Il ragazzo si era unito ai lancieri ribelli perché fin da piccolo aveva mostrato forza e ardore, e perché anche suo fratello era un lanciere. Conosceva il mestiere di suo padre, che era quello del fabbricante di cuscini, ma quando in città era giunto il banditore aveva sentito forte l’attrazione di quegli stemmi e degli elmi e delle lance e delle spade alla cintola dei due soldati che lo accompagnavano, e a costui aveva dichiarato di essere più grande di quello che era, e lo avevano preso senza troppi discorsi.
Aggregato a una quindicina di altre reclute, tutti ragazzi della sua età, se non più giovani, e caricato su un grosso carro condotto da un capodecina di poche parole, aveva lasciato Odenjik Stella-del-Promontorio e con essa la parte a lui nota delle Terre Franche per giungere, dopo cinque giorni di viaggio, al Forte d’Angolo. Qui gli era stato impartito un sommario addestramento all’uso della lancia, gli erano state elencate le regole dell’esercito, gli si era detto che le infrazioni leggere sarebbero state punite con dieci colpi di verga e quelle pesanti con la morte, e gli era stata consegnata una sacca con del pane secco e del lardo, una lancia dalla punta in bronzo e una tunica azzurra con le tre lepri passanti dell’antico stemma imperiale: — Perché noi non siamo contro l’Impero — aveva detto il cavaliere a capo del bastione — è il Cerchio d’Acciaio che ha pervertito l’Impero ai suoi fini, e il nostro obiettivo è distruggere la sua morsa e ripristinare la legittimità imperiale.
Un ragazzo aveva alzato la mano e aveva detto che lui era delle Terre Franche e combatteva per difendere l’indipendenza e la libertà delle Terre Franche. Subito un capodecina gli si era avvicinato e gli aveva mollato una bastonata. Poi il cavaliere aveva detto che l’indipendenza e la libertà delle Terre Franche potevano esistere solo se l’Impero fosse stato liberato da H.H. il Malvagio e dai suoi vili scherani. Mentre pronunciava queste parole, però, un altro capodecina era salito sul palchetto e gli aveva detto qualcosa in un orecchio; allora aveva annuito, e poco dopo erano state portate e buttate in mezzo alla terra battuta della piazza d’arme un mucchio di tuniche non azzurre ma arancioni, logore e pulciose. Il cavaliere aveva fatto cenno alle reclute che potevano avvicinarsi, e quando il ragazzo ne aveva sollevata una, che era tutta sporca di fango secco e anche di macchie che potevano essere di sangue, aveva visto che sul petto aveva la nera aquila delle Terre Franche, e ne era stato contento: quante volte aveva visto sventolare quello stesso stemma sopra la Casa Comune di Odenjik Stella-del-Promontorio, e sugli alberi delle grandi navi mercantili che sovente da piccolo andava a guardare al porto, vagheggiando avventure in giro per il mondo. “Quel momento è infine giunto”, si era detto prendendo a sé la tunica, mentre due suoi compagni si accapigliavano per una in buone condizioni, finché il capodecina non li aveva separati a legnate.
— Queste tuniche sono appartenute a uomini delle vostre terre — aveva detto ancora il cavaliere — che si sono fatti onore in battaglia. Siatene degni. — Il ragazzo aveva sfregato col pollice le macchie brune sul lato, poi si era concentrato sulle armi e sull’armatura dell’uomo, sperando, un giorno, di conquistarne di proprie.
Così, dopo solo due settimane da quando aveva lasciato la piccola e graziosa casa di suo padre il fabbricante di cuscini, e baciato sua madre e le sue cinque sorelle, il ragazzo era stato aggregato a una decina, tutta di reclute come lui, anzi quattro di essi venivano proprio dal suo carro, e la decina a una compagnia, dove si vedevano anche uomini più grandi, dall’aspetto truce, e la compagnia a un battaglione il cui accampamento, che avevano raggiunto in tre giorni di cammino, occupava l’intera valle di Grunwald, e già stava venendo smontato, poiché si muoveva guerra verso sudest, nel protettorato di Sodermalm, che era sguarnito e andava ripreso all’Impero, specialmente per via della sua capitale, città antica e di grandi sapienti.
Quando derrate e masserizie furono accumulate e tutti i carri approntati, un nobile cavaliere in armatura, dal crine argenteo e dalla fronte marchiata con una piccola croce, a cavallo di un destriero grigio, fece il giro delle decine seguito da due soldati su ciuchi, ai lati dei quali erano fissate enormi bisacce piene, sembrava, di ciottoli azzurri e vagamente traslucidi.
Ogni ciottolo aveva un buco in mezzo, attraverso cui passava uno spago.
— Mettetela al collo e tenetela sempre in vista — aveva detto il cavaliere dai capelli d’argento, mentre i due soldati annuivano come se stesse dicendo la cosa più importante che ci fosse al mondo — poiché è un dono della Strega dell’Ovest, protettrice dell’Alleanza Ribelle, e dunque proteggerà anche voi.
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