1. GIU' NEL BUIO

– Era soprannominato passepartout, alla lettera ‘passa dappertutto’, probabilmente riferito alla sua abilità a infilarsi negli anfratti…

Leonardo non ne poteva più. Non che non gli interessasse la storia, ma ormai la sapeva a memoria. Stesso ritmo, stessa cadenza, addirittura stesse parole: quella non era una guida, ma un nastro registrato che lui, in qualità di  “accompagnatore sussidiario” (che lui traduceva sempre in “sopporta-mocciosi a cottimo e pure mal pagato”) si era dovuto sorbire più e più volte.

Quella dannata settimana dedicata alla visita delle scolaresche al museo Pietro Micca e alle sue gallerie sembrava non finire mai. Per di più la sua altezza, là sotto, lo costringeva a una camminata gobba che a fine giornata gli procurava un mal di schiena da paura. Fortuna che era l’ultimo giorno e l’ultima classe.

La sfiga di quel turno, però, era stata beccarsi anche un gruppo di anonimi visitatori stranieri il cui interprete – improvvisato, a giudicare dalla pronuncia – era stato furbo a infilarsi dietro di loro per approfittare della spiegazione e spacciarla per propria. A Leonardo, che masticava l’inglese più dei chewing gum, non sfuggivano i vari errori commessi e gli scappò un mezzo sorriso quando il tizio tradusse il termine passepartout in pathfinder. Gli richiamò alla mente l’omonimo gioco di ruolo e quel deludente film con Karl Urban che gli aveva fatto buttare al cinema quei pochi euro con cui avrebbe potuto invece farsi una birra.

II relatore continuava imperturbabile nel suo monologo. Leonardo sbirciò il badge appeso al taschino della sua camicia. “Se lo conosci lo eviti”, diceva un motto, e lui provò il bisogno di sapere nome e cognome di quel tizio. Da quella distanza, però, le lettere erano macchie indistinte e tutto ciò che riuscì a discernere fu il logo dell’azienda che spiccava in rilievo sul tesserino plastificato. Un vaso? Un pitale sarebbe stato più indicato, rise tra sé.

Tornò a tenere d’occhio la marmaglia di undicenni: gente con metà dei suoi anni e il doppio dei suoi soldi, volendo paragonare i suoi risparmi di fine mese. Uno di loro s’infilò le dita nel naso, guardandolo con finta aria innocente. Per tutta risposta lui alzò la torcia da tasca puntandogliela sul viso. Il ragazzino capì l’antifona e tornò ad ascoltare la lezione.

Come se interessasse a qualcuno, pensò guardando i pochi diligenti che prendevano appunti, mentre gli altri facevano in fin dei conti i fatti loro. Avrebbe dovuto metterli in riga, ma ci rinunciò. Non ne aveva voglia. Che ci pensasse l’insegnante, che non sembrava più attenta di loro. Il suo compito era solo quello di evitare che quelli più turbolenti si staccassero dal gruppo e s’infilassero in qualche galleria, finendo in un’area interdetta ai visitatori o, peggio, perdendosi in quel dedalo di cunicoli e sparendo letteralmente nel nulla.

Proprio come era successo ad altri negli ultimi giorni.

Fioccate di turisti avevano invaso Torino; per ogni gruppo, qualcuno era sempre mancato all’appello alla fine del giro. L’ultimo era stato alla Chiesa della Gran Madre. Puf, scomparso, senza lasciare traccia, come se il suolo se lo fosse mangiato. Per questo il servizio di vigilanza s’era rimpolpato e per le uscite scolastiche era stato richiesto del personale aggiuntivo per l’accompagnamento. Due occhi in più servivano sempre. Peccato che lui, in quel momento, aveva soltanto voglia di chiuderli e dormire. Se non avesse avuto un disperato bisogno di soldi per vivere, sarebbe stato il primo a firmare la mozione per abolire quelle gite. Strano che nessuno ci avesse già pensato.

Uno dei ragazzini era intento a far rimbalzare sulla mano una pallina di gomma multicolore. Leonardo la fissò, per un attimo incantato. Le vendono ancora? si chiese, per poi ricordarsi dei giocolieri e dei clown che avevano incrociato lungo uno dei viali; con tutta probabilità l'aveva sgraffignata durante la loro esibizione. La sua iniziale meraviglia mutò in disappunto, però, quando il mocciosetto ebbe la brillante idea di lanciare la pallina contro il muro, col risultato che le asperità della roccia le conferirono un rimbalzo sbilenco. Leonardo imprecò sottovoce quando la palla saltellò senza controllo alle loro spalle e, dopo una carambola tra le pareti, scomparve oltre l’angolo.

– Gran mossa, genio – mormorò a mezza bocca, senza farsi sentire dall’insegnante, che si limitò a rimbrottare il ragazzino ponendo il dito sulle labbra con aria minacciosa. Dal suo canto, Leonardo dovette trattenerlo dal lanciarsi a recuperare il giocattolo.

– Faccio io…

Tornò sui suoi passi e svoltò a sinistra, in realtà ben felice di allontanarsi dal tedioso resoconto della guida e dalla traduzione biascicata dell’interprete. Le gallerie erano illuminate a sufficienza, tuttavia non riusciva a vedere quella dannata pallina da nessuna parte. S’aiutò con la torcia, ma non vedeva altro che pallida roccia costellata di macchie d’umidità. Eppure era sicuro d’averla vista rimbalzare da quella parte. Quanto cavolo era andata lontana?

Sarà qui, vedrai, si disse, raggiungendo il trivio successivo. Ricordo questo tratto. Ci siamo passati all’andata. A sinistra è in salita, quindi fine della corsa. E da questa parte c’è soltanto un vicolo…

“Cieco”, era la definizione, ma quando Leonardo girò a destra gli sembrò più adatta a se stesso, perché non vide altro che buio. Aggrottò la fronte. C’era un muro lì, prima, ne era certo. Agitò la torcia in più direzioni per capire quanto fosse lungo il cunicolo in cui era finito, ma la luce non andò oltre qualche metro. Svaniva soltanto. Era come se le tenebre la fagocitassero.

Oh, cazzo. Questa me la devono spiegare.

C’era qualcosa sul pavimento, poco prima della zona buia. Era la pallina di gomma. Leonardo si avvicinò con cautela, guardingo. Per un attimo ebbe l’impressione che da quel buio venisse un freddo glaciale, ben diverso dall’aria greve e umida del sottosuolo. D’improvviso trasalì: era vento. Uno sbuffo improvviso, dalle viscere di quel nero.

Lui s’accovacciò e allungò il braccio, sfiorando la pallina con le dita.

Il buio era lì. Il vento anche.

Leonardo cedette alla curiosità. Ignorò la pallina e cacciò la mano nelle tenebre. Fu come immergerla in un torrente di montagna.

Ma che…?

Si protese di più, allungandosi su un ginocchio. Prima ancora di accorgersene, si ritrovò con il braccio nel buio. Il gelo gli si insinuò sotto gli abiti. Non tastò nulla oltre quella barriera oscura. Provò ad alzarsi e non incontrò resistenza; solo quel refolo a ritmo cadenzante, solo quella coltre impenetrabile davanti ai suoi occhi. Esitò, con il chiacchiericcio sommesso degli alunni in lontananza e la voce monotona della guida che lo sovrastava. Sembravano addirittura più lontani, esterni alla realtà, privi di eco.

Leonardo chiuse gli occhi e azzardò un passo.

Il piede sprofondò. Per un attimo gli parve quasi di aver poggiato il piede su un cuscino, poi si sentì tirare giù. Il terreno scomparve. Il vento cambiò direzione, le orecchie presero a fischiargli. Solo allora capì.

Quello non era buio. Era vuoto.

Stava cadendo.

Svuotò i polmoni in un urlo e il nero si mangiò anche quello.

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