Un alieno (o un'aliena, non è dato saperlo) riveste il suo corpo dei panni e della pelle di una bella ragazza e da qui in poi almeno alla popolazione maschile risulterà gradevole, non fosse solo perché ha le fattezze di Scarlett Johansson.
La missione del visitatore sembra essere quella di girovagare con un furgone, attirando in trappola uomini di ogni età, seducendoli e conducendoli in una stanza nella quale, dopo essersi spogliati nella vana speranza di una copula, vengono letteralmente risucchiati in una specie di vasca, dalla quale non usciranno più interi.
La "ragazza" non è sola. Ad aiutarla è un altro alieno che preferisce girare in moto, interpretato dal vero campione di motociclismo Jeremy McWilliams.
Tutto sembra filare per il meglio nella oscura missione di morte quando succederà qualcosa d'imprevisto, l'incontro con uomo affetto da neurofibromatosi, interpretato da Adam Pearson (senza trucco).
Dopo questo evento, e le sue conseguenze, la missione della "ragazza" diventa quella di compiere un viaggio in se stessa, nelle possibilità e nelle facoltà del suo corpo, guardando e scrutandoci con il suo occhio alieno, per cogliere, forse, l'essenza dell'umanità, nel bene e nel male.
Under the skin è un liberissimo adattamento dell'omonimo romanzo di Michel Faber, tradotto da noi come Sotto la pelle.
L'operazione compiuta dal regista Jonathan Glazer è una vera e propria estrapolazione di alcuni concetti, per realizzare un'opera che vive soprattutto di eleganza estetica e di una ottima capacità di gestire l'occhio delle cinepresa, raccontando per immagini una storia "non storia".
Glazer priva la vicenda di una qualsiasi funzionalità che non sia quella di dare un labile supporto a una serie di sollecitazioni visive.
Non mi riferisco al corpo nudo della protagonista, bensì ai momenti di buio, ai chiariscuri, i controluce, ma anche elementi naturali e momenti di "antropologia urbana". Tutto ripreso con bravura ed eleganza. Tante buone, se non buonissime idee visive.
Il risultato non ha però il respiro del cinema, quanto quello della video art, e forse non regge la distanza cinematografica, esaurendo molto presto i suoi spunti in un'opera che avrebbe potuto essere tranquillamente compressa in un corto.
È un peccato dunque. Il regista sa il suo mestiere e anche il ridotto cast è tutto "in parte".
È un film che visto come pubblico, si amerà o si odierà, per le sue scelte estreme. E anche se lo amerete, difficilmente vorrete rivederlo.
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