«Dell’amore sappiamo poco.

Con l’amore è come con una pera.

La pera è dolce e ha una forma.

Prova un po’ a

definire la forma della pera.»

Ranuncolo, Mezzo secolo di poesia.

«Tremate, giacché ecco approssimarsi il

Distruttore dei Popoli. La vostra terra sarà

calpestata e spartita con una corda. Le vostre

città annientate e private dei loro abitanti.

Il pipistrello, il gufo reale e il corvo abiteranno

le vostre case, il serpente vi si anniderà.»

Aen Ithlinnespeath

Il tempo della guerra (Czas Pogardy) è il secondo romanzo della pentalogia di Andrzej Sapkowski che ha per protagonisti, oltre allo stesso Geralt di Rivia, la principessa Cirilla e la maga Yennefer, nonché seguito di Il sangue degli elfi (qui recensito dall'edizione inglese intitolata Blood of Elves - Krew elfòw), premiato dal David Gemmell Legends Award.

Blood of Elves

Blood of Elves

Articolo di Francesco Coppola Lunedì, 7 marzo 2011

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Sin dall’esordio questa ponderosa vicenda è stata impregnata di tinte cupe, con la principessa Ciri ancora bambina nelle braccia del cavaliere nero dall’elmo alato, intento a strapparla dalla sua casa e dal suo paese, entrambi immersi nel sangue e nelle fiamme della guerra. L’intervento del destino e dello strigo Geralt ha stemperato il fosco futuro della leoncina di Cintra, presto avviata allo studio delle arti della spada e della magia, dagli strighi di Kaer Morhen e dalla maga Yennefer. In Il sangue degli Elfi Rience, lo sgherro dell’impero di Nilfgaard aveva operato con crudeltà e spietatezza per rapirla di nuovo, trovandosi sempre la strada sbarrata dallo Strigo e Sapkowski ha lasciato aperto il dubbio: riusciranno Geralt e Yennefer a proteggere Ciri? Riusciranno a insegnarle a difendersi, non solo dalle minacce esterne, ma anche dai traumi personali che nella sua giovane vita ha già vissuto?

Nel primo capitolo di Il tempo della guerra sembra di assistere a uno di quegli avvii di film in dissolvenza. Non ci troviamo in compagnia dei personaggi principali, bensì con il messaggero reale Aplegatt, indaffaratissimo a viaggiare per tutti i liberi regni di Temeria, Redania, Kaedwen, Cidaris, Lyria, Rivia, minacciati dall’impero di Nilfgaard. Da quando i sovrani di questi regni hanno smesso di servirsi degli intriganti maghi per scambiarsi informazioni, piani e alleanze, spetta proprio a persone come Aplegatt fungere da nesso per l’intelligence dei regni che si stanno preparando alla guerra. Molto dipende dal loro lavoro e questo gli permette anche di andare in giro – un po’ come un globulo rosso nei vasi sanguigni di un vasto corpo – vedere molte cose, comuni, strane e straordinarie.

Abbiamo così traccia dei nostri eroi, ma visti attraverso gli occhi di quest’uomo ligio al proprio compito, ma oggettivamente un po’ limitato nella comprensione. Tuttavia noi lettori sappiamo ben riconoscere i nostri eroi.

Ma in un pezzo di questo primo capitolo vediamo Geralt di nuovo protagonista e intento a recarsi da uno strano avvocato il quale svolge ben altre mansioni: risolvere problemi che ai più risultano insolvibili – in molti sensi. Se prima eravamo nei vasi sanguigni del mondo dello strigo, ora ci troviamo in qualche ganglio del suo sistema nervoso. Questo studio “Codringher & Fenn” è un luogo ove si raccolgono indizi, tra cui alcuni su quanto accadrà oltre, ma si tratta sempre di informazioni parziali, da contestualizzare, da collegare a qualcosa d’altro che sfugge sempre. E si è ancora e di nuovo in sella appena dietro al fedele corriere reale, in corsa da una città all’altra, sino alla fine del capitolo. E poi, poi comincia la grande vicenda della cui trama è meglio non dire altro.

Dei personaggi possiamo dire che Geralt è assai indaffarato a principio del libro: deve infatti guadagnarsi i soldi necessari per i servigi dei suddetti esimi  Codringher e Fenn, controllare le macchinazioni di Rience e degli altri al servizio dell’Impero di Nilfgaard. Geralt è sempre un letale distruttore di nemici, un cacciatore di mostri spietato e molti sono pronti a giurare di quanto lo strigo stesso sia un mostro, ma il cuore del mutante è tutto per lei, la mora con gli occhi viola, viola come la stella che porta spesso indosso, la maga Yennefer. Tuttavia c’è per Geralt uno spartiacque in questo episodio due di cinque. Chi può dire se dopo sarà lo stesso vecchio Geralt che abbiamo sempre conosciuto? Un buon motivo per attendere i lunghi mesi che ci separano dalla pubblicazione del terzo romanzo della serie.

Splendida è Yennefer, enigmatica, si fa afferrare appena e poi scompare. Un grosso punto interrogativo resta su di lei alla fine. Di certo sappiamo che si sono perse le sue tracce dopo Thaned, ma che fine ha fatto? Scopriamo in ritardo, con Geralt, che c’è molta divisione e tante sono le fazioni in lotta nei regni, persino fra i grandi maghi che si riuniscono nella loro isola, al largo di Gors Velen. Yennefer giocava una parte in quel grande gioco? E quale? Il dubbio rimane.

Resta la descrizione del rapporto fra lei e lo strigo: mai una coppia è stata descritta meglio in un romanzo fantasy!

Conclusa la lettura, di Yennefer rimane il ricordo sfolgorante e appassionato di una sera, ma visto da una grande distanza.

Rincontriamo qui anche Ranuncolo, il bardo spesso gioioso e spensierato, inizialmente in qualche cameo,  per poi riapparire come protagonista oltre metà storia, alle prese con un pericoloso viaggio a Brokilon ove le driadi uccidono a vista gli intrusi. Impareggiabile Ranuncolo! Senza tirare un colpo di spada, senza una impenetrabile armatura, o altra arte che non stia nella sua ugola e nelle sue dita, riesce ove altri sono finiti a concimare il terreno. Sicuramente è un buon viatico apprendere che lo vedremo più spesso nel proseguo di questa saga.

Per quanto riguarda Ciri, la giovane principessa in incognito sotto la custodia di Yennefer, sembra indirizzata a crescere in capacità e fiducia, con un futuro ove il peggio che le possa capitare sia quello di finire “reclusa” nell’esclusivo collegio per maghe di Aretuza. Riconosciamo nella fanciulla doti di preveggente come di provetta spadaccina, ma sappiamo che è lei il soggetto a cui si riferisce l’Aen Ithlinnespeath: una terribile eredità scorre nel suo sangue, tanto da generare brame e paure. Dovrà superare una prova immane, contro innumerevoli avversari, con le risorse a sua disposizione: gli insegnamenti di Yennefer e di Kaer Morhen.

Questo romanzo è un’altra prova da maestro di Sapkowski, il quale aveva saputo piacevolmente stupirci ne Il guardiano degli innocenti (recensito qui dall'edizione inglese intitolata The Last Wish - Ostatnie życzenie), ove l’effetto sorpresa era ottenuto in veloci rovesciamenti di tono della trama, nei dialoghi e nei pensieri del cacciatore di mostri, variando dal comico, al magico, allo spettrale, al tagliente, all’azione di combattimento sino al tragico e all’eros.

The Last Wish

The Last Wish

Articolo di Francesco Coppola Lunedì, 26 ottobre 2009

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Sin da La spada del destino (Miecz przeznaczenia) Sapkowski si è esercitato a presentare narrazioni più lunghe, con un timbro dominante ma contrappuntato da altri toni, sempre pronti a cambiare aria al motivo.

La Spada del Destino

La Spada del Destino

Articolo di Francesco Coppola e Mirco Tondi Lunedì, 16 maggio 2011

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La sensazione perdura in Il sangue degli Elfi, ma ecco che, in questo Il tempo della guerra, l’effetto sorpresa viene ottenuto un’altra volta e diventa molto importante.

Per quanto queste quattrocentotrentaquattro pagine siano ripartite in appena sette capitoli, la lettura non affatica mai, anzi, tutto scorre in un alternarsi di emozioni che vanno dal riso alla commozione, finché, a fine lettura, cominciamo a percepire una certa aria di sinfonia, alla Prokof’ev, alla Stravinskij, o forse più alla Gorecki.

Certo, spiazza il titolo scelto per l'edizione italiana e il concetto - di sovente dichiarato in tutta la seconda parte del tomo - che questa è la storia di vicende umane che vivono il "tempo del disprezzo" (titolo usato in altre edizioni all'estero), ma a parte questo dettaglio non certo voluto dall'autore, qui siamo nell’ambito di un fantasy letterario, ove nessuna soluzione è facile, i pericoli sono gravi, niente è immutabile, e gli eroi non sono tali perché puerilmente imbattibili.