Nessuno fra gli altri del gruppo aveva cercato di insultarmi.
— Sta funzionando?
— se mi stai chiedendo se all’improvviso mi sento in dovere di tornare con Alec, allora no. Mi è venuta un’insolita voglia di pizza, ma potrebbe non c’entrare nulla.
— Alec mi aveva detto che fai così — ribatté Jace. —
Che svii le domande personali sul tuo conto ricorrendo alle battute.
Magnus strinse lo sguardo a fessura. — e sarei l’unico a fare così?
— Già, accetta la critica da chi ne sa qualcosa. detesti parlare di te e preferisci far arrabbiare la gente piuttosto che essere compatito. Quanti anni hai, Magnus? Voglio la risposta vera.
lo stregone tacque.
— Come si chiamavano i tuoi genitori? tuo padre?
Magnus lo fulminò con i suoi occhi verde-oro. — se avessi voglia di stare su un divano a lagnarmi con qualcuno dei miei genitori, mi rivolgerei a uno psichiatra.
— Ah, ma le mie prestazioni sono gratuite.
— Sì, l’ho sentito dire.
Jace sorrise e si accomodò meglio. sull’ottomana c’era un cuscino con il disegno dell’union Jack; lo prese e se lo infilò dietro la testa. — Non ho nessun impegno. Posso restarmene seduto qui tutto il giorno.
— fantastico — disse Magnus. — Allora schiaccerò un pisolino. — si allungò per prendere una coperta appallottolata sul pavimento e, in quel momento, il cellulare di Jace si mise a suonare. lo stregone si bloccò senza completare il suo gesto, guardando l’altro che si frugava in tasca e poi rispondeva.
era Isabelle.
— Jace?
— sì. sono a casa di Magnus. forse stiamo facendo progressi. Che c’è?
— torna qui — gli disse lei, e il ragazzo si mise drittosulla schiena, facendo cadere il cuscino a terra. la voce di Izzy era molto tesa. Ne percepiva chiaramente il tono aspro, come le note stonate di un pianoforte male accordato. — All’istituto. subito, Jace.
— Cosa c’è? Cos’è successo? —
Anche Magnus si tirò su, lasciando la coperta a terra.
— Sebastian — fu la risposta di Isabelle.
Jace chiuse gli occhi. Vide sangue dorato e piume bianche sparse su un pavimento di marmo. Ricordò l’appartamento, un coltello fra le mani, il mondo ai suoi piedi, la stretta di Sebastian attorno al polso, quegli occhi neri impenetrabili che lo guardavano colmi di lugubre ironia.
sentiva un fischio nelle orecchie.
— Cos’è successo? — la voce di Magnus fece irruzione nei suoi pensieri. si accorse di essere già sulla porta, il cellulare di nuovo in tasca. si voltò. Magnus era dietro di lui, l’espressione attonita. — È Alec? sta bene?
— Cosa te ne importa? — gli rispose Jace, facendolo trasalire. era la prima volta che vedeva trasalire lo stregone, e solo questo gli impedì, uscendo, di sbattere la porta.
Appese nell’ingresso dell’istituto c’erano decine di giacche e giacconi mai visti prima. Clary sentì la morsa della tensione premerle sulle spalle mentre abbassava la cerniera del suo cappotto di lana e poi lo appendeva a uno dei ganci lungo le pareti.
— e Maryse non ha detto di cosa si trattava? — domandò. i picchi del suo tono erano stati limati dall’ansia.
Jocelyn si era liberata il collo da una lunga sciarpa grigia, e alzò a malapena lo sguardo quando luke gliela prese per appenderla. Gli occhi verdi della donna saettavano qui e là per tutta la stanza, registrando la gabbia dell’ascensore, il soffitto a volta sopra la sua testa, gli affreschi sbiaditi di uomini e angeli.
luke scosse la testa. — solo che il Conclave è stato attaccato, e che noi dovevamo presentarci qui il prima possibile.
— È quel “noi” la parte che mi preoccupa. — Jocelyn si raccolse i capelli in uno chignon dietro la nuca, assicurandolo con le dita. — sono anni che non metto piede in un istituto. Perché mi vogliono qui?
luke le strinse una spalla, rassicurante. Clary sapeva di cosa aveva paura Jocelyn, di cosa avevano paura tutti quanti. Poteva esserci un solo motivo se il Conclave aveva richiesto la presenza di sua madre: c’erano notizie di suo figlio.
— Maryse ha detto che li avremmo trovati in biblioteca — riferì Jocelyn. Clary fece strada. sentiva, dietro di sé, Luke e sua madre che discutevano, oltre al suono debole dei loro passi, quelli di lui più lenti di una volta. Non si era più ripreso completamente dalla ferita che, a novembre, lo aveva quasi ucciso.
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