Scendendo i gradini, una morsa mi attanaglia il petto.
Cosa c’è dopo la morte?
È il 20 dicembre 2012, domani sarà quel giorno. Si sta già facendo buio.
Mai vista la chiesa dei ss. Nazaro e Celso affollata come poco fa.
«Lo spirito sopravvive al corpo sul sentiero dell’aldilà», diceva il parroco; «quanto al dopo, dipende dalle scelte fatte in vita.»
«E prima di nascere, dov’eravamo?»
«La risposta è Dio» mi ha sorriso con impazienza, porgendomi l’ostia benedetta. Ho aspettato il termine della celebrazione con la particola in mano.
«Se dopo la morte sopravviviamo in forma di spirito, qual è la natura dello spirito? Di cosa è composto, quali caratteristiche ha?»
Il prete ha scosso il capo, con quell’espressione che si riserva alle argomentazioni dei venditori porta a porta. Senza accogliere l’ostia che rappresenta la fede, secondo lui tutte le spiegazioni del mondo mi sarebbero state inutili.
«Come credere, se non si conosce?» Me ne torno a casa senza una risposta. Cos’è l’aldilà? Com’è fatto, dove si trova?Cosa c’è dopo la morte?
Camminando verso la metropolitana ho incontrato un ragazzo, un tossico con i capelli da punk e la felpa di Lovecraft. Voleva propormi una nuova pasticca che secondo lui avrebbe risposto a ogni domanda; anche a lui ho ripetuto la stessa frase: «Come credere, se non si conosce?»
Le facce che confluiscono nella stazione di Famagosta non rispondono, impenetrabili. Tutti sono concentrati sui sacchetti di regali natalizi, sul lettore MP3 o il cellulare. Mentre scendo le scale alcuni mi fissano. Accidenti, ho le sopracciglia aggrottate e le labbra contratte. Giro la testa verso il muro, affretto il passo. Il peso sullo stomaco è diventato una voragine. Infilo le mani in tasca, ho bisogno di conforto.
Le mie dita fredde trovano quel fragile e già dimenticato oggetto bianco e tondo, lo infilo in bocca. Non mi fornisce alcuna risposta, proprio come mi aspettavo. La discesa è finita: sono sottoterra. L’ombra dell’angoscia aumenta. Tossisco, scruto la gente di sottecchi. Sembrano muoversi verso mete casuali, inutili. Proprio come me. Sono già arrivato al tornello, le mie dita tremano sulla pelle liscia del portafoglio.
Il mio psicologo dice che sono ossessionato dall’inconoscibile. Forse non sarebbe un problema, se non fossi una persona intelligente. Ecco, sì, questo è un corso di pensieri confortante: il mio ego mi fornirà un rifugio temporaneo all’angoscia. Dunque, faccio parte del MENSA e ho un QI di 137, sono circa al 99 percentile. Significa che se si mettessero tutte le persone del mondo in fila indiana e le si ordinasse per intelligenza, il 99% starebbe dietro di me. Molti studi hanno evidenziato una correlazione negativa tra l’intelligenza e la fede in Dio, forse perché essere intelligenti significa porsi più domande. Ma se credere richiede rassegnarsi a non avere risposte, a quelli come me è negato l’accesso al paradiso?
«Esatto.»
Eh! Cosa? Il cuore fa un balzo e si incastra a metà del pensiero. Veniva dal tornello? La macchina ha sputato indietro il biglietto non convalidato. Prendo il biglietto, lo giro e lo inserisco di nuovo. La luce verde lampeggia. Ok.
«Ahio! E adesso che caz...»
Mentre avanzavo il tornello si è bloccato e mi ha colpito a un centimetro dall’inguine. Che male, porca puttana. Sguscio fuori da questa trappola. Mi chino a massaggiare il punto dolorante; fortuna che non ha colpito il cellulare.
«Cosa stai facendo?» gracchia una donna in carne davanti a me. Ha due borse cariche di spesa, mi fissa accigliata. Esito, ma prima di riuscire ad aprire bocca quella appoggia un sacchetto e mi punta addosso un dito ciccione. C’è qualcosa di strano nei suoi occhi, la sua voce è un sussurro fremente.
«Io so bene cosa stavi facendo. Fai queste cose davanti a tutti, vero? Ti eccita, eh, schifoso pervertito?» cazzo ma questa qui è fuori di testa! «Chissà cosa mi faresti, se fossimo soli da qualche parte, eh? Brutto porco!»
La donna alza gli occhi e scoppia in una risata che le fa ballonzolare la pappagorgia. Recupera la borsa e si allontana con piccoli passi dondolanti, senza nemmeno aspettare la mia risposta. I sacchetti ondeggiano sotto i fianchi larghi.
Meno male che non va nella mia direzione. I pazzi hanno sempre qualcosa di affascinante, ma questa qui mi ha messo i brividi. Devo muovermi, voglio andare a casa.
Arrivo alla banchina affollata e guardo l’orologio: è tardi, i treni oggi fanno orario limitato e saranno garantiti ancora per poco.
Cosa c’è dopo la morte? La maledetta domanda torna a tormentarmi.
«Io la so, la risposta» dice una vocetta femminile proprio dietro di me. Cazzo, ma mi ha letto nel pensiero? Va bene, ora mi volto. Piano, però: calmo cuore, rallenta. Non c’è bisogno che tutti sappiano che sono sull’orlo di una crisi di nervi. Devo girarmi con quell’espressione un po’ annoiata che ha sempre la gente in metropolitana.
Una ragazza di tredici, quattordici anni mastica a bocca aperta digitando su un cellulare. Ha capelli ossigenati con punte rosa confetto e un paio di piercing nel labbro inferiore.
È solo una ragazzina.
Devo fare un bel respiro.
Torno a guardare i binari. Data la mia razionalità dovrei essere materialista, ma è una prospettiva che non mi convince del tutto. Forse è perché la morte mi fa troppa paura. Horror vacui. Ma no, c’è dell’altro, ne sono sicuro. Non i cori di angeli o le cento vergini musulmane, forse. Però qualcosa ci dev’essere.
Certo, niente sistema nervoso, niente ormoni, endorfine, dolore o piacere: fine dei giochi, punto e basta. Dovreipensarlo; eppure a una parte di me queste sembrano argomentazioni fallaci. Non ce la faccio a rimanere così in sospeso, non oggi, non nella vigilia di domani. Data la mia razionalità non dovrei nemmeno aver paura del 21 dicembre.
«Ma che sfigato sei?» questa ragazzina vuole farmi prendere un infarto?
Mi giro per guardarla in faccia. Ora ha gli occhi chiusi e sta sbadigliando: mette in mostra un complesso apparecchio ortodontico e solleva su e giù una lingua imbrattata di colorante azzurro. Quante carie ci sono in quella bocca? Finalmente chiude le fauci e mi guarda con occhi bovini.
«Cazzo c’hai? Cioè mica ce l’ho con te, sto messaggiando col mio tipo.»
«Dacci un taglio ragazzina, ok?» ho i nervi a fior di pelle.
La stronzetta sostiene il mio sguardo e strizza le labbra a mimare un bacio. Fa un palloncino di chewing gum grande come una palla da tennis. Basta, mi allontano. Meglio mollare qui la mocciosa prima che la mia giornata peggiori ancora.
Mi fermo dopo appena una decina di passi. I dettagli sono la mia maledizione: ragazzina, bocca, palloncino, chewing gum. Non c’erano gomme quando ha sbadigliato, sono sicuro. Mi volto: non vedo da nessuna parte i capelli ossigenati e la ridicola borsetta di plastica rosa.
Me la sono sognata? Cazzo, pure le allucinazioni adesso?...
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