Nel Giappone del periodo Muromachi (XIV-XVI sec.) il progresso tecnologico comincia a turbare l'equilibrio soprattutto ecologico di molti popoli, tra cui la tribù degli Emishi che abita “tra l’Est e il Nord” dell’Arcipelago, e di cui Ashitaka è stato designato come futuro capo.
Quando un enorme cinghiale selvatico - posseduto dal demone maligno Nago - attacca il suo villaggio, il giovane non esita a difendere il proprio popolo uccidendo la creatura, ma in quell’attacco resta ferito al braccio.
Si accorge da subito che non si tratta di una semplice ferita e gli stessi saggi del villaggio glielo confermano: in essa c’è una maledizione che oltre a dargli una forza sovrumana (generata dall’odio portato dalla maledizione stessa) pian piano si espanderà in tutto il corpo e lo porterà alla morte condannandolo, nel frattempo, a una terribile sofferenza che solo acqua incontaminata può lenire. L’unico modo per cercare di salvarsi è dirigersi verso Ovest, alla ricerca di qualcuno in grado di annullare questa maledizione.
Apprenderà dal monaco Jiko, conosciuto durante il viaggio, che esiste una foresta in cui dimora il Dio-Bestia, una creatura dotata di poteri soprannaturali, che potrebbe guarirlo.
Decide dunque di cercare questa foresta, ma nel frattempo si susseguiranno una serie di eventi, anche piuttosto drammatici, ma Ashitaka non perderà mai il proprio spirito positivo e il proprio coraggio.
Durante questi eventi incontrerà San, la Principessa Spettro, una ragazza allevata dai lupi guidati dalla Lupo Moro e nemica giurata di Madame Eboshi, capo del villaggio dei Tatara, la Città di Ferro, con cui Ashitaka stesso entra in contatto dopo un attacco dei samurai.
San considera Eboshi la responsabile della distruzione della foresta, perché la consuma per lavorare i metalli nelle fucine del villaggio.
Ashitaka entrerà in contatto con la natura più incontaminata, poi con gli animali che, fatta eccezione per il fedele Yakul, il suo stambecco, odiano gli uomini perché incuranti delle conseguenze che lo sviluppo tecnologico e le guerre per il predominio stanno portando devastazione, con San, che seppure umana rifiuta la propria natura perché si sente solidale coi lupi che l’hanno accolta e allevata, con gli uomini del villaggio di Eboshi che salverà dopo l’attacco dei samurai e che aiuterà durante la sua permanenza tra i Tatara.
Il giovane mostra sempre profondo rispetto per tutti a costo di mettere a repentaglio la propria vita, ed è grato con quanti sono stati leali e gentili con lui. Quando si arriverà al combattimento finale, terribile quanto grandioso, in cui si contrapporranno tutte le forze (la natura e le sue divinità, gli animali, gli uomini, lo sviluppo tecnologico stesso) saranno proprio l’atteggiamento e il coraggio di Ashitaka a far convergere tutto nella giusta risoluzione, così da ristabilire armonia tra uomini, animali e gli dei.
Principessa Mononoke (Mononoke Hime), candidato al Premio Nebula nel 2001 e vincitore di numerosi premi giapponesi e internazionali, arriva nel 1997 dopo un film a tinte semipolitiche come Porco Rosso (1992) e una storia romantica come I sospiri del mio cuore (1995), ma è senza dubbio uno dei capolavori nati dal genio creativo di Hayao Miyazaki. Forse è quello lasciato maggiormente in disparte ed è un bene, dunque, che sia stato riproposto a 17 anni dall’uscita in Giappone; di certo non è considerabile una mera strategia commerciale perché si tratta di un film d’animazione di questo spessore etico, sociale, anche culturale.
È una storia complessa, con tanti protagonisti, con tematiche profonde e difficili, forse meno adatta ai più piccoli per via di qualche scena più cruenta come le spietate uccisioni degli attacchi samurai o alcuni colpi mortali sferrati da Ashitaka quando la maledizione si impossessa delle sue forze; tuttavia affronta una tematica sì cara a Miyazaki ma quanto mai attuale e che merita di essere ribadita il più possibile: il rapporto sempre più tormentato tra uomo, progresso tecnologico e natura. E dire che la storia è ambientata nel XIV secolo!
Vediamo infatti che nelle fucine di Madame Eboshi si producono “archibugi” (primordiali fucili) per difendersi dagli attacchi nemici e non solo, perché quelle armi serviranno anche nella terribile missione per uccidere il Dio-Bestia (un qill dal volto umano, le zampe di uccello, il corpo e le corna di un cervo) e profanare la Foresta dove vivono i deliziosi Kodama, spiriti degli alberi che aiutano chi si è perso a ritrovare la strada.
Principessa Mononoke riesce senza retorica o melenso buonismo, bensì con delicata fermezza a toccare il cuore e la coscienza dello spettatore, permettendogli di soffermarsi sulla bellezza della storia quanto di riflettere sulle tematiche proposte. Come al solito non c’è una condanna spietata, Miyazaki riesce a far comprendere le ragioni di ognuno, ma con il personaggio di Ashitaka propone una visione condivisibile delle cose, e forse è questo che dà un valore aggiunto alla pellicola.
Viene rappresentato tutto nei minimi dettagli: oltre a un’ottima caratterizzazione dei personaggi basata su uno schema tipico del regista (la vecchia saggia, il bonzo tarchiato, la donna bella e colta, oltre che generosa e guerriera, il giovane guerriero leale e di bell’aspetto, la giovane intelligente e slanciata), la natura, stavolta grande protagonista, è proposta come Miyazaki e pochi altri registi riescono a fare, in tutta la propria magnificenza. Anche le emozioni e i sentimenti sono protagonisti tangibili in questa storia, attraverso i gesti e i racconti dei personaggi.
I colori, soprattutto della natura, sono vividi e attraverso una grandiosa fotografia (Atsushi Okui, altro braccio destro di Miyazaki) riusciamo a goderne appieno, anche grazie alla perfetta commistione tra immagini e musica visto che ancora una volta, o meglio come sempre quando si tratta di Miyazaki, la colonna sonora è firmata dal grande maestro Joe Hisaishi, che riesce a comporre la melodia giusta secondo la scena che si sta svolgendo: più ritmica nei momenti prossimi alla battaglia, più sinfonici quando è il silenzio della natura il protagonista incontrastato della scena.
Rimangono impressi anche i brani cantati, di cui possiamo apprezzare la poesia del testo grazie ai sottotitoli che per nulla interferiscono con le sequenze del film.
Un discorso a parte va fatto, anche stavolta, per la nuova traduzione italiana, ancora una volta a cura di Gualtiero Cannarsi, il responsabile artistico della Lucky Red per lo Studio Ghibli, ma stavolta corresponsabile, insieme a Giorgio Nardoni “curatore” delle traduzioni, di questa ennesima nota stonata in un film assolutamente perfetto.
Critica che nasce non certo dal non drammatico ricambio dell’intero gruppo dei doppiatori (a parte Alessandra Cassioli per non più Lady ma Madame Eboshi): spicca, come sempre quando c’è, la presenza di Pino Insegno, scelto per il ruolo di Jiko al posto di Giorgio Lopez, e ben adeguati sono Lorenzo De Angelis per Ashitaka e Joy Saltarelli per San al posto di Alessandro Quarta e Laura Lenghi.
Il problema si pone, infatti, per quanto riguarda l’effetto che ottengono i nuovi dialoghi e alcune scelte lessicali, fatte con quella che ormai suona come la solita pretenziosa scusa della fedeltà con l’originale che Cannarsi continua a propinare da anni, senza ottenere alcun risultato positivo dai tempi di Porco Rosso (2010).
Se comprensibile è l’intento di rispettare il peso di una parola o dare maggiore solennità a un nome (anche se Sommo Dio-Bestia evoca molto poco l’aulicità che nemmeno Dio Cervo aveva saputo rendere; forse sarebbe bastato limitarsi a Spirito della Foresta come nella traduzione inglese), incomprensibile è appesantire rendendo contorto un dialogo già articolato di suo, al punto da far perdere il filo allo spettatore non solo con costruzioni che definire arcaiche rende parzialmente l’idea, quanto con scelte lessicali che non trovano alcuna spiegazione, nemmeno mettendola sulla questione storica.
I dialoghi, pensati in un registro antico per portare lo spettatore quanto più possibile nella giusta atmosfera, erano stati demoliti dalla traduzione Buena Vista, che aveva storpiato moltissime battute, non rispettando, talvolta, anche il senso delle scelte di Miyazaki. Un esempio per tutti: la storia di San e Ashitaka è molto sottintesa, mai i due giovani esplicitano sentimenti d'amore reciproco.
La nuova traduzione fa percepire questo registro "diverso", ma non riesce a rendere in modo soddisfacente la precisa scelta stilistica di Miyazaki. Cannarsi si era lungamente soffermato, sul forum dello Studio Ghibli, sullo stato di avanzamento del proprio faticoso lavoro di traduzione, ma tra "rispettare un registro" e poi lasciare delle espressioni che suonano "strane" per non dire brutte in italiano ce ne passa.
“Che tu abbia salute”, “Prego porta in seno con te” (frase rivolta ad Ashikata dalla giovane Kaya come ultimo saluto quando il giovane si allontana dal villaggio per iniziare la ricerca), “L’ultima volta che ero venuto”, “Quella lì è imperitura, non morirà per tanto poco”, “Pigiare la fornace”, “Non mi sento convinto”, “Vi recherò del sakè” sono solo alcuni degli esempi più discutibili di questa nuova revisione, che a parte i testi dei brani cantati (in cui ha senso una certa scelta lessicale) continua a far pensare che gli addetti ai lavori abbiano qualche difficoltà con l’italiano e che tutta questa millantata accuratezza sia solo una scusa - laddove non ci fosse solo un problema di diritti decaduti - per mettere in discussione il lavoro fatto in precedenza, una strategia volta soltanto a far comparire il proprio nome nei titoli di coda di un film di questo livello.
In conclusione, consigliamo allo stesso Cannarsi di fare pace con l’italiano e di provare a riapprocciarlo dopo essersi fatto un giro per il bosco dei Kodama: forse solo loro potranno aiutarlo a ritrovare la strada smarrita nelle sue contorte traduzioni, armonizzando i suoi pur lodevoli intenti con scelte lessicali forse più semplici ma più efficaci, che permetteranno di apprezzare non solo il film nella sua estrema bellezza, ma anche l’adattamento italiano per coglierne ancora maggiori dettagli e poesia.
10 commenti
Aggiungi un commentoNon ho pensato che fosse riferito a me, ma non la condivido comunque.
Stiamo parlando dello Studio Ghibli e non della Disney, purtroppo o per fortuna non c'è la stessa attenzione rispetto alla loro produzione e il seguito è creato da un "sustrato" diverso.
Al tempo stesso penso che purtroppo questo tipo di approccio "alla Cannarsi" non contribuirà a incuriosire gli scettici. E se lo uniamo alla distribuzione molto più rallentata rispetto alla Disney, un Oscar lo Studio Ghibli non lo vedrà ancora per molto, per non dire mai. Non che l'Oscar sia la prova di qualità assoluta, ci mancherebbe, troppo ci sarebbe da dire in merito, però ho sempre pensato che siano troppo troppo lenti e lunghi i tempi di distribuzione di un Ghibli rispetto a un Disney o Dreamworks, e che li penalizzi troppo.
Mi rattrista in modo indicibile vedere come sono trattati tali capolavori in Italia. Sono costretto a non rivedere al cinema, e a non comprare, uno dei miei film Ghibli preferiti. In cuor mio spero sempre che qualcun altro prenda in mano queste opere, ma rimane che ormai il danno è fatto... e se ne riparlerà forse, e dico forse, tra più di 10 anni. Che tristezza, senza contare che il responsabile di questi scempi lessicali continua imperterrito per la sua, ed è totalmente impermeabile a qualsiasi critica.
Kaya _non_ è la sorella di Ashitaka, è una giovane innamorata di lui, o forse la sua promessa sposa, che in pegno d'amore gli dona il pugnale che rappresenta il suo onore di fanciulla, tanto che ci si potrebbe chiedere se con questo gesto stia condannandosi ad una vita di solitudine. In quel piccolo villaggio, come lo stesso Miyazaki ha chiarito, tutti si chiamano tra di loro "somma sorella" e "sommo fratello". Il fraintendimento circa l'identità di Kaya è uno dei danni, evidentemente duri a morire, provocati dal vecchio adattamento.
Grazie per la precisazione, Emiliana. Diciamo che questo è più un problema "culturale" che di traduzione, è pur vero che dalla fedele versione di Cannarsi questo dettaglio non era deducibile, e nell'edizione precedente a maggior ragione non si capiva.
Correggerò, grazie.
Una storia complessa e articolata che ho apprezzato molto.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID