Ci sono film dopo i quali non puoi vedere nulla. Devi metabolizzare, riflettere su quanto hai visto.
Cloud Atlas, scritto e diretto da Tom Tykwer, Lana Wachowski e Andy Wachowski è uno di questi.
Una storia lunga cinque secoli, che vede coinvolti decine di personaggi, narrata in modo non lineare, saltando da un'epoca all'altra secondo delle logiche di tensione narrativa tutte da interpretare.
In effetti per quanto possa sembrare frammentario, un racconto posto in questa forma ha il preciso scopo di mantenere coerente l'andamento della parabola emozionale costituita dal seguire una storia. Le sei vicende potrebbero essere montate autonomamente e quindi fruibili in modo cronologico, una dietro l'altra, ma si sarebbe perso lo scopo di collegare in tempo reale i momenti di crisi, i conflitti che ogni personaggio affronta, confrontando analogie e differenze.
C'era anche l'esigenza di mostrare come ogni vita non si esaurisca in un solo periodo storico, ma che le anime possano rinascere, reincontrarsi, avere occasioni di confronto o di riscatto, anche in diverse epoche. Se poi, come appassionati di fantascienza, abbiamo un po' di dimestichezza con il concetto di piano temporale, possiamo anche arrivare a credere che il percorso che un'anima compie non sia unidirezionale, perché è il tempo stesso a non esserlo, e che il passo successivo di una evoluzione o devoluzione possa avvenire in una epoca antecedente a quella che lo precede.
Per rendere esplicito il concetto il cast di attori è stato sottoposto a una sfida interessante, che è quella di interpretare diversi personaggi, con diversi ruoli nel quadro generale.
Se interpretiamo le singole vicende con la dicotomia bene/male, persino l'allineamento di ogni personaggio varia.
Se lo scopo è mettere in evidenza come le anime possano migrare attraverso lo spazio tempo conservando qualcosa di se stesse sempre, è in parte riuscito, visto che la maggior parte delle caratterizzazioni riesce a fare emergere sempre qualche tratto in comune, pur evidenziando le diversità di comportamento. In alcuni casi cambia persino l'etnia del personaggio o il colore dellla pelle. È un importante messaggio antirazzista perché evidenzia, se ce ne fosse ancora bisogno, come non sono certi dettagli, come il colore delle pelle o il sesso, a costituire l'essenza di un essere umano, anzi che la vera natura dell'umanità trascende qualsiasi confine.
Il cast presenta attori di varie scuole: Tom Hanks, Halle Berry, Jim Broadbent, Hugo Weaving, Jim Sturgess, Doona Bae, Ben Whishaw, James D’Arcy, Zhou Xun, Keith David, David Gyasi, Susan Sarandon e Hugh Grant.
Volendo esprimere una preferenza, ho trovato estremamente convincenti le prove di Jim Broadbent, Ben Whishaw e di un sorprendente Hugh Grant, mentre Hugo Weaving sembra Mr. Smith anche quando è una donna. Nella norma tutti gli altri.
Cloud Atlas, come già il romanzo, è un progetto sicuramente ambizioso, di ampio respiro, che rischia di essere dispersivo.
In realtà per quanto la sua struttura sembri poco lineare, visto seguendo il flusso senza opporsi presenta la struttura canonica di un narrazione, composta di presentazione del mondo ordinario, di presagi, di momenti di chiamata ai quali i protagonisti sono riluttanti, di momenti di crisi e risoluzione.
Il fatto che si salti da un'epoca all'altra o da un personaggio all'altro non altera questa struttura, basta farne la tara, non cercando significati reconditi o misteri.
Tutt'altro. Il film mette davanti lo spettatore ai suoi messaggi, agli scopi della narrazione, che in modo esplicito presente le ambizioni e gli scopi dei personaggi, che si presentano, parlano, agiscono apertemente.
Se si guarda bene alle singole storie, la fantascienza e il fantastico propriamente detti sono presenti solo in due dei sei scenari.
Le storie non potrebbero sembrare più diverse: una storia di schiavismo e di speranza di emancipazione ambientata a metà '800; amore e aspirazioni infrante di un musicista dei primi del secolo scorso: una eroica giornalista vive una vicenda da thriller ambientata negli anni '70; un editore del nostro tempo che deve fronteggiare problemi economici e le macchinazioni del fratello che lo fa rinchiudere in una clinica per anziani lager; una operaia del futuro, una sorta di replicante concepita solo per lavorare che si ribella a una disumana società; il viaggio verso la speranza di un futuro migliore di un pastore roso da rimorsi di coscienza e di una delle ultime scienziate in un mondo post-apocalittico.
Il legame tra di esse è molteplice, e non è legato al solo fatte di appartenere tutte allo stesso flusso narrativo ed emozionale.
Tema ricorrente è il conflitto per la libertà, l'emancipazione, l'affermazione di un diritto, anche a costo di lottare contro poteri soverchianti, all'apparenza invincibili.
La narrativa è sempre il racconto di chi fa la differenza. In questo caso un chiaro fil-rouge è che non bisogna essere grandi uomini, eroi o condottieri per riuscire nell'intento, ma tenacia e perseveranza, anche quando la battaglia è persa, perché la Guerra alla lunga, oltre lo spazio e il tempo, si può sempre vincere.
Costante a tal scopo appare quindi l'esigenza dei personaggi di lasciare una testimonianza, una qualsiasi forma scritta o musicale del proprio passaggio. Cronache di viaggio, lettere, spartiti musicali o vecchi vinili, registrazioni olografiche. Il tema della memoria, della sua conservazione ricorre e diventa sempre più centrale, specialmente nel futuro post-caduta, nel quale i personaggi affronteranno prove durissime per la prosecuzione della razza umana.
Poiché lo specifico cinematografico necessita d'immagini, pertanto anche gli elementi visivi sono ricorrenti, riappare spesso la voglia a forma di cometa (già presente nel libro) su vari personaggi, a simboleggiare il legame. Non solo, nel momento in cui scopriamo che un personaggio ha questa voglia, dobbiamo prepararci a vedergli compiere il suo destino.
Anche molti degli scenari tornano, una centrale nucleare dismessa che diventa un santuario durante la ribellione degli operai, per poi tornare nel mondo post caduta come centro di trasmissioni dal quale inviare un messaggio di speranza per il genere umano.
Agli elementi visivi si amalgama poi la colonna sonora composta da uno dei tre registi, Tom Tykwer insieme a Johnny Klimek e Reinhold Heil. Il tema principale The Cloud Atlas Sextet, è l'oggetto di una delle storie ma anche il motivo portante che ritorna in diverse epoche. Un brano intenso che restituisce da solo il respiro della vicenda. Le altre musiche fanno il loro dovere nascondendosi al momento opportuno, mettendosi al servizio del film.
Film come Cloud Atlas, con tanti personaggi e situazioni, varie come solo la stupenda complessità del genere umano può essere, sono come macchie di Rorschach, nei quali ognuno può vedere il “suo film”. Ciò può influire anche sul giudizio finale, perché se l'atteggiamento è quello di chi vuole avere poche e ben determinate certezze, di chi cerca la rassicurazione dell'ordine difficilmente non potrà essere spiazzato da un film che invece pone davanti a tante domande e alla esposizione di un stato e una visione dell'universo che ne rafforza la natura apparentemente caotica.
Insomma uno di quei film che induce a guardarsi dentro per cercare di capire quello si è visto sullo schermo.
È mia opinione che quello che crediamo essere caos è un solo un sistema di cui non riusciamo a vedere tutte le variabili, pertanto per quanto mi riguarda Cloud Atlas è una esperienza totalizzante, immersiva, nella quale mi sono perso con un piacere immenso. Quello che provo davanti alle buone narrazioni.
8 commenti
Aggiungi un commentoVisto ieri,
davvero bello!
Concordo in pieno con la recensione, un bellissimo film!! Ora mi sono pure acquistato il libro.
Peccato che sia stato un flop al botteghino...
Anche Blade Runner lo fu...
Grazie a tutti per l'apprezzamento della recensione.
ops:
speriamo che abbia la stessa gloria "postuma"
Splendida recensione!
E' un film che tocca talmente tante corde che è impossibile non amarlo. Effettivamente non è stato tanto premiato dal botteghino, ho visto certi commenti agghiaccianti... Purtroppo molti spettatori sono ormai abituati alla cosiddetta "pappa pronta"
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