Mentre si approssima un'eclissi, un Boeing 777 atterra all'aeroporto JFK di New York avvolto nel più totale silenzio. Nessun segno di vita, nessuna trasmissione. Inoltre tutti i finestrini e i portelli d'emergenza sono serrati dall'interno. L'intero aereo sembra essersi trasformato in un'enorme e silente cripta che non prevede interferenze esterne. Le forze speciali e il centro per le malattie infettive si allertano subito per circoscrivere quello che potrebbe essere un atto terroristico o l'inizio di una pericolosa epidemia. Tutti a bordo, infatti, tra passeggeri e personale, sono trovati defunti, eccetto tre persone che non ricordano assolutamente nulla. Nella stiva, inoltre, è rinvenuto un oggetto bizzarro, simile a un antico sarcofago coperto da sinistri graffiti...
Esistono storie eterne, soggetto di narrazioni cicliche, che più volte nella vita ci è capitato o ci capiterà di ascoltare. A volte indistinguibili dalle versioni più antiche che ricordiamo, altre con elementi di novità – se non nella trama – nella conduzione del viaggio verso un traguardo che potrebbe essere noto o – in qualche caso – sorprenderci. L'incipit di The Strain è esemplare al riguardo, proponendo un prologo che è già di per sé un esercizio di stile. In Romania, agli inizi del secolo scorso, un'anziana nonna racconta al nipotino una storia di spavento per indurlo a mangiare la minestra. Forse è solo uno dei tanti racconti sull'uomo nero. Eppure, tra le righe, sembra fare capolino qualcosa di palpabile e inquietante. La vicenda di un uomo deforme, giunto in quelle terre dalla Polonia, sopravvissuto a un sanguinoso mistero e rinchiuso in un irriducibile eremitaggio, mentre nei dintorni si moltiplicano morti inspiegabili e si diffonde un timor panico per l'ossessionante picchiettare del suo bastone da passeggio: pick... pick... pick....
Dall'atmosfera gotica e fiabesca, siamo scaraventati dunque nell'America dei giorni nostri, nella vita del medico Ephraim Goodweather e nell'enigma di un aereo di linea trasformato di fatto in una sorta di vascello fantasma. Un evento che un anziano ebreo, da qualche parte, sembra stesse attendendo da tempo. Da quando sua nonna, una sera, gli raccontò una terribile storia.
The Strain, serie a fumetti nata dalla trilogia letteraria firmata dal regista Guillermo Del Toro (Hellboy, Il labirinto del fauno) e dallo scrittore Chuck Hogan (edita in Italia da Mondadori), è la dimostrazione che una storia può contare non per quanto dice, ma per il modo in cui viene narrata e per le emozioni che riesce a suscitare. Sul soggetto degli autori dei romanzi si basa la sceneggiatura del duttile David Lapham (Young Liars, Crossed: Valori di famiglia), qui felicemente accompagnato dal disegnatore Mark Huddleston, a suo agio nell'alternare momenti di quiete apparente ad atmosfere cupe e cariche di tensione. Parliamo del primo numero italiano (quindi due albi americani) di una serie Dark Horse che cattura l'attenzione sin dalle prime pagine e riesce a tenerla stretta per tutta la durata dei due capitoli che compongono l'albo. Un lavoro di narrazione artigianale, dialoghi calibrati ed eventi rivelati poco per volta, sono la vera ragion d'essere di questo The Strain, creatura ibrida tra narrativa e fumetto per la quale si sta già progettando una serie televisiva. Il bersaglio è centrato: far rabbrividire il lettore e indurlo ad affrontare il capitolo successivo. E oggi, diciamolo, non è più così facile quando si parla di vampiri. Il Dracula di Bram Stoker è notoriamente stato saccheggiato fino allo sfinimento. I suoi feticci, i suoi miti, rivisitati praticamente in tutti i modi possibili.
Con The Strain ci troviamo davanti a un'ennesima citazione, e a un'ulteriore
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