Ciao Vittorio, ci parli della "tua fantascienza"?
La “mia” fantascienza è nata man mano che, negli anni, scrivevo (in massima parte) racconti, e individuavo i temi che maggiormente mi affascinavano. Le storie degli inizi risalgono alla prima metà degli anni ’50, erano di 3 o 4 pagine e si svolgevano solitamente su altri pianeti o a bordo di astronavi. Tutta roba ovviamente di solo esercizio. Lentamente, l’interesse si spostò al nostro pianeta. Leggevo anche molta narrativa mainstream, adoravo scrittori come Cesare Pavese, il Moravia dei “Racconti romani”, Ernest Hemingway, Vladimir Nabokov (considero il suo romanzo “Ada” la più bella storia di sf mai scritta, unitamente a Solaris di Stanistaw Lem), Faulkner e altri, e mi sforzavo di richiamarmi ai loro stili e moduli narrativi. Mi sarebbe piaciuto anche scrivere storie di una fantascienza plausibilmente immersa nei paesaggi della cultura e della Natura di casa nostra. Ma non per sciocco campanilismo. Pensavo che imitare i nostri Maestri (dinanzi ai quali tuttora mi inchino: Asimov, Clarke, Heinlein, Simak, Williamson, Hamilton, Van Vogt, Bradbury e altri), narrare di personaggi dai nomi anglosassoni e ambientati negli Usa, era una guerra persa in partenza: la sf “all’americana” sarebbe sempre stata scritta bene solo dagli americani. Non ero l’unico a pensarla così: scoprire che anche Lino Aldani, poi Vittorio Curtoni, e altri avevano le stesse idee mi confortava e stimolava a proseguire. Benché su questo tema ci si sia ritrovati sempre in pochi, anzi pochissimi. La lettura poi di autori quali Sheckley, Pohl, Kornbluth, Tenn, Reynolds, Dick, che negli anni ’50/60 spostarono l’interesse sul “sociale” (la famosa “social science fiction”), mi colpì moltissimo. Scoprire una “fantascienza sociologica” (così era stata denominata in Italia) non fu affatto ridurre i panorami della fantascienza. Al contrario li allargò, in una sorta di scansione a 360° del “reale”, perché riusciva a trattare tutte, o quasi, le tematiche e motivazioni umane. In 52 anni di sf pubblicata (il mio primo racconto edito apparve nel 1962 sulla storica collana Galaxy) ho potuto trattare le tematiche più svariate, (principalmente temi ecologici, politici, affettivi, scientifici, o del vivere quotidiano) rielaborando fantascientificamente ipotetiche situazioni e tendenze di attualità di vario genere. Che poi io riesca o meno nel mio intento, non spetta a me giudicare. Valido o meno che sia, mi piace chiamare ciò che scrivo “fantascienza del reale”.
Anche Replay di un amore ha avuto molto successo tra i lettori, c’è un ingrediente segreto, oltre la tua splendida scrittura?
Se c’è ed è segreto, non lo conoscerò mai neanche io. Posso solo dire che anzitutto chi scrive dovrebbe essere convinto di ciò che scrive, lo deve “sentire”. Poi si deve maturare il “mestiere”, che a mio modestissimo parere non viene dalle scuole di scrittura, né da una luce divina, ma – tranne che si tratti di un genio – da una personale passione per la lettura, una lettura variegata, ma soprattutto “critica”, che dovrebbe insegnare a cogliere e analizzare situazioni, svolgimento, richiami, ritmi narrativi, plausibilità (per quanto la sf permette) personaggi, dialoghi, punto di vista, eccetera. Un buon libro di narratologia può certamente risultare prezioso e aiutare a chiarire le idee, e insegna molte cose, ma questo non basta, se non si aggiunge esercitazione e verifica, facendo leggere in anteprima ad altri ciò che si è scritto.
Quanto c’è della tua personalità nel romanzo?
Se ti riferisci a “Replay di un amore”, c’è moltissimo del mio vissuto, più che in ogni altra mia opera sf, anche se ancora maggiore è l’elemento fantastico-fantascientifico. Il protagonista sono un po’ io, ovviamente con alcune esasperazioni; le figure femminili sono riprese da persone reali, sebbene adattate all’ambiente. La parabola sentimentale di Bruno è un… quasi-vissuto, e indubbiamente in alcuni punti mi ha preso la mano in modo piuttosto forte. Accade in misura maggiore o minore quasi in tutto ciò che scrivo. Soprattutto per chi sia al di fuori della fantascienza può apparire inverosimile, ma è così.
Hai mai riscontrato problemi durante la stesura del racconto?
2 commenti
Aggiungi un commentoBell'intervista, sono d'accordo con tutto quello che sostiene Vittorio
Grazie, Gian! Per me è incoraggiante...
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