Il sipario si apre su Biancaneve, il primo lungometraggio risalente al 1937. Spero di non distruggervi un mito, ma è impossibile astenersi dall’osservare che la dolce, paffuta e fragile protagonista, ben lungi dal possedere un carisma da principessa di sangue blu, non è altro che il prototipo della massaia americana che ha furoreggiato sino agli anni cinquanta. Continuamente bisognosa di protezione, ingenua e fiduciosa ai limiti della stupidità (è quasi offensivo che persino i passerotti del bosco capiscano prima di lei che quella che le tende la mela non è altri che la strega cattiva), Biancaneve è perennemente e passivamente all’altrui mercè: si salva per il buon cuore del cacciatore, perché gli animaletti del bosco le trovano un riparo, perché i nani la prendono sotto la loro benevola protezione e, infine, perchè il Principe Azzurro non ha mai smesso di cercarla.
L’unico atto di autonoma volontà che le si vede compiere è riordinare la casa dei nanetti e insegnare loro il bon ton a tavola. Francamente un po’ poco: dopotutto non ci si attenderà una figura compiuta come Caterina d’Aragona, ma fra questa e la signora Cunningham di Happy Days, fra la lungimiranza politica e le torte di mele, potrà pur esistere una via di mezzo!
Poi venne Cenerentola (1950). Umile e sottomessa, anch’ella sopporta passivamente non solo le angherie della matrigna, ma anche quelle delle sorellastre e persino quelle del loro odioso gatto obeso. Già la generazione di bambine degli anni ’60, che non era certo sveglia come quella odierna, nutriva nei confronti di Cenerentola un senso di disagio e le piccole finivano molto combattute al riguardo: da una parte si schieravano il tifo per l’eroina e l’identificazione, dall’altra venivano a galla un po’ di autostima e di sano narcisismo infantile, che contrastavano una piena immedesimazione con un personaggio modesto ai limiti dell’autolesionismo. Tuttavia, rispetto a Biancaneve, un passo in avanti sembra essere stato fatto. Dopotutto Cenerentola trasgredisce un paio di volte ai divieti dell’autorità: va al ballo di nascosto e cerca di liberarsi quando, rinchiusa in soffitta, le vogliono impedire di provare la scarpetta di cristallo.
Arriviamo alla Bella Addormentata nel bosco (1959): Aurora è una fanciulla incolore quanto le altre due. Di grande grazia e bellezza, ma priva di qualsiasi autodeterminazione. Tenera e iperprotetta, finisce per non sviluppare un’autonoma personalità. L’unico divieto che ha il coraggio di infrangere è quello di fermarsi a parlare nel bosco, per due nanosecondi, con quello sconosciuto che poi, per sua fortuna, si rivelerà il suo Principe Azzurro.
Di ben diversa levatura, invece, sono le eroine figlie della post rivoluzione sessantottina che - passato l’intervallo animalista degli anni 70 con aristogatte, cagnoline dalmata e volpette sullo sfondo di Sherwood - tornarono antropomorfe durante i grintosi anni ottanta.
Ariel (La Sirenetta, 1989), Belle (La Bella e la Bestia, 1991) e Jasmine (Alladin, 1992) rispecchiano già perfettamente la voglia di ribellione e trasgressione di quell’epoca, rimasta appannaggio anche delle adolescenti odierne.
Tutte e tre sono animate da un’incredibile sete di sapere: Ariel sogna di visitare il mondo degli umani e ne colleziona gelosamente ogni oggetto; Belle dà fondo alla biblioteca del suo paese; Jasmine brama di fare esperienza tra la gente comune e reale, al di là dell’artificiale gabbia dorata del Palazzo Reale paterno.
A tutte e tre si cerca di impedire l’accesso alla conoscenza, considerata dannosa e superflua per una donna (quando non addirittura pericolosa). Le tre ragazze sono figure moderne che si muovono in una società cristallizata basata su cliché ormai stantii. Lo avvertono e perciò rifiutano ciò che viene loro imposto per tradizione. Per esempio ‘il solito’ marito: Ariel non si interessa ai tritoni del suo mondo; Belle non è attratta dallo stupido fustacchione del villaggio che, invece, fa impazzire tutte le altre ragazze; e Jasmine non vuol sentire parlare dei nobilastri boriosi che chiedono la sua mano.
La Disney affronta qui, con grande attualità, il tema del ‘diverso’, nel senso dell’individuo che, non riconoscendo validi i canoni di conformismo attorno a sé, si comporta in maniera differente e, di conseguenza, viene bollato dalla collettività come ‘strano’ e confinato ai margini. Non è dunque un caso che tutte e tre le fanciulle si innamorino di altri ‘diversi’: Ariel di un principe umano e Jasmine di uno straccione che vive d’espedienti. Quanto a Belle, fa addirittura il salto abissale, invaghendosi di un essere metà antropo e metà zoomorfo, distanziando così ulteriormente le vecchie eroine che si attenevano al copione dell’eroe bello e forte, nei confronti del quale – guarda caso – l’amore scattava a prima vista. Belle, invece, non può certo contare sul coup de foudre e si innamorerà solo dopo aver apprezzato la cultura e le doti di sensibilità e di gentilezza della Bestia.
Anche Ariel, prima ancora di conoscere a fondo il suo principe, è attratta dalla profonda umanità del soggetto; e la stessa Jasmine viene stregata da Alladin solo dopo aver conosciuto il suo stile di vita, improntato alla più ampia libertà di decisione, cosa che a lei è invece costantemente negata.
E mentre Biancaneve, Cenerentola e Aurora, protette dall’affetto di chi veglia sui di loro (nani, topi o fate che siano), si vedono consegnare ‘chiavi in mano’ il loro felice destino, Ariel, Belle e Jasmine sono fortemente determinate a essere le autonome artefici del proprio: avventuratesi coraggiosamente nel mondo reale, non sarà l’eroe a trovare loro, ma viceversa. Per contro, si assiste a uno sviluppo speculare del partner maschile: da invincibile e leggendario a umano e imperfetto. Alladin è ladro per necessità di mettere insieme il pranzo con la cena; la Bestia soffre di una crisi esistenziale che alterna accessi d’ira ferina a pianti di uomo piegato dalla sorte crudele; il principe della Sirenetta è un sognatore indeciso che insegue un miraggio di donna sulla cui concreta esistenza non ha alcuna certezza. Sembra proprio che persino la crisi dei ruoli riviva ormai nei cartoni animati!
Ma torniamo alle loro controparti femminili: con queste tre coraggiose ‘mammine’ alle spalle, le eroine che si affacciano al ventunesimo secolo sotto le spoglie di Mulan e Pocahontas non potevano che assorbirne i tratti e le caratteristiche, incarnandone così la continuazione e lo sviluppo.
Di conseguenza, ci attendiamo ora che la Raperonzolo del nuovo millennio ne sarà quantomeno il perfezionamento, in modo da seguitare a rispecchiare fedelmente l’evoluzione, in chiave fantastica, del cammino compiuto dalle donne reali nella nostra società.
25 commenti
Aggiungi un commentomi dite dove trovo immagini di topi femmine
Mi vengono in mente 100 risposte, e tutte molto cretine (ed esilaranti) :
ciao a tutte mi chiamo tiziana
stano a me piace cererentola
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID