Prologo
Parigi, 7 febbraio 1910
Come il sole quando piove.
Un raggio incrina l’antracite nel cielo.
Una cascata di luce bagna place du Tertre.
Una folata di vento muove le chiome degli alberi nel la piazza.
Una goccia d’acqua scivola su una foglia. S’illumina come un diamante. Vola nell’aria. E s’infrange su un volto.
Il ragazzo si asciuga la guancia. Le dita della mano cariche di anelli d’oro. Solleva appena la testa, socchiude gli occhi. Le labbra si piegano in un sorriso.
È seduto su uno sgabello, di fronte al bistrot À la Mère Catherine. Indossa una redingote a doppiopetto marrone scuro, attillata in vita, corta sulle cosce e con una coda che arriva fino al ginocchio. Ampi revers richiudibili gli scendono sulla schiena. La giacca è aperta, lascia intravedere una camicia gialla a maniche lunghe svasate sui polsi e una cravatta ascot color lilla. I pantaloni, aderenti e a righe blu, terminano dentro stivali di un nero lucido come ossidiana.
Il ragazzo alza una mano, si intravede l’ultimo gioiello di Cartier appena acquistato, un orologio da polso.
Controlla l’ora e sbuffa, annoiato. Si guarda attorno. La piazza è gremita di persone, per lo più turisti. Alcuni si dirigono verso i bar, altri attendono il loro turno per far si ritrarre da uno dei molti pittori che animano il quartiere di Montmartre. Ogni tanto un’automobile passa nella strada che costeggia l’aiuola centrale.
— Dorian, puoi stare fermo?
Dorian sbadiglia e guarda in tralice Henry, il suo tutore. Porta un garrick grigio un po’ troppo stretto, tanto che i bottoni sembrano voler schizzar via da un momento all’altro. Sul petto scende un foulard grigio, con una fantasia floreale identica alla stoffa del suo ombrello.
Henry si liscia i baffi, borbotta qualcosa. Osserva con attenzione la tela posta su un treppiede a pochi passi da lui e il pittore francese del quale Dorian neppure rammenta il nome. Un artista di strada, uno dei tanti miserabili di Parigi che si è improvvisato ritrattista per racimolare qualche quarto di franco.
Dorian da anni desiderava visitare il cuore della Francia, assaporare la bellezza e l’arte sofisticata di Parigi, passeggiare sui lungosenna, partecipare alle feste più esclusive, contemplare le gargolle sulla facciata della cattedrale di Notre-Dame, ammirare l’imponenza di quel monumento futurista che ha suscitato tanto interesse dopo l’Esposizione Universale del 1889, la Tour Eiffel.
E innamorarsi di ogni sconosciuto. Dieci, cento, mille volte.
Invece avrà appena due giorni. I soli che Henry è riuscito a sottrarre ai suoi impegni di lavoro. Contrattare con gallerie d’arte, acquistare e vendere quadri, organizzare mostre itineranti. E ora, Dorian ne è certo, stanno solo sprecando tempo prezioso.
— Manca ancora molto? Sono quasi le cinque — chiede, seccato.
Henry si gratta un sopracciglio. Punta l’ombrello a terra come una spada.
— Ci siamo. Il capolavoro è finito! — esclama dopo poco.
Dorian alza gli occhi al cielo. Si avvicina incuriosito ma per nulla fiducioso. Conosce Henry da quando aveva cinque anni, sa bene che il suo tutore tende a enfatizzare qualsiasi giudizio.
Ma stavolta rimane estasiato. Sgrana gli occhi e trattiene il respiro.
Ciò che vede dipinto sulla tela è qualcosa di meravigliosamente bello. Purezza e seduzione. Luce e giovinezza.
I lineamenti del volto sono perfetti, ogni difetto è scomparso con un accurato dosaggio dei colori e dei chiaroscuri. Gli occhi sono celesti come il ghiaccio, l’espressione magnetica e sensuale.
Dorian si volta, sbalordito. Henry sta confabulando con il pittore a qualche metro di distanza. Il ritrattista dimostra più o meno vent’anni, la sua stessa età. È basso, esile come un giunco, vestito con abiti di mediocre fattura.
Viso anonimo, capelli di un castano spento, disordinati.
Il pittore gesticola. Movimenti rapidi, portamento sgraziato. S’infiamma in volto. Henry sbuffa, guarda altrove. D’un tratto lo interrompe colpendolo alla gamba con l’ombrello, quindi gli infila in tasca una mazzetta di banconote. Dorian rimane a bocca aperta. A colpo d’occhio sembra una somma considerevole, superiore a quella che un artista di strada meriterebbe per un semplice ritratto.
Henry torna a passo svelto verso il treppiede. Alle sue spalle, il pittore impreca in francese. Henry si volta di scatto e lo minaccia con la punta dell’ombrello.
— Hai ricevuto più di quanto puoi guadagnare in un anno intero. Adesso sparisci in qualche buco come un ratto della Senna e non farti più vedere. — Afferra la tela e si allontana verso una strada laterale.
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