Il messaggero smise di ascoltare le chiacchiere dei viaggiatori, era troppo stanco. Andò nella stanza da letto comune, si lasciò cadere su un pagliericcio e si addormentò come un sasso.

            Si alzò all’alba. Uscendo in cortile, rimase leggermente stupito di non essere il primo in procinto di mettersi in viaggio. Capitava di rado. Accanto al pozzo c’era uno stallone morello già sellato e, poco lontano, davanti all’abbeveratoio, si lavava le mani una donna in abiti maschili. Nel sentire i passi di Aplegatt, la donna si girò, raccolse con le mani bagnate i rigogliosi capelli neri e li gettò indietro. Il messaggero s’inchinò. La donna rispose con un lieve cenno del capo.

            Entrando nella stalla, Aplegatt andò quasi a sbattere contro un altro uccellino mattiniero, una fanciulla con un berretto di velluto che stava giusto conducendo in cortile una giumenta pomellata. La fanciulla si stropicciò il viso e sbadigliò appoggiandosi al fianco della cavalla. «Ahimè! Mi addormenterò sicuramente in sella», borbottò passando accanto al messaggero. «Mi addormenterò come niente... Uaauaaua...»

            «Il freddo ti sveglierà quando farai trottare la tua cavallina», disse Aplegatt, cortese, tirando giù la sua sella dalla trave. «Buon viaggio, signorinella.»

            La fanciulla si girò e lo guardò come se lo avesse notato solo allora. Aveva occhi grandi e verdi come smeraldi.

            Aplegatt gettò la gualdrappa sul cavallo. «Ti ho augurato buon viaggio», ripeté. Di solito non era espansivo e neanche loquace, ma adesso sentiva il bisogno di parlare con un suo simile, anche se si trattava soltanto di una mocciosa assonnata. Forse per via dei lunghi giorni solitari trascorsi in viaggio, o forse perché la mocciosa gli ricordava un po’ sua figlia mezzana. «Che gli dei vi proteggano da incidenti e brutte avventure. Siete solo in due, per giunta donne... E sono brutti tempi. Il pericolo è in agguato ovunque lungo le strade maestre...»

            La fanciulla sgranò gli occhi verdi.

            Il messaggero si sentì gelare la schiena, fu percorso da un brivido.

            «Il pericolo...» disse a un tratto la fanciulla con voce strana, diversa. «Il pericolo è silenzioso. Non lo sentirai, quando giungerà in volo sulle sue piume grigie. Ho fatto un sogno. La sabbia... La sabbia era arroventata dal sole...»

            Aplegatt rimase immobile, la sella appoggiata contro la pancia. «Cosa? Che dici, signorinella? Che sabbia?»

            La fanciulla trasalì violentemente e si stropicciò il viso. La giumenta pomellata scrollò la testa.

            «Ciri!» chiamò in tono secco la donna dal cortile, mentre sistemava la cinghia della sella e le bisacce sullo stallone morello. «Sbrigati!»

            La fanciulla sbadigliò, guardò Aplegatt e batté le palpebre, sembrando stupita di vederlo nella stalla.

            Il messaggero rimase in silenzio.

            «Ciri! Ti sei addormentata là dentro?» gridò la donna.

            «Arrivo, signora Yennefer!»

            Quando Aplegatt ebbe infine sellato il cavallo e lo ebbe condotto in cortile, non c’era traccia della donna e della ragazzina. Un gallo lanciò un chicchirichì prolungato e rauco, un cane abbaiò, mentre fra gli alberi risuonava il verso di un cuculo. Il messaggero montò in sella. A un tratto ricordò gli occhi verdi della fanciulla insonnolita, le sue strane parole. Pericolo silenzioso? Piume grigie? Sabbia rovente? La piccola deve essere un po’ tocca, pensò. Ora se ne vedevano tante, di ragazzine svitate, che durante la guerra avevano subito violenze dai soldati sbandati o da altri furfanti... Sì, era sicuramente tocca. O magari solo assonnata, buttata giù dal letto, ancora mezza addormentata? È incredibile che fandonie racconta a volte la gente, quando all’alba continua a oscillare tra il sonno e la veglia...

            Aplegatt fu nuovamente percorso da un brivido e avvertì un dolore tra le scapole. Si massaggiò la schiena col pugno.

            Non appena si ritrovò sulla pista per Maribor, ficcò i talloni nei fianchi del cavallo e si lanciò al galoppo. Il tempo incalzava.

            A Maribor, il messaggero non riposò a lungo: ancora prima del tramonto, il vento gli soffiava un’altra volta nelle orecchie. Il nuovo cavallo, un puledro storno proveniente da un allevamento di Maribor, andava di gran carriera, allungando il collo e agitando la coda. I salici ai lati della strada sfrecciavano via. La borsa contenente la posta diplomatica premeva contro il petto di Aplegatt, che aveva il sedere dolorante.

            «Rompiti il collo, maledetto vagabondo!» gli urlò appresso un carrettiere frenando il tiro, spaventato dal cavallo storno che gli era sfrecciato accanto a tutta velocità. «Guarda come lo incalza, sembra quasi che la morte gli lecchi i calcagni! Corri, corri, buono a nulla, non sfuggirai comunque alla mietitrice!»

            Aplegatt si asciugò un occhio che lacrimava per la velocità.

            Il giorno prima, aveva consegnato le lettere a re Foltest, quindi gli aveva recitato un messaggio segreto da parte di re Demawend: «Demawend a Foltest. Nella Dol Angra è tutto pronto. Le truppe camuffate attendono l’ordine. Termine previsto: la seconda notte di luglio dopo il novilunio. Le barche dovranno approdare sull’altra riva due giorni più tardi».

            Sopra la strada maestra, stormi di cornacchie levavano alti gridi; volavano a est, in direzione di Mahakam e della Dol Angra, verso Vengerberg. Mentre avanzava, Aplegatt si ripeteva le parole del messaggio segreto che il re di Temeria mandava per suo tramite al re di Aedirn: Foltest a Demawend. Primo: sospendiamo l’operazione. I sapientoni hanno convocato un’assemblea, devono incontrarsi sull’isola di Thanedd. Questa assemblea può cambiare molte cose. Secondo: le ricerche della Leoncina possono cessare. È stato confermato. La Leoncina è morta.

            Aplegatt colpì il puledro coi talloni. Il tempo incalzava.