Già in occasione del primo duello magico fra i due nel Calice di fuoco, Harry era stato salvato dalla bacchetta. Quella volta si era trattato della consonanza fra le due anime di piuma di fenice che aveva temporaneamente bloccato il funzionamento delle rispettive stecche; questa volta, molto più semplicemente, la Bacchetta di Sambuco, riconoscendo di avere davanti il proprio padrone, fa rimbalzare l’offensivo Avada Kedavra su chi l’ha lanciato, provocando così la morte del Signore Oscuro. La prima volta che aveva colpito Harry con analoga Maledizione, Voldemort era sopravvissuto perché aveva già fabbricato degli Horcrux. Questa volta, essendo stati distrutti questi ultimi, il potente mago è tornato a essere un comune mortale.
Bisogna dire che si tratta di una fine davvero ingloriosa per un personaggio che è sempre stato rappresentato come estremamente sveglio e intelligente, nonché come la quintessenza della potenza magica. Sfruttare la bacchetta di tasso contro quella di agrifoglio e giocare l’equilibrio dei contendenti sulle anime gemelle di questi due strumenti, appartenenti a un uccello dalle valenze così soprannaturali, avrebbe regalato una conclusione più degna e credibile alla vicenda: l’autosacrificio di Harry, infatti avrebbe potuto caricare la sua normale bacchetta di quella marcia metafisica in più che – a parità di caratteristiche fisiche (la stessa piuma di fenice) – avrebbe consentito al ragazzo “santificato” di superare il Mago Oscuro reo di crimini e aberrazioni innominabili, senza che questi fosse tolto di mezzo da conseguenze magiche meramente meccanicistiche (il rimbalzo dell’Avada Kedavra). Peccato non aver sfruttato in questo senso un’ambientazione già precisamente delineata: da un lato abbiamo infatti un Harry capace di compiere il sacrificio che, per i dettami della dottrina cristiana cui la Rowling pare essersi evidentemente ispirata, sottintende il più grande amore concepibile secondo il Nuovo Testamento (“nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” – Giovanni 15:13); dall’altro abbiamo un mago che, oltre ad aver spento innumerevoli vite, ha posto in atto l’arroganza estrema di voler dominare la Morte con metodi che sovvertono le leggi di Dio e degli uomini. Così, si compie ciò che è affermato nel Vangelo (Giovanni 12:25):
Chi ama la sua vita la distrugge, ma chi odia la sua vita in questo mondo, la salvaguarderà per la vita eterna.
Pertanto Harry, che non ha subìto il richiamo ammaliante dei Doni e che ha offerto altruisticamente la propria vita per il bene altrui, diventa suo malgrado il Signore della Morte, mentre Voldemort, che ha cercato con ogni mezzo di violare le leggi naturali a spese altrui, soccombe a una dipartita repentina e ingloriosa, senza che i suoi sforzi per proteggersi siano andati a buon fine.
Da notare che il vocabolo usato nella traduzione evangelica dall’Aramaico al Greco è “psiche” (ψυχή), che nelle versioni italiane prevalenti viene tradotto semplicisticamente con “vita”, anziché col nostro termine più prossimo –- anche se non perfettamente equivalente dal punto di vista filosofico – di “anima”, parola semanticamente molto più ricca. La psiche della concezione greca è infatti, in origine, il soffio vitale che “anima”, appunto, il corpo e che lo abbandona nel momento della morte, uscendone attraverso il respiro o una ferita e diventando uno spettro che si aggira nell’Ade, dove condurrà l’esistenza delle ombre come immagine del defunto. (21) Dunque, il passaggio evangelico visto sopra, anche se non è uno di quelli espressamente richiamati dalla Rowling sulle tombe di Godric’s Hollow di cui ci occuperemo fra poco, può riassumere perfettamente l’essenza dei due personaggi e le motivazioni sottostanti alle loro opposte sorti.
Riprendendo a questo punto il discorso, lasciato in sospeso, della speculare, triplice rinascita/incarnazione di Harry, possiamo tracciare anche il percorso di quest’ultimo: egli è dapprima il bambino magico; quindi diventa un Horcrux, ma al contempo anche un Prescelto, quando Voldemort compie accidentalmente il trasferimento la notte di Ognissanti, cambiando per sempre la sorte del piccolo secondo le implicazioni che abbiamo già precedentemente esaminato; infine egli diviene un Signore della Morte.
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