Juliette “Jules”Nichols più che una donna è un meccanico.
Dall'età di tredici anni lavora alla manutenzione del Silo 18, enorme rifugio in cemento sprofondato sotto terra, dove nascono, vivono e muoiono ormai da generazioni i pochi sopravvissuti a un misterioso apocalittico conflitto.
Il Silo 18 è chiamato così a causa della sua forma cilindrica e del suo significato: preservare ciò che resta per tempi migliori.
Sotto la superficie di una Terra ormai distrutta e contaminata, la comunità si è organizzata in un nuovo sistema sociale, rigido e severo, riadattato alla situazione contingente: ciascuno ha un compito preciso, tutto è frutto del lavoro collettivo e viene equamente suddiviso, almeno in apparenza. Anche le nascite e le morti sono bilanciate: il concepimento di ogni bambino viene autorizzato tramite la Lotteria, ogni defunto è sepolto nelle Fattorie e diventa concime.
Il sistema adottato richiede leggi e punizioni: è vietato anche il solo pensiero di uscire, l’esprimerlo ad alta voce equivale a una condanna a morte chiamata la Pulizia. Il colpevole viene espulso dal Silo con uno straccio in mano e la richiesta di pulire il vetro delle telecamere affacciate sul desolato mondo esterno, prima di essere ucciso dall'aria corrosiva.
Immancabilmente tutti i condannati eseguono il compito con entusiasmo, anche se favorisce soltanto i loro giustizieri. Perché?
Jules non ha mai pensato a questo durante gli anni passati nel Down Deep, i piani della sezione più profonda del Silo 18, fra i macchinari che ne assicurano la sopravvivenza.
Mantenere in funzione l’enorme generatore è lo scopo della sua vita, fino al giorno in cui è chiamata ad assumere un ruolo rimasto vacante in modo tragico e improvviso, quello di tutore della legge. Ovvero sceriffo, nella buona tradizione americana. Ben presto la giovane donna capisce che “c’è del marcio in Danimarca”:
“Qualcosa di grosso era andato fuori asse. E non aveva niente a che fare con il suo generatore”.
WOOL non significa “lana”: è l’acronimo di World Order Operation Fifty, in cui il numero cinquanta è indicato in latino. Il sospetto di una qualche devastante operazione di portata mondiale è fondato, perché la serie dei Silo firmata Hugh Howey ha una tipica ambientazione postapocalittica.
WOOL non è uno young adult: sebbene siano presenti personaggi anche molto giovani e alcune liaison sentimentali, il target è più largo. Si parla di problemi e situazioni che vanno oltre le pulsioni adolescenziali.
WOOL non propone un tema nuovo: la sopravvivenza dopo un'apocalisse (nucleare, batteriologica, da asteroidi, alieni, zombie, vampiri, cataclismi naturali e quant'altro’altro) è stata trattata in letteratura per lo meno a partire da La nube purpurea di M.P. Shiel (1901), se non da L’ultimo uomo di Mary Shelley (1826), e costituisce un genere ampiamente rappresentato in narrativa, cinema, tv, fumetti, giochi. Anche l’idea di fondo (la città sotterranea come rifugio) non è del tutto originale, basti pensare a La penultima verità di Philip Dick.
Vengono inoltre sviluppati stilemi classici, ovvero il viaggio pericoloso nella terra contaminata e la perdita della memoria storica: il passato è avvolto dall’oscurità, le cause che hanno prodotto la situazione esistente sono circondate da tabù e leggende.
Tuttavia, il romanzo di Howey costituisce un caso interessante nel panorama letterario attuale: autoprodotto e pubblicato su Amazon come racconto, ha avuto un successo di pubblico tale da indurre l’autore a proseguire e scrivere una trilogia, interessando le maggiori case editrici americane. La Silo Saga comprende attualmente Wool, Shift, e Dust, che conclude la storia. E non ha nulla in comune, a parte l'iniziale sistema di pubblicazione, con Le cinquanta sfumature di grigio e altri colori.
Qual è il segreto di questo successo? Sicuramente la capacità da parte di Howey di gestire la situazione con un'efficace e consistente operazione di autopromozione e marketing, ma questa è stata probabilmente l’avveduta reazione al montare dei consensi.
Ciò che i lettori sembra abbiano apprezzato è il modo in cui è costruita l’ambientazione: un microcosmo dove al posto della piccola città o del ranch di famiglia troviamo un rifugio sotterraneo che ospita non solo i superstiti dell’apocalisse ma anche la loro soap opera in salsa survivalista, ed è capace di enfatizzare i piccoli drammi della quotidianità quanto i grandi temi di giustizia, verità e libertà mediante uno scenario di per sé distopico.
In poche parole, Howey rende diverso qualcosa di già visto.
L’idea di una sopravvivenza umana sottoterra permette di creare una struttura sociale e abitativa articolata e "slittata" rispetto a quella che consideriamo "normalità".
Che tale struttura sia anche verosimile nei dettagli più tecnici è da stabilire ma, nel complesso, sta in piedi.
Claustrofobico quanto basta, il romanzo nasce da un'idea precisa: se l'unica visione del mondo passa attraverso uno schermo artificiale, cosa succede se la gente smette di credere a quello schermo? Non a caso, coloro che detengono il potere informatico non sono proprio i buoni della storia.
Il libro ha un buon ritmo di narrazione, POV multiplo, personaggi delineati con una certa cura – sebbene non tutti - e alcuni snodi di trama capaci di incuriosire.
A questo si aggiunga il fatto che la distopia va di moda: gli esempi nella narrativa e nel cinema sono molteplici, uno per tutti il fenomeno Hunger Games. Sebbene diverso dal postapocalittico e orientato verso lo young adult, il genere dystopian rientra nella stesso campo d’interesse: storie dove si raccontano una Fine e un Nuovo Inizio.
Quando qualcosa conquista i lettori, inizia a piacere moltissimo agli editori. Se poi mostra, come in questo caso, delle cross-potenzialità, anche i media si entusiasmano: WOOL è una storia duttile, aperta a vari tipi di trasposizione: non a caso Ridley Scott ha già opzionato i diritti per un film, e niente vieta che magari possa essere realizzata anche una serie tv, un gioco o un videogioco. La struttura dell’opera di Howey sembra fatta apposta.
In conclusione, cosa è e cosa non è WOOL? Forse non è un capolavoro che passerà alla storia ma costituisce un’idea vincente, perfettamente in linea con i gusti del momento e le attuali esigenze di mercato. Sta entusiasmando migliaia di lettori, vendendo copie e mettendo germogli nei media. Rappresenta una lettura piacevole rispetto a tanta “palta” del panorama fantastico e ha dimostrato la capacità di evolvere dal brodo primordiale dell'auto-pubblicazione con indubbia dignità.
8 commenti
Aggiungi un commentoCome detto c'è ben poco di originale. Punti a suo favore: 1) comunque è leggibile; 2) non è "young adult", ovvero scritto per "ragazzini" (perchè gli adolescenti hanno bisogno di essere chiamati young adult invece che ragazzini?)
Perché ormai il termine young adult è entrato nella terminologia corrente italiana e indica un target (anche qui, si usa questo termine perché più veloce di "obiettivo che ci si propone nella vendita di un prodotto" specifico: pubblico che ruota intorno ai 18 anni (in un lasso dai 14 ai 21 circa).
Grazie di aver letto la recensione
Ogni tanto sembra invece che 'young adult' voglia dire cretinetti...per questo odio questo termine.
Lo so. In Italia è così, ma non è vero. Esistono dei romanzi cosiddetti young adult, per motivi di comunicazione, che sono... stupendi. Per tutte le età.
Però vorrei dire una cosa: Wool è una bella storia, per tutti.
Sì sì, il mio era un commento in generale.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID