Capitolo 2
Appollaiata sullo sgabello del bancone, Nicole guardava fuori dalla vetrina: il cielo era grigio e le gocce di pioggia correvano lungo la porta a vetri; non faceva in tempo a seguirne una con lo sguardo che subito un’altra, precipitando dal cielo, vi si univa. Fissandole poteva sentirle anche dentro di sé, come in un pianto che le scivolava dalla mente al cuore e poi giù fino ai piedi, scavando un percorso sempre più profondo nel quale avrebbe voluto lasciar fluire i pensieri e le emozioni, per liberarsene una volta per tutte.
Quel momento di malinconica pace durò poco, interrotto dallo zio Bernard che uscì dal magazzino brontolando. «Nicole, non hai visto che è arrivato il furgone? Datti da fare!»
Un camioncino stava parcheggiando sul ciglio della strada proprio sotto l’insegna della libreria “Plume d’Oie”. Bernard aveva scelto quel nome in onore del manoscritto più prezioso da lui posseduto all’epoca dell’apertura del negozio: un frammento del diario dell’abate Bernone di Borgogna, databile tra il IX e il X secolo, recante degli appunti sugli studi della costruzione del monastero di Cluny e alcune tra le più interessanti osservazioni sulla vita monastica. Nicole l’avrebbe barattato volentieri con qualche più intrigante lettera d’amore risalente alla stessa epoca, ma suo zio le aveva fatto divieto anche solo di menzionare un tale proposito. Oramai il suo valore affettivo superava quello intrinseco e così, alla fine, si era rassegnata a tenere quella vecchia pergamena.
Bernard s’infilò l’impermeabile. «Sto ancora facendo spazio in magazzino, per il momento posiamo i libri qui, davanti al banco.»
«Sì, zio.»
Prese un elastico abbastanza morbido da non spezzarle i capelli e li legò in una coda alta, lasciando libere le ciocche più corte e ribelli. Spalancate le due ante della porta d’ingresso cominciò a scaricare i volumi dal furgoncino.
Nonostante l’età, Bernard riusciva a trasportare pile di libri alte quanto quelle di Nicole, se non di più; l’uomo, asciutto, aveva un portamento ancora piuttosto prestante fatta eccezione per le spalle leggermente incurvate dalle troppe ore trascorse nella lettura. I bambini gli stavano alla larga perché aveva un volto austero, contornato da radi capelli bianchi, ma Nicole sapeva che in fondo era un uomo buono, forse solo un po’ troppo energico. Qualche volta aveva sperato di somigliargli maggiormente.
«Oh santi numi, Nicole!» La riprese Bernard. «Ti dispiacerebbe indossare qualcosa di più decoroso quando vieni al lavoro?»
Nicole sapeva benissimo a cosa si stesse riferendo suo zio. Ogni volta che si chinava per appoggiare a terra i libri, i jeans a vita bassa scendevano dando mostra del suo tatuaggio: due piccole ali, all’altezza del rene destro, legate da una catenella che le circondava la vita.
«Solo tu ti lamenti di quel che vedi, zio!»
In effetti il fattorino sembrava apprezzare lo spettacolo, lanciando sguardi in tralice in direzione del suo sedere e verso le chiare rotondità che si intravedevano tra le pieghe della sciarpa e la profonda scollatura del maglioncino. Di tanto in tanto il ragazzo gettava qualche occhiata al suo viso, verso quegli occhi dalla forma vagamente a mandorla che, nei giorni uggiosi come quello, erano di color verde-marrone, mentre con il sole si accendevano di incantevoli riflessi smeraldini.
Gesticolando seccato, Bernard mandò via il fattorino, ma non prima di avergli dato una lauta mancia. Dietro a quel muso da vecchio burbero si poteva scorgere il suo ottimo umore, dovuto senz’altro alla nuova consegna di volumi antichi. Antichi almeno quanto lui.
Sosteneva da sempre che il mondo fosse pieno di ereditieri stolti che non davano il minimo valore a ciò che possedevano e naturalmente lui amava approfittarne ogni qual volta se ne presentasse l’occasione.
Nel magazzino, Nicole, accatastò i libri uno sull’altro e l’odore della carta polverosa la fece starnutire; allora si fermò a pensare da quanto tempo quei microrganismi impregnassero i vecchi testi: forse da centinaia di anni.
Quella fragranza era qualcosa di inconfondibile e molte volte le era sembrata essere l’unica ragione per la quale tornare ogni mattina in libreria. Era bello rintanarsi tra cataste di vecchi volumi a odorare la carta ingiallita che “profumava” di infinite storie. Le storie di favolose avventure, di cavalieri indomiti e perpetue lotte tra bene e male, fantasie che potevano facilmente prendere corpo nella mente di una sognatrice la cui vita era tremendamente lineare.
Sua mamma Elizabeth sperava che prima o poi si rendesse conto del fatto che rilevare la libreria dello zio sarebbe stato un bell’affare. Al momento, però, Nicole riteneva che il mondo fosse troppo grande e troppo interessante per finire col rinchiudersi tra quattro mura. Sentiva che c’era qualcosa che le stava sfuggendo tra le mani e che, di lì a poco, il tempo delle fantasie sarebbe stato soppiantato del tutto da quello del dovere e del lavoro.
Nobile, noioso, impegnativo lavoro.
La vita era troppo breve per essere sprecata in modo così stupido. Crescere? Giammai!
Di solito Bernard approfittava della presenza della nipote in negozio per uscire un po’ prima dell’orario di chiusura, concedendo però a lei di arrivare più tardi la mattina. Un tacito accordo che conveniva a entrambi. Anche quel pomeriggio, nonostante il maggior tempo richiesto per la suddivisione dei libri appena consegnati, lasciò il compito di chiudere la “Plume d’Oie” alla ragazza.
Non passarono nemmeno cinque minuti dal termine dell’orario di lavoro, che Nicole si nascose in magazzino a rollarsi uno spinello; era un rituale che serviva a scacciare tutte le ansie e che era diventato ormai come una droga… ma in fondo era proprio di questo che si trattava: di una droga! I campanelli che sentì risuonare però non erano frutto del THC appena inalato, erano piuttosto quelli appesi alla porta del negozio.
«Cristo, ma chi cavolo è a quest’ora?» Sibilò tra i denti.
«Bernard? Ci sei?» Giunse una titubante voce maschile.
Nicole lasciò la canna accesa nel posacenere sperando di liberarsi presto dell’inopportuno visitatore e sbucò dal retro con in mano una catasta di libri pronta per essere prezzata e riposta negli scaffali.
«No, zio Bernard è già uscito. Chi lo cerca?» Fece capolino dalla pila per vedere e proseguì.
Il volto del reverendo Morél era l’immagine della serenità. Non indossava l’abito lungo, ma era inconfondibile con il collarino bianco e con quella ciocca sbiadita, che navigava come panna nel caffè, tra i suoi capelli. Anche se aveva passato la quarantina, era un uomo ancora piuttosto in forma con quel pizzico di robustezza in più che Nicole imputava maliziosamente alla carenza di sfoghi di altra natura.
Le rivolse un sorriso genuino che si allargava sulle guance rosacee.
«Salve reverendo» lo salutò Nicole. «In cosa posso esserle utile?»
«Bernard mi aveva promesso che avrei potuto dare un’occhiata agli ultimi arrivi prima che fossero stati messi in vendita.»
Padre Morél aveva sempre la precedenza e questo lei non lo riteneva affatto giusto, ma era il volere di suo zio, quindi così doveva essere.
«Prego, faccia pure.» Disse stringendosi tra le spalle.
L’odore della marijuana le accarezzò le narici. Sorrise un po’ imbarazzata, mentre l’uomo fiutava l’aria distraendosi dai titoli che avevano appena catturato la sua attenzione. I loro occhi s’incontrarono in una conversazione muta che divenne reale solo nella mente di Nicole.
So cosa stai facendo. Le stava dicendo lui.
E allora? Che problema c’è? Invidioso? Sghignazzava lei sfidandolo. Nella realtà fu molto meno sfacciata.
«Se vuole controllare con calma, io devo tornare un momento in magazzino.»
A controllare che non prenda fuoco. Aggiunse solo con il pensiero.
Lui cominciò a guardarsi intorno e dopo poco riprese a parlare. «Nicole, è da tanto che non vieni in chiesa. Non ti ho più vista da quando…»
«Da quando sono finita dentro?» Lo anticipò, saltando di nuovo fuori dal retro e stringendo gli occhi con un ghigno poco amichevole. Non le piaceva che le si ricordasse quella storia: cinque mesi prima aveva dato fuoco al laboratorio di vivisezione “Vincent&Group” e questo le aveva procurato una gran brutta nomea. Poté quasi risentire l’eco della voce di Bernard e dei suoi genitori che la rimproveravano per i modi tenuti nei confronti di un sacerdote totalmente estraneo alle
malefatte. La colpa era soltanto sua, come sempre. Sospirò.
«Mi scusi, non volevo essere sgarbata.»
«Eccoli!» Dimentico delle parole della ragazza, Morél si chinò su alcuni dei tomi arrivati quel pomeriggio. «Oh sì, qua c’è qualcosa d’interessante!»
Il prete scelse tre volumi e le chiese di tenerglieli da parte finché Bernard non ne avesse stabilito il prezzo; poi, prima di uscire, si volse un attimo indietro.
«Nicole, non sono le voci che fanno di una persona quel che è.» Detto questo, alzò il colletto del cappotto e s’incamminò lungo la strada.
Non le aveva mai fatto un’osservazione del genere e per una volta sembrò essere d’accordo con il reverendo. Non trovando nulla da ribattere lo guardò allontanarsi ed espose finalmente in vetrina il cartello con la scritta “Chiuso”.
Aveva quasi smesso di piovere.
Finalmente sola si rifugiò in magazzino e prese a sfogliare i volumi di Morél, terminando in due profonde boccate quel poco di “antistress” rimasto; erano tutti e tre in latino: uno era soltanto scritto, uno riportava immagini di santi e del loro martirio, e l’ultimo era una raccolta di stampe che raffiguravano scene apocalittiche. Niente che potesse attrarla. Li ripose impilandoli scrupolosamente in ordine di grandezza, carezzandone le copertine in modo sbadatamente istintivo, dopo di che vuotò il posacenere e chiuse il sacchetto della spazzatura per portarlo via.
Prima di uscire spense le luci. Le riaccese.
Le spense ancora.
Tre volte era il numero giusto o comunque era sufficiente una sequenza di ripetizioni che fosse dispari.
Mai pari.
Pari era male. Secondo il suo cervello assillante, pari era sfortuna.
Il perché avrebbe tanto voluto saperlo anche lei, ma ormai aveva smesso di domandarselo da tempo, accettando la schiavitù delle sue manie compulsive come una tassa da pagare per non perdere la bussola. Si trattava di ripetere gesti e di fare attenzione a quei piccoli particolari che creavano una dissonanza nella sua mente.
Facile, ma anche estremamente snervante.
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