La copertina dell'edizione inglese di Towers of Midnight di Robert Jordan e Brandon Sanderson
La copertina dell'edizione inglese di Towers of Midnight di Robert Jordan e Brandon Sanderson

Solo un uomo. Ma cosa è in grado di compiere un uomo se lo desidera davvero? La risposta fornita da Lan in quelle pagine è da brividi, ma l’ultimo dei Malkieri non è l’unica figura che compie azioni straordinarie e che ci ricorda come ci si arrende solo dopo la morte. Scritte da Jordan queste parole suonano vere e risuonano nel profondo di chi le legge perché la loro forza viene percepita davvero. Non ci si arrende anche se si deve camminare nella giungla per 40 chilomentri, o se bisogna sparare un colpo praticamente impossibile. E, anche se il lettore può non sapere nulla della vita dello scrittore, le parole sono vere perché chi le ha scritte ha vissuto quelle esperienze. Sa di cosa sta parlando, conosce quelle emozioni e riesce a ritrasmetterle con le sue parole.

L’arte di narrare le storie fa parte da sempre della razza umana. Ha espanso la visione delle persone, le ha incoraggiate, ha mostrato la meraviglia di quel che le circonda e ha fatto capire le infinite possibilità della vita. Le grandi storie ci entrano nel profondo e ci definiscono, cambiando la nostra visione del mondo.

James Rigney scriveva perché voleva mostrare di cosa sono capaci gli esseri umani. Voleva mostrare il loro comportamento di fronte a scelte difficili, e voleva che i suoi lettori riflettessero cosa significa essere uomini. E, nel farlo, ha dimostrato una capacità immaginifica straordinaria.

L’Occhio del Mondo ha un inizio molto tolkieniano. Ci sono un piccolo villaggio, un eroe riluttante, una minaccia incombente, una compagnia della quale fanno parte un mago – in questo caso è una donna, ma all’inizio la differenza di sesso non sembra significativa – e un abile guerriero, e creature, Myrddraal e Trolloc, che a un primo sguardo possono essere facilmente paragonati a Nazgûl e orchi. La cosa è voluta (26). L’idea di Robert era di donare al lettore un senso di familiarità mostrandogli qualcosa che già conosceva, poi prendere tutti i cliché di cui si era servito fino a quel momento per ribaltarli o trasformarli rendendoli irriconoscibili, senza però dimenticare mai la coerenza interna della storia.

Il fatto che il mago sia una donna, per esempio, è una rivoluzione notevole capace di influenzare profondamente tutta la saga. La prima idea era nata nella mente del futuro scrittore già negli anni ’70 (27) quando, leggendo un romanzo, era rimasto colpito dal fatto che a una donna fosse stato impedito di diventare un mago a causa del suo sesso. La scena era adeguata al clima culturale di quegli anni, ma lui non aveva potuto fare a meno di chiedersi cosa sarebbe successo se le parti fossero state invertite e se fossero stati gli uomini a essere in qualche modo limitati a causa del loro sesso. Questo semplice elemento ha portato Robert a suddividere l’Unico Potere in saidin e saidar, le due metà maschile e femminile, a contaminare saidin e a delineare tremila anni di storia e di pregiudizi. Una volta messe le basi i vari elementi sono stati approfonditi e riutilizzati in un’infinità di modi diversi, sviluppando le poche premesse in modi sempre coerenti ma a volte così sorprendenti o spettacolari da lasciare senza parole (28).

Se Randland – il nome del mondo è stato inventato dai fan e non dallo scrittore – appare tanto convincente è proprio perché Jordan ha posto alcune premesse e le ha sviluppate fino alle loro estreme conseguenze. Fin troppo, dicono i suoi detrattori, al punto da rendere la trama molto lenta, anche se nelle scene di battaglia lo scrittore ha dimostrato di saper tenere tutt’altro ritmo. Ma nessun romanzo può essere solo battaglia. Serve anche la costruzione del mondo, come ha spiegato un altro scrittore accusato a volte di soffermarsi su descrizioni inutili.

Secondo George R.R. Martin (29) inserire un certo quantitativo di dettagli non strettamente funzionali alla trama aiuta a far immergere il lettore nella storia che sta leggendo. Nella vita reale ciascuna persona sperimenta una gran varietà di sensazioni, e lo scopo di George è quello di ricrearle con la narrativa. Se l’unica cosa importante fosse la trama basterebbe leggere i riassunti dei libri piuttosto che i libri stessi.

E poi c’è un altro punto. Cosa è davvero inutile e cosa non lo è?

Harriet McDougal è stata l’editor di James Rigney fin dal principio. Hanno lavorato insieme fin dai tempi del suo romanzo d’esordio, The Fallon Blood, pubblicato nel 1980 sotto il nome di Reagan O’Neal. Il libro era enorme (30) e, dovendo contenere i costi di produzione, Harriet aveva proposto allo scrittore di eliminare qualche battaglia. James le aveva spiegato di non poterlo fare per non indebolire la trama e così i due avevano rielaborato il romanzo cancellando tre frasi da ciascuna pagina. Con il tempo, ha spiegato Harriet, lo scrittore ha imparato da solo a fare questo lavoro di sintesi, al punto che ogni volta che lei indicava un passaggio chiedendogli di eliminarlo lui le spiegava perché quelle frasi sarebbero state importanti svariati libri dopo.

Non usare due aggettivi quando ne puoi usare uno, e se puoi non usarne nessuno è ancora meglio, è quello che lei gli ha insegnato. E se La Ruota del Tempo ha raggiunto dimensioni monumentali non è solo per una prosa che avrebbe potuto essere un po’ più asciutta o per i molti dettagli inseriti per rendere vivi scene e personaggi, ma perché il mondo di Jordan è talmente vasto e complesso che ciascun elemento inserito si presta a molteplici sviluppi importanti, e trattarli adeguatamente richiede tempo.

Memoria di luce ha concluso un viaggio iniziato oltre vent’anni fa con L’Occhio del Mondo. La storia, come una ruota, è circolare, e l’ultimo romanzo porta a compimento molti più eventi iniziati nel primo di quanti si potrebbe pensare fino a quando non si legge l’intera saga. Ma se, come tutti i lettori sanno perché viene ripetuto costantemente all’inizio di ogni romanzo, “La Ruota del Tempo gira e le Epoche si susseguono” è anche vero che “Il Disegno di un’Epoca è leggermente diverso a ogni ritorno dell’Epoca in questione” (31). C’è spazio per la volontà individuale e per le scelte, per quanto drammatiche possano essere. “«Non tutte le opzioni sono buone»” ci ammonisce Robert attraverso la voce di uno dei suoi personaggi. A volte si deve “«trarre il meglio da un destino avverso e cavalcare la tempesta»” (32). E quanto siano importanti determinate scelte, come ci sia sempre la possibilità di redenzione se c’è la giusta volontà, era già stato mostrato in una delle scene più drammatiche dell’intera saga al termine di Presagi di tempesta (33).

Come Lan, Robert Jordan era solo un uomo. E, con la sua straordinaria visione, ha fatto ridere e piangere, tremare e commuoversi milioni di persone, e ha mostrato quel che gli uomini possono fare.