Le cronache del ghiaccio e del fuoco sono nate come una serie di romanzi. Tutto quello che ruota intorno alla storia di George R.R. Martin, merchandising, serie televisiva e graphic novel, è arrivato dopo, e anche se si tratta di un fatto risaputo non per questo è meno importante.
Una graphic novel nata come tale fin dall'inizio ha i suoi propri tempi, le sue strutture e le sue regole. Un adattamento si basa su qualcosa di preesistente, in questo caso un'opera di narrativa, e non è detto che i tempi coincidano o che le varie situazioni possano essere trasposte tanto facilmente.
A Game of Thrones vol. 1 raccoglie i primi sei fascicoli della graphic novel, corrispondenti a poco più di un quarto del romanzo su cui è basato. In teoria ciascuna opera dovrebbe essere valutata autonomamente, ma il confronto è comunque inevitabile, anche perché la maggior parte dei lettori di questa versione della storia conoscono già quella di partenza.
Rispetto al romanzo ci sono tre differenze sulla sequenza dei capitoli dovute alla necessità di presentare una porzione significativa della storia in ciascuno dei fascicoli che hanno costituito la prima pubblicazione. Nel primo caso l'inserimento di un capitolo di Daenerys alla fine del terzo fascicolo al posto di uno di Jon, che diventa il primo del quarto, non crea alcun tipo di problema, anche perché le due storie sono lontanissime fra loro a livello geografico e non hanno alcun tipo di contatto. Discorso analogo per l'anticipo di un altro capitolo dedicato a Daenerys proprio a fine volume, che fa slittare a pagine non ancora pubblicate due capitoli dedicati a Tyrion e Arya. Meno convincente è l'anticipo di un capitolo dedicato a Catelyn nella quinta sezione che determina un semplice slittamento all'interno dello stesso fascicolo di due capitoli dedicati a Eddard e Bran. In questo modo si perde la continuità degli eventi visti nel romanzo prima con gli occhi di Sansa e poi con quelli di suo padre e si anticipano troppo le vicende di Catelyn, creando qualche difficoltà nella cronologia degli eventi.
Se questo fosse l'unico problema della sceneggiatura firmata da Daniel Abraham, amico e collaboratore di lunga data di Martin, avremmo comunque potuto avere un buon prodotto. Invece quest'opera non convince su più fronti, a cominciare proprio dall'adattamento.
La sezione di romanzo trasposta in questo volume e il volume stesso hanno quasi la stessa lunghezza, con la graphic novel più corta solo di una ventina di pagine. Eppure il testo risulta enormemente compresso, al punto che la storia sembra procedere a scatti.
Questa non è la prima storia delle Cronache del ghiaccio e del fuoco sottoposta a un simile cambiamento di forma artistica. Era già successo sia a The Hedge Knight che a The Sworn Sword, i primi due racconti dedicati a Dunk ed Egg, sceneggiati da Ben Avery e arrivati anche da noi con i titoli Il cavaliere errante e Spada Giurata. Avery era stato più fortunato, aveva avuto a disposizione uno spazio maggiore per sviluppare le due storie, con una cinquantina di pagine in più rispetto al testo di base, ma la sua impostazione era comunque stata molto diversa.
Posto che Martin è uno scrittore molto visuale, e che si sofferma a lungo nel descrivere ogni singolo dettaglio della scena che sta rappresentando, tutte queste pagine possono essere condensate in un'illustrazione molto dettagliata, come infatti avviene. Però George dedica parimenti molto spazio ai dialoghi, ai monologhi interiori per chiarire lo stato emotivo dei suoi personaggi, o ancora a una minuziosa ricostruzione di molti elementi apparentemente marginali come i rapporti fra le varie figure che presenta o i ricordi di eventi passati. Tutte cose che qui spariscono.
Se Avery usa didascalie molto lunghe, che rendono la lettura un po' più lenta rispetto alla maggior parte dei fumetti ma trasmettono bene l'atmosfera della storia di Martin e fanno capire motivazioni nascoste e retroscena, Abraham preferisce ridurle al minimo affidandosi principalmente alle immagini. In questo modo però molti passaggi risultano così abbreviati da divenire di difficile lettura e la fluidità della storia, che in teoria sarebbe dovuta aumentare, diminuisce. Il lettore si trova davanti tante piccole scene staccate e deve soffermarsi per i necessari collegamenti mentali, non sempre di facile intuizione.
Per un lettore che già conosce la storia si tratta di un piccolo fastidio che rende difficile l'immedesimazione, per un lettore nuovo a volte possono esserci davvero problemi di comprensione degli eventi.
Un altro problema è dato dalla sequenza dei punti di vista. Martin scrive ciascun capitolo mostrando gli eventi con gli occhi di un diverso personaggio, nel caso specifico con (nell'ordine, prologo escluso) i punti di vista di Bran, Catelyn, Daenerys, Eddard, Jon, Arya, Tyrion e Sansa. Nel romanzo lo stacco è ben visibile, segnalato dalla fine di un capitolo e dall'inizio del successivo, con il nome del personaggio a fungere da titolo per il capitolo stesso.
Nella graphic novel questa divisione scompare, le pagine si susseguono una dopo l'altra con l'unica distinzione data dal diverso colore di sfondo delle varie didascalie. Troppo poco perché la cosa possa essere notata con facilità, specie nel caso di due capitoli consecutivi che presentino un'ambientazione simile. Il risultato è un senso di spaesamento che per alcuni istanti coglie il lettore a ogni cambio di capitolo.
Bocciata la sceneggiatura, non sono di qualità superiore i disegni di Tommy Patterson. Se gli sfondi possono andare, sufficientemente dettagliati e distinti fra loro anche grazie alle differenti tinte scelte per le coloriture da Ivan Nunes, i personaggi sono goffi e legnosi nei lineamenti e nelle espressioni come nei gesti che compiono. Non basta il continuo cambio di inquadrature o l'alternanza fra vari piani e campi per rendere il senso di movimento di personaggi congelati nel singolo istante in cui sono raffigurati.
Quanto al colore, efficace nell'ambientazione, si limita nei volti a renderli gonfi come palloncini, ma senza donargli traccia di un corpo reale con le sue rotondità e le sue zone scavate.
L'ultimo aspetto è quello della traduzione. Paolo Accolti Gil, fondatore della casa editrice e traduttore dell'opera, ha tenuto a sottolineare come questa sia una nuova traduzione, ben lontana da quanto già fatto da Sergio Altieri e da Mondadori per i romanzi di Martin. Infatti all'inizio di ogni fascicolo inserisce una pagina di note in cui spiega quale sia il termine originario, in che modo sia stato tradotto in passato e quali sono i motivi alla base delle sue scelte. Intenzione lodevole ma a tratti poco convincente, a partire proprio dalla prima parola esaminata, Wildings. Il traduttore opta per selvatici basandosi sul fatto che il primo significato di wild è selvatico, ma trascura il fatto che tra i vari significati del termine ci sia anche violento e che, visto che gli appartenenti a quel popolo sono percepiti come una minaccia da coloro che vivono sulla Barriera, la scelta del termine Bruto non è così tanto fantasiosa e trasmette molto meglio il senso di minaccia rispetto a un meno forte selvatico. Basta leggere lo scambio di battute fra Ned e Bran nel primo capitolo per percepire che qualcosa non torna. Bran dice al padre che l'uomo che è appena stato decapitato “era un selvatico. Loro portano via le donne per venderle agli altri”, cancellando ogni intonazione minacciosa. Un selvatico, a differenza di un Bruto, sembra più uno spauracchio per bambini che una minaccia per gli adulti, e gli altri potrebbero essere tranquillamente altri selvatici, popoli con costumi diversi, più che le minacciose creature estranee (e quindi totalmente aliene) viste nel prologo.
Non aiuta il fatto che, essendo questo un fumetto, tutto il testo è naturalmente scritto in stampatello maiuscolo e quindi si perdono le iniziali maiuscole. Gli altri diventano indistinguibili dagli Altri, perciò sparisce anche questo piccolo appiglio per dare alle frasi la giusta connotazione di minaccia.
Quanto agli uomini che si trovano sulla Barriera, i Night's Watch, chiamarli Guardia notturna invece che Guardiani della Notte li fa somigliare più a dei comuni poliziotti che ai guerrieri che realmente sono. Insomma, se rinominare The Hand of the King Mano del re al posto dell'errato Primo cavaliere era semplicemente giusto, e giustificato dai disegni che certamente vedremo in futuro, alcuni cambiamenti danno più l'impressione della voglia di fare qualcosa di diverso che di essere una reale necessità, quando non suonano proprio goffi.
Sceneggiatura, disegni e traduzione. Nessuno di questi aspetti convince, ma il volume dona ugualmente qualcosa su cui riflettere. Si tratta di una semplice didascalia a commento di un flasback nel primo capitolo di Daenerys, quando la ragazza ripensa ai racconti che le ha fatto il fratello sulla Battaglia del Tridente. “Loro fratello Rhaegar che si batteva con l'Usurpatore nelle insanguinate acque del Tridente e moriva per la donna che amavano entrambi” riporta un testo che non può che far suonare parecchi campanelli d'allarme nella testa dei lettori. E visto che il testo è stato supervisionato da Martin, che in un paio di scene ha chiesto di realizzare delle piccole modifiche perché ciò che era stato realizzato non si accordava con eventi che lui doveva ancora descrivere, si può star certi che questa non è un'interpretazione troppo libera dello sceneggiatore.
Troppo poco per apprezzare un'opera che, inevitabilmente, interessa in primo luogo i fan dei romanzi che, inevitabilmente, non possono evitare di fare paragoni. Se i lettori che non hanno una conoscenza precedente delle Cronache del ghiaccio e del fuoco difficilmente vorranno approfondire le loro esplorazioni nel mondo creato da Martin, gli altri non potranno che constatare con una certa delusione che quest'opera non regge il confronto con quella di partenza.
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