– Quanto esotici? – Uborash stava osservando un’impronta con tre artigli in mezzo al vialetto d’ingresso.
– Non molti terrebbero un orribile lucertolone antidiluviano in casa propria, fatto catturare apposta nelle giungle icatiane.
Knurf studiò l’impronta, era lunga il doppio di quella di un uomo. – E di questi ancor meno darebbero a una simile bestia bavosa il nomignolo “Teddy”.
– Cos’altro sai di quella creatura?
– A parte che l’ho venduta io al conte cinque anni fa? Che gradisce la carne umana.
– Che facciamo?
– Alla villa, e in fretta.
Corsero fino all’edificio, superarono la porta d’ingresso, che subito richiusero. Uborash trovò nell’ingresso una trave di legno con cui sbarrarono i battenti.
– Ora siamo al sicuro. – Knurf si asciugò il sudore dalla fronte.
– Sì, ma come facciamo poi a uscire?
– Uborash, un problema alla volta.
Poco dopo un domestico in livrea li condusse nella sala delle udienze, dove il conte Retzuro li stava aspettando.
Era seduto a un tavolo di marmo sul quale erano poste alcune bottiglie di liquore. Il mercante notò subito che la mano con cui reggeva la coppa stava tremando.
L’aspetto scheletrico e il pallore della pelle, accentuato da uno spesso strato di cipria, davano i brividi. Per non parlare dello sguardo spiritato e delle labbra bloccate in un ghigno perpetuo.
Era conciato anche peggio di quanto il mercante ricordasse.
– Knurf, mio vecchio amico, sapevo che saresti venuto.
– Come potevo rifiutare un invito tanto cortese. – Doveva stare attento a come pesava le parole.
– Prego, accomodati. – Gli fece cenno di sedersi su uno sgabello di fronte a lui. Uborash rimase in piedi alle sue spalle.
– A cosa devo l’onore della tua convocazione?
Retzuro cominciò a ridere – Dritto al punto, mi piace.
Quella risata gelò al mercante il sangue nelle vene.
Il conte versò il contenuto di una bottiglia dentro una coppa. – Prima consentimi di offrirti un po’ di sciroppo di rose. E’ rinfrescante, arrivato giusto oggi dalla Costa Purpurea.
– Grazie, ma non ho sete.
– Knurf, così mi offendi! Che ospite sarei se non ti offrissi da bere in una giornata calda come questa?
Il mercante sapeva di non avere scelta, prese la coppa e bevve metà del contenuto.
– Ottimo, ora veniamo a noi.
– Che cosa desidera sua signoria?
– Intendo rilevare la tua attività.
Era quello che aveva temuto fin dal principio.
– Mi dispiace, ma la nave e i magazzini non sono in vendita.
Retzuro sbuffò – Ho sentito paralare della barbara usanza di fornire denaro in cambio di servigi, ma ti assicuro che non è questo il caso.
A Knurf non piaceva la piega che stavano prendendo le cose.
Il conte gli mise davanti una pergamena – Con questa ti impegni a donare tutte le tue proprietà al mio casato, in cambio della nostra sempiterna amicizia.
– Perché dovrei firmare una cosa del genere e rovinarmi con le mie mani?
– Gratitudine?
– Non penso che basti.
– In cambio ti darò questa fiala. – Da una tasca tirò fuori una boccetta.
Knurf fissò la sua coppa, poi ne annusò il contenuto e si passò la lingua sulle labbra.
– Veleno a effetto ritardato, ricetta Veridiana. Giusto?
Retzuro scoppiò a ridere – Hai indovinato, e questo è l’unico antidoto disponibile.
– Certo che è curioso…– Non riuscì a trattenere un sorriso.
– Curioso? Che abbia fregato Knurf il Sapiente con un trucco così semplice? – La sua risata sguaiata cominciava a dargli sui nervi.
– No, è curioso come basti cambiare solo due ingredienti per trasformarlo in un tonico digestivo.
La risata morì sulle labbra del conte.
Il mercante abbandonò la prudenza. – E come il tuo alchimista personale non saprebbe distinguere il loto nero dall’origano.
– Bastardo, come osi deridermi? – Il volto di Retzuro era diventato una maschera d’ira – Pensi di avermi ingannato, Knurf? Non pensare di cavartela!
– Per oggi direi di sì, Andiamo Uborash, qui abbiamo finito.
Con la coda dell’occhio vide il suo assistente appoggiare la mano sull’impugnatura del suo coltellaccio. Aveva sperato di poter evitare spargimenti di sangue.
Il conte continuava a sbraitare – Per quest’affronto farò bruciare la tua nave, e tu verrai frustato a morte. Ora chiamerò i miei uomini! – Di colpo l’espressione adirata svanì dal suo volto e tornò in un attimo sorridente. – Ma prima è ora della mia medicina.
Suonò una piccola campanella d’argento e subito si spalancò una porta laterale, dalla quale entrò l’alchimista Gamar reggendo un vassoio d’oro con sopra una coppa tempestata di gemme.
Retzuro prese l’elisir e lo bevve in un solo sorso.
Subito si portò una mano alla gola e cominciò ad ansimare, come se non riuscisse a respirare. Gamar sembrava stupito di quanto stava succedendo.
1 commenti
Aggiungi un commentoQuanto adoro i termini aulici e ampollosi!
Questi, assieme alle vicende svolte in una società tanto amabilmente corrotta e surreale mi fanno pensare che l`autore abbia dato più che una letta veloce ad alcuni racconti ambientati sull`eccezionale Terra Morente di Jack Vance.
Ho particolarmente gustato la vicenda col Giudice Arzack.
Molto bello! Ben selezionato!
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