Una saga lunghissima, la cui lunghezza tuttavia non ha scoraggiato un gran numero di lettori che, nel corso degli anni, più che essere scoraggiati dalla quantità di dettagli descritti dall’autore sono stati affascinati dalla ricchezza di un mondo nel quale personaggi umanissimi cercano di districarsi in una trama estremamente complessa. A partire da Il sentiero dei pugnali tutti i romanzi che compongono La Ruota del Tempo hanno raggiunto il primo posto nella classifica dei bestseller del New York Times. Secondo un dato fornito da Variety nell’agosto del 2008 i dodici libri pubblicati fino a quel momento (prequel compreso) avevano venduto nel mondo 44 milioni di copie (4). Da quel momento sono passati cinque anni e sono stati pubblicati altri tre romanzi, anch’essi giunti al vertice della classifica (5), perciò si può solo immaginare quanto la cifra sia cresciuta nel frattempo.
Al di là dei semplici dati di vendita l’influenza dell’opera di Jordan nel mondo della fantasy è enorme. Tre giorni dopo la scomparsa di Robert, quando ancora non poteva immaginare che proprio le sue parole avrebbero attirato l’attenzione di Harriet e lo avrebbero portato a completarne l’opera, Sanderson aveva scritto che senza il successo della Ruota del Tempo molti giovani autori – compreso lui stesso – non avrebbero mai avuto la possibilità di pubblicare i loro sogni. E, parlando dello specifico della scrittura, aveva spiegato che Robert gli aveva mostrato cosa significava avere una visione e quali risultati poteva raggiungere una serie fantasy (6).
Parole simili sono state scritte anche da un autore ben più famoso, George R.R. Martin. A suo dire l’enorme e ambiziosa saga ha aiutato a ridefinire il genere e aperto molte porte agli scrittori arrivati dopo Jordan. Le vendite dello stesso A Game of Thrones sono state aiutate, al momento della pubblicazione dell’edizione economica nel 1997, da un elogio di Jordan che definiva il romanzo “eccezionale” (7)
Se La Ruota del Tempo e il suo autore sono arrivati a ottenere questi risultati è proprio perché la saga ha ridefinito i confini del genere, non togliendo valore a quel che c’era stato prima ma mostrando nuove possibilità.
James Oliver Rigney Jr., questo il vero nome di colui che è diventato famoso come Robert Jordan, ha iniziato a scrivere relativamente tardi, intorno ai trent’anni. Prima c’erano stati due periodi di servizio in Vietnam e una laurea in fisica. Quando gli è stato chiesto se in qualche modo la sua scrittura fosse stata influenzata dal Vietnam, Harriet, suo editor fin dal principio, ha spiegato che lui scriveva perché era stato in Vietnam.
Fra le altre cose quei due periodi gli hanno fatto capire cosa significhi avere qualcuno che stia cercando di ucciderlo. Che stia provando a uccidere lui in particolare, non una persona a caso. Gli ha fatto provare come ci si senta nell’uccidere qualcuno, come ci si senta la prima volta e come questa sensazione sia diversa da quella che si prova la quinta volta, o la decima. Queste sensazioni sono entrate nei suoi personaggi perché ciò che siamo dipende in larga misura dalle esperienze che abbiamo vissuto e da come abbiamo reagito alle esperienze stesse (8).
Se i vari Rand, Perrin e Mat esitano più volte a colpire una donna, o anche solo a lasciare che una donna si rechi in un luogo potenzialmente pericoloso, questo deriva da un’esperienza dello stesso Jordan. Durante un conflitto una donna gli ha puntato contro un AK-47. Lui non ha esitato a ucciderla, ma l’episodio lo ha segnato profondamente. Nell’educazione che ha ricevuto l’idea di far male a una donna è inconcepibile, e nonostante questo si è trovato a doverlo fare (9). I rimorsi e i tormenti interiori dei suoi personaggi sono qualcosa che lui conosce di persona.
Non solo, l’esperienza del Vietnam gli ha insegnato a non arrendersi mai, e che le cose apparentemente impossibili a volte accadono.
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