima di approdare al cinema però Lo Hobbit ha avuto una lunga vita editoriale, essendo stato pubblicato per la prima volta nel 1937, subito con grande successo.
Ma oltre che essere un romanzo di grande importanza nell'opera tolkeniana, il primo ad essere pubblicato, anche se non il primo ad essere stato scritto, a narrare della favolosa Terra di Mezzo, è anche un'opera di grande rilevanza nella cultura popolare anglosassone.
Delle influenze più o meno indirette potremo parlare in altra sede, quello su cui oggi mi preme soffermarmi è una particolare trasposizione multimediale del romanzo.
È del 1982 l'uscita dell'adventure game The Hobbit, prodotto dalla Beam Software per ZX Spectrum, C64 e poi per più o meno tutti gli standard a 8 e 16 bit dell'epoca.
Gli adventure game sono una categoria di videogiochi che permette, mediante l'esplorazione di luoghi e la risoluzione di enigmi, di vivere una sorta di romanzo o film interattivo. All'epoca in realtà l'esperienza era molto più simile a un romanzo perché l'interazione avveniva mediante comandi testuali composti da frasi molto semplici nella forma VERBO+OGGETTO come PRENDI BACCHETTA, o USA BACCHETTA o VAI EST e così via. Erano praticamente nulli i giochi in lingua italiana, pertanto i comandi erano tutti in inglese.
La descrizione degli ambienti di gioco agli inizi era tra l'altro completamente testuale. Pertanto la tipica schermata del gioco era appunto composta da un brano di testo, che esponeva più o meno quello che il designer riteneva utile ad aiutare il giocatore.
Altri particolari potevano essere rivelati solo se il giocatore digitava il giusto comando, es. EXAMINE WINDOW, in tal caso poteva esserci una descrizione dettagliata della finestra o di quello che si vedeva da essa.
Nei primi anni '80 gli home computer consentivano di elaborare rudimentali immagini. Le potenze di calcolo erano considerate abbastanza elevate e le capacità di 48K RAM o 64 era ritenute più che sufficienti per sviluppare giochi migliori.
Per realizzare un gioco che fosse all'altezza della fama dell'opera tolkeniana, i produttori misero in campo il lavoro di diverse professionalità.
Per la prima volta vennero aggiunte immagini alle didascalie relative ai personaggi e ai luoghi del gioco.
Queste furono realizzate a partire dai disegni dell'artista Kent Rees. Nella versione per Spectrum venivano elaborate e disegnate al momento, visto che tutto il gioco veniva caricato in memoria tramite cassetta. Nelle versioni per altri computer dotati di floppy disk (C64, Apple) erano invece delle bitmap già memorizzate sul supporto.
A disporre di una immagine erano 30 locazioni su 80, ma a tutti gli effetti i luoghi principali erano coperti.
L'altra importante innovazione fu data dalla modalità di interazione. Il semplice parser verbo+oggetto fu considerato troppo elementare e venne sviluppato un geniale sistema che consentiva al giocatore di digitare frasi con aggettivi e avverbi, nonché di impartire comandi multipli. Tale sistema costituiva in realtà un vero e proprio linguaggio, chiamato Inglish, ideato da Stuart Richie. e consentiva di scrivere frasi complicatissime come "ask Gandalf about the curious map then take sword and kill troll with it",
Non meno importante, anzi fondamentale per la riuscita del gioco, fu l'algoritmo di Veronika Megler che calcolava per oggetti e personaggi del gioco peso, dimensioni e livello di solidità. Talvolta non era possibile per più personaggi essere nello stesso ambiente, perché troppo piccolo.
Gli oggetti potevano quindi essere collocati all'interno di altri oggetti, legati insieme con una corda, danneggiati o rotti. Se il personaggio principale era seduto in un barile che veniva poi raccolto e gettato in una botola, il giocatore finiva nella botola. Era infatti uno degli enigmi da risolvere.
Nel gioco in pratica non c'era una vera distinzione tra cose e oggetti, tutto poteva diventare un oggetto. Se un nano moriva lo si poteva usare come arma. Negli adventure fino a quel momento realizzati ogni oggetto o personaggio aveva una funzione precisa, una sola combinazione verbo+sostantivo valida, e non rispondeva ad altri comandi. In The Hobbit era possibile provare tutti i verbi su tutti i personaggi o oggetti, fornendo una esperienza di gioco enormemente accresciuta rispetto agli standard dell'epoca.
Megler fu ingaggiata da Alfred Migrom, fondatore della Beam Software, per scrivere "il più grande gioco di avventura mai realizzato". La giovane programmatrice però non aveva alcuna esperienza nel design di giochi, né di altro giochi di avventura, a parte il classico Colossal Cave, al quale aveva avuto accesso presso l'Università di Melbourne, dove nei tardi anni '70 si era iscritta per studiare statistica. Lì però, dopo aver messo mano ai computer, si rese conto di essere più portata verso l'informatica e quindi cambiò indirizzo di studi, per conseguirre la laurea relativa.
Stiamo parlando dell'epoca delle schede perforate, ma già molte cose stavano cambiando. All'inizio del suo secondo anno seguì un laboratorio di programmazione durante il quale conobbe Philip Mitchell. Entrambi entrarono nel mondo della programmazione dei giochi rispondendo all'annuncio di Migrom. Selezionata per prima, la Megler "raccomandò" il suo amico ed entrambi diventarono gli impiegati due e tre della neonata Beam Software.
Con il sistema della Megler, Mitchell concepì una trama di gioco nella quale in pratica non sempre esisteva una sola soluzione agli enigmi. Per esempio Gollum lo si poteva affrontare nella sofisticata gara di indovinelli, oppure uccidere in modo sbrigativo. La scelta influiva solo sul punteggio finale, che nel secondo caso era più basso.
Il giocatore impersonava Bilbo, ma interagiva con Thorin, Gandalf, Gollum, Smaug, Beorn, Elrond e Bard. Talvolta si rendeva necessario attendere che il sole si levasse per entrare in un luogo, magari per evitare di essere mangiati dai troll, che in questo caso si trovavano pietrificati.
In ogni caso una utile guida al gioco era il romanzo stesso che era allegato in edizione tascabile. Anche se c'è da dire che per riuscire nel massimo punteggio bisognava risolvere enigmi che non erano contenuti nel romanzo.
La Terra di Mezzo era poi un posto pericoloso, pertanto si poteva morire, pertanto bisognava salvare i progressi ottenuti, pena dover ricominciare daccapo quando si veniva uccisi.
Il gioco, commercializzato con l'etichetta Melbourne House, fu un enorme successo. Vendette centomila copie nel suo primo anno di commercializzazione e un milione di copie complessive alla fine degli anni '80, in tutte le versioni in cui fu convertito. Nel 1983 si aggiudicò il Golden Joystick Award come migliore gioco di strategia.
Un best seller fu anche A Guide To Playng The Hobbit, un manuale scritto da David Elkan per aiutare i giocatori a completare il gioco. All'epoca non esisteva internet e i giocatori si scambiavano pareri su come proseguire il gioco sulle riviste cartacee.
Sull'onda di tale successo, dopo la cancellazione di un progetto di seguito apocrifo, ossia non ispirato agli scritti di Tolkien, intitolato Where Hobbits Dare, furono ovviamente messe in cantiere le trasposizioni di Il Signore degli Anelli.
I tre giochi, denominati Lord of The Rings: Game One, Shadows of Mordor: Game Two of Lord of the Rings e The Crack of Doom, adattavano rispettivamente La Compagnia dell'Anello, Le due torri e Il ritorno del Re.
Come il loro predecessore, i giochi vennero proposti in abbinamento ai rispettivi libri.
Il primo titolo permetteva di giocare con i personaggi di Frodo, Sam, Pipino e Merry. Il secondo si concentrava sul percorso di Frodo e Sam verso Monte Fato, con Gollum/Smeagol come personaggio non giocante. Del terzo l'unico protagonista era Sam.
Ma nonostante l'uso dell'Inglish e di una grafica migliorata i successori, pur se concepiti da Philip Mitchell non riuscirono a ripetere la magia di The Hobbit, sia in successo di pubblico che di critica. In particolare gli enigmi vennero considerati poco logici e non venne gradita la semplificazione del meccanismo di gioco, con l'abolizione dello scorrimento del tempo. Il terzo titolo della serie fu addirittura pubblicato solo nel mercato nordamericano e in Australia, e non giunse mai in Europa. In effetti sul mercato europeo il terzetto composto da The Hobbit, LOTR Game One e Shadows of Mordor fu poi commercializzato come The Tolkien Trilogy, mentre il ciclo dei tre giochi successivi arrivò negli USA e Australia come The Tolkien Software Adventure Trilogy.
A tutti gli effetti The Hobbit non fu mai ufficialmente distribuito negli Stati Uniti, a causa di problemi sui diritti delle immagini alle quali il gioco era ispirato.
Un successo fu invece Sherlock che riusò l'Inglish e tutti i concetti di game design di The Hobbit in modo più efficace, trasponendo in modo divertente le avventure dell'investigatore di Arthur Conan Doyle.
La Beam Software produsse altri titoli di successo dell'era dell'home computer, come il picchiaduro The Way of Exploding Fist, transitando poi nell'epoca delle console con il nome Melbourne House. Nel 1999 fu acquisita dal colosso Infogrames (gruppo Atari), fino al 2006, quando fu rivenduta ai Krome Studios, che continuano tuttora l'attività producendo giochi per console, tra i quali parecchi titoli dell'Universo Espanso di Star Wars.
Se voleste provare l'esperienza di gioco grafico testuale, il gioco è disponibile non solo nei siti di AbadonWare, ma esiste anche una applet che consente di giocarlo direttamente dal browser.
Esistono persino dei video su youtube che ne mostrano il gameplay (allego in fondo all'articolo la versione ZX Spectrum, quella che giocai a suo tempo). Cercando bene con google, abbondano le soluzioni complete disponibili.
Se qualcuno ha perso del tempo per simili iniziative significa che siamo ancora in tanti a ricordare con nostalgia quel gioco che, con limitate tecnologie, consentiva di vivere immersi nel mondo tolkeniano con un grado di immedesimazione che pochi altri titoli, pur più evoluti, hanno raggiunto successivamente.
Ma questa è un'altra storia…
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