« […] Un esercito non può
esistere senza ordine e disciplina.
È perciò tanto più strano constatare che, quanto a ordine e
disciplina, la vera guerra – e di guerre ne ho viste
parecchie – ricorda come due gocce d’acqua un bordello in
preda alle fiamme. »
Ranuncolo, Mezzo secolo di poesia
« Disse allora la fata allo strigo: ‘Questo è il mio consiglio:
metti degli stivali di ferro e impugna un bastone da viandante, anch’esso di ferro. Con gli stivali di ferro recati all’estremo limite del mondo e saggia la strada davanti a te col bastone, aspergendola di lacrime. Va’ attraverso il fuoco e l’acqua senza fermarti e senza guardarti indietro. Quando poi le suole saranno consunte, quando il bastone di ferro sarà consumato, quando il vento e il caldo avranno seccato i tuoi occhi al punto che non una sola lacrima potrà sgorgarne, allora all’estremo limite del mondo troverai ciò che cerchi e ciò che ami. Forse.’
E lo strigo andò attraverso il fuoco e l’acqua senza guardarsi indietro. Ma non prese né stivali di ferro né bastone. Prese solo la sua spada da strigo. Non ascoltò le parole della fata. E fece bene, perché era una fata cattiva. »
Flourens Delannoy, Favole e leggende
Dopo aver finito la lettura de Il battesimo del fuoco di Andrzej Sapkowski sorge prepotente una domanda: "Cosa si pensa sia un racconto fantasy, con un lungo viaggio pieno di pericoli, pochi o tanti compagni di viaggio, magia e mostri, in un mondo sconvolto da una guerra ove le “verità” sono in lotta non meno degli eserciti contrapposti?"
A occhio e croce, meno uno ha letto storie di questo genere più riterrà di sapere la risposta, mentre i più esperienti sono lì in attesa, chiedendo all’autore di essere sorpresi – e in questi ultimi anni il fantasy internazionale di buone sorprese non ne ha lesinate.
Sapkowski – come era riuscito a fare nelle raccolte di racconti brevi quali Il guardiano degli innocenti – ha organizzato per tutti i tipi di lettore una pirotecnica serie di capovolgimenti di topoi. Questo in un libro del 1996, collocabile nel solco dell’ultima evoluzione del fantasy classico, in cui sono fondamentali un buon approfondimento psicologico dei personaggi, trame più credibili e un realismo sul quel che è la figura dell’eroe, la guerra, l’uso della magia, le razze magiche e in generale non umane (quando presenti).
Geralt è stato ferito a morte nel libro precedente, Il tempo della guerra. Non sarà più lo stesso combattente che avevamo conosciuto negli episodi passati. L’amata Yennefer è scomparsa dopo i fatti sanguinosi avvenuti a Thaned e tutto fa pensare che sia coinvolta nella congiura di Vilgeforz. Ciri – la Bambina Sorpresa il cui destino è legato a quello di Geralt – è dispersa nell’immenso territorio dell’Impero di Nilfgaard, prigioniera e futura sposa dell’imperatore Emhyr var Emreis, forse.
Intanto la guerra imperversa e brucia la terra, spazzando via non solo i soldati, ma anche tanti villaggi di semplici contadini. E, come in tutte le guerre vere, le informazioni sono oggetto di palleggio fra una parte e un’altra, con opposte versioni dei medesimi fatti fra cui difficile è raccapezzarsi. Nonostante tutto Geralt, preso com’è dall’urgenza di ritrovare Ciri, non ascolta ragioni di prudenza e di convenienza e parte verso il fiume Yaruga, oramai confine col territorio controllato dall’impero dei “neri”, con chiunque voglia seguirlo, ma anche da solo, all’occorrenza
Questo terzo romanzo – centrale nella saga di Geralt e Ciri – ci mostra lo strigo accompagnarsi a molti nuovi personaggi: l’arciera dei boschi Milva, il nano Zoltan Chivay e la sua compagnia– tra cui uno gnomo dal gran fiuto e il pappagallo dall’eloquio quanto mai triviale, conosciuto come Feldmaresciallo Duda – a guida di profughi umani senza più una casa, il cerusico Regis, dalle multiformi capacità, oltre all’inossidabilmente ciarliero amico di tante avventure, il bardo Ranuncolo. Tutti questi personaggi hanno un’apparenza iniziale che non include tutto quanto rivelano essere proseguendo nella lettura.
Tutto questo mentre Ciri cresce come una fiera selvaggia nella banda di predoni conosciuta come I Ratti, con la morte sempre alle calcagna, sentendosi abbandonata da tutti. La vediamo diventare una spietata combattente, una vera e propria predatrice.
Ritroviamo – brevemente – anche Yennefer, ottenendo così un’integrazione inattesa dei fatti in cui è stata implicata. Il tocco d’autore nella descrizione dei personaggi femminili, per quanto qui siano presenti in un numero di pagine limitato, è magistrale.
Le vicende si succedono per cortocircuiti e spesso fuori dalle originali intenzioni dei loro protagonisti. Siamo forse più dalle parti della Picaria che dell’Epica per gran parte del romanzo: Geralt e compagni sono più volte sballottati di qua e in là, cercando di mantenere la rotta, ma non riusciranno a esimersi dal lottare armi in pugno per una delle due fazioni.
Leggendo questo libro si potrà forse lamentare qualche passaggio troppo spiegato, ma si tratta di casi rarissimi. Si potrà, forse, dire che “Di Lupo bianco ce n’è solo uno” come qualche critico ha singolarmente ricordato, ma ciò sarebbe come lamentare a Steven Erikson, Joe Abercrombie e altri autori di Military Fantasy di aver ripreso i romanzi degli anni ’80 di Glenn Cook: leggere da cima a fondo questo bel romanzo di Sapkowski è rendersi conto che Geralt è sì un discendente di Elric, ma al cubo. Sapkowski ha preso la figura dell’albino con spada e l’ha sviluppata, rendendola più solida e tridimensionale, più complessa di quanto non sia mai stato l’adolescente ribellardo a perdere Elric di Melniboné. Se qualcuno poi temesse l’ennesimo libro del solito fantasy che imperversa nei nostri scaffali, con protagonisti sanguinari e letali, la tanto detestata magia, mostri che nessuno ha visto mai davvero… aprendo questo romanzo apprenderebbe che Sapkowski non si sogna nemmeno di glorificare la guerra. I suoi personaggi sono eroi loro malgrado e nonostante gli intenti personali, perché di solito si trovano in compagnia di esseri marginali, fra odi etnici contrapposti. Ne Il battesimo del fuoco gli atti peggiori li compiono proprio gli umani, mentre i mostri mitologici possono anche essere dei poveri diavoli con cui è anche consigliabile accompagnarsi per un tratto di cammino; inoltre si impara la stupefacente nozione che a volte è più magico un gesto di generosità disinteressata di tutto un bombardamento a palle di fuoco.
5 commenti
Aggiungi un commentoDi imitare Elric di Melniboné non accusero mai questo buon Sapkowski (il suo personaggio c'entra poco oltre ai dettagli superficiali), di essere diventato un po' prolisso e poco concludente invece, temo di sì.
Altri hanno portato questa accusa, in una recensione che
mostra solo quanto il suo autore non ha letto (o, almeno,
non ha finito di leggere) questo libro e io gli ho dato quel che
si merita.
Sulla prolissità, oh beh, c'è di assai più prolisso in giro che
il "povero" Sapkowski e, comunque, questo libro III di V
pone le premesse per il finale di saga, è abbastanza normale
che l'autore si diffonda (in comunque poche e ben delimitate
parti) a fornire informazioni al lettore.
Sul "non concludere", mah! Il fatto di aver rivoltato come un
calzino più di un topos del Fantasy classico (o epico, come
preferite) mi soddisfa già a sufficienza!
Il battesimo del fuoco è un buon libro, ma avendo letto tutti gli altri libri tradotti in Italia dell'autore, mi aspettavo qualcosa di più. Che la saga sia un buon lavoro e abbia rovesciato certi canoni è un punto a suo favore: quello che noto però in quasi tutte le saghe è che i volumi di mezzo tendono a calare.
Come già fatto notare a parte i capelli bianchi Geralt e Elric si assomigliano come il giorno e la notte. Per quanto riguarda lo sviluppo mi sembra evidente che Sapkowski invece di preparare la storia per i volumi finali si concentra sul preparare i personaggi e i cambiamenti psicologici che subiscono. Un volume di passaggio ma ancora ad alto rendimento
Molto ben detto, assassino!
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