I Centomila Regni è un intero mondo riunito nelle mani della nobile famiglia Arameri che, grazie all'alleanza con il dio Itempas - Signore Lucente del Cielo e della Terra nonché Garante di Pace - ne ha il dominio assoluto.
Yeine Darr, principessa guerriera, o meglio ennu, di una terra nel Lontano Nord di questo enorme regno è di etnia Darre per parte di padre e di stirpe Arameri per parte di madre, morta da poco in maniera sospetta.
Yeine viene improvvisamente richiamata alla corte di Sky dall’ ”imperatore” Dekarta Arameri, suo nonno materno, in quanto erede al trono.
Tuttavia, la giovane non è l’unica pretendente: ciò che la aspetta è una feroce competizione con i cugini Scimina e Relad e con le loro particolarissime “armi”.
Infatti il magico palazzo di Sky, che sovrasta l’omonima città ondeggiando nel vuoto al vertice di un lunghissimo e sottile pinnacolo, non è abitato solo da umani: gli dei che una volta imperavano e che sono stati sconfitti da Itempas, vivono come schiavi degli Arameri, costretti a mettere a loro servizio i propri poteri ultraumani.
Complotti, trasformazioni e combattimenti coinvolgono chiunque si muova fra i vari piani visibili e invisibili della corte, sintetizzabili nella frase pronunciata dal vecchio patriarca: “Ho nominato tre eredi. Di fatto, uno solo di voi riuscirà a succedermi. Gli altri due si uccideranno a vicenda o verranno uccisi dal vincitore”.
Con I Centomila Regni, l’approccio di Nora K. Jemisin alla fantasy non è convenzionale. È, piuttosto, contraddittorio.
La storia presenta i topoi classici di genere: una giovane eroina in difficoltà, un castello magico, la lotta eterna fra Luce e Ombra, alleati, nemici, incantesimi, creature divine o demoniache a seconda del punto di vista, la ricerca della verità sulle proprie origini, la scoperta di poteri insospettati che rendono la protagonista Prescelta di tutte le Prescelte. Abbiamo anche una teogonia e una mitologia, svelate parallelamente alla storia. Questo farebbe pensare a un epic fantasy tradizionale.
Tuttavia, il romanzo offre dall'inizio un approccio particolare: una linea narrativa non lineare e frammentata, una voce in prima persona che racconta, a volte non ricorda, torna indietro e aggiunge tasselli fino a svelare il quadro narrativo nel suo insieme. O meglio: l’autrice ha inserito ben tre appendici al romanzo per chiarire alcuni termini e vicende che possono dare adito a perplessità.
In ogni caso, questo aspetto da “fiaba orale” non guasta e consente anzi di stabilire un rapporto quasi intimo fra storia e lettore.
Veniamo al contenuto del romanzo e in particolare agli dèi del Pantheon della Jemisin, i veri protagonisti. Dal Maelstrom iniziale nascono i Tre: Itempas, Nahadoth, Enefa (Dio, Satana, Lilith ma anche Luce, Tenebra e Vita) che danno luogo a una vasta discendenza di dei e semidei.
Di questi, dopo una sanguinosa guerra che ricorda le mitologie classiche, ne resterà solo Uno. Gli altri diventeranno, come si è detto, schiavi della famiglia regnante. Il risultato è un nutrito numero di divinità umanizzate (non manca il trickster) che passano in continuazione da un corpo mortale a una forma divina, complottano, litigano, uccidono, fanno sesso ecc. come e più dei loro padroni.
Questo sposta l’atmosfera e il contesto del romanzo nell’urban fantasy e nel romance: forse sarebbe stato più adatto il titolo originale scelto dall'autrice, The Sky-God's Lover.
Il problema non è però la commistione di generi o sottogeneri - la Fantasy “travalica costantemente i suoi stessi confini”- ma il fatto che questo tipo di commistione epic - urban non sembra perfettamente riuscita.
Nella Fantasy che vuole essere epica non è semplice narrare di dèi.
La cosa più efficace è forse lasciarli nel loro irraggiungibile Olimpo, ammantati di terribili e oscuri poteri: poche divinità resistono alla vicinanza con i mortali e in genere la loro forza come personaggi si corrompe.
I Centomila Regni è un romanzo fantasy che ammicca sia all'epico che all’urban: per questo motivo sembra un mosaico non finito, dove troviamo voli immaginativi notevoli accanto a momenti da soap opera e una narrazione involuta che a volte si fa perdonare, a volte no.
Inoltre, le elucubrazioni mentali della protagonista sono spesso stancanti.
Considerando i riconoscimenti ricevuti, c’è da chiedersi quanto di questo dipenda dalla traduzione, anche se in genere un’opera di valore riesce a scavalcare qualsiasi “lost in translation” e, in ogni caso, è troppo comodo dare sempre la colpa al traduttore.
Nel complesso, un libro non convenzionale, interessante per certi snodi di trama ma da approcciare con la pazienza dell’amante di genere.
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