— Faremmo meglio a scappare e nasconderci da qualche parte — disse un terzo fra sé, ma intanto un altro cavaliere gridava l’alalà e il ragazzo con i suoi nuovi compagni uscì da dietro l’edificio, mentre da altri ripari pure uscivano gruppi urlanti di ribelli armati di lance e si avventò sui primi imperiali, i quali tuttavia, pur in chiara inferiorità numerica, pur circondati e con le spalle al fiume, combattevano con una strana espressione sul viso, alcuni addirittura sorridevano e il ragazzo aveva preso un nemico alla gamba facendolo cadere e si preparava a trafiggerlo, quando accadde qualcosa di terribile.
La temperatura salì. Tutto si fece rosso, nei riflessi dell’arancio e del porpora, tanto che si sarebbe potuto pensare che l’aria stessa si fosse incendiata, e dal bosco in fiamme sorse una sagoma colossale, avvolta da un fumo giallo e sulfureo: non si poteva dire cosa fosse, giacché la coltre era spessa e sembrava scorrere addosso a quella cosa e rivestirla, ma superava di molto i più alti alberi e le fiamme che li consumavano, e quando, sempre avvolta nel fumo di zolfo, si alzò completamente, era più alta degli abeti anche di dieci o venti volte, e si poteva capire che stava a quattro zampe e aveva ampie ali. — È un drago! — berciò uno dei suoi nuovi compagni. — Vi rendete conto, ci hanno mandato contro a un drago — e là dove avrebbe potuto esserci la testa del drago o di quel che era tale bestia immane e mostruosa, sulla sua sommità, immersa nel fumo fino alle ginocchia ma per il resto perfettamente visibile, netta e abbacinante sullo sfondo del cielo, stava una donna, anzi una ragazza, con un’armatura rifinita d’oro e rossi lunghissimi capelli che si agitavano al vento e carezzavano il fumo sulfureo, e la ragazza adesso pronunciava parole che echeggiavano nella spianata come suono di ottoni e attorno al suo volto, che era candido, spruzzato di efelidi, dagli occhi come smeraldi, si manifestavano rune di fuoco in cerchi, in esagoni, in triangoli, e alcune di queste rune da lì schizzavano verso il basso, volavano giù più veloci di qualunque uccello in picchiata e si appiccicavano alle schiene o ai petti o alle fronti degli uomini, sfrigolando come marchi da bestiame e gli uomini gridavano ed esplodevano in bolle di fuoco, oppure iniziavano a vibrare e contorcersi come se stessero bruciando dall’interno e si tenevano il volto e si accasciavano e prendevano fuoco, mentre altre rune si fissavano al terreno, in fila, una dietro l’altra, e dalla linea incandescente di parole che formavano si alzavano pareti di fiamme, o ancora ronzavano attorno alla loro padrona in orbite velocissime e crescenti fino ad abbattersi ovunque nel campo di battaglia con grandi esplosioni. Il ragazzo vide un uomo che camminava ancora ma il volto e le spalle erano in fiamme, e uno che al posto delle braccia aveva due monconi neri e fumanti, e vide un cavallo con la criniera e la coda infuocate nitrire e scartare davanti a lui, impazzito, i molti fuochi intorno che gli si riflettevano nell’occhio sgranato per il terrore, e vide un uomo che teneva in mano la propria la pelle, la pelle gli veniva via dal viso, dal collo, dal petto nudo, e incredulo la teneva con le mani, le quali pure spellavano, e alcuni soldati si buttavano nel fiume ma dai nimbi e dalle aureole attorno al volto della ragazza partivano adesso rune che si abbattevano nell’acqua sfrigolando e la facevano bollire e i malcapitati gridavano di dolore dibattendosi in modo atroce e poi e venivano a galla gonfi e violacei mentre il vento sgomberava l’odore della carne umana bruciata e recava quello ancora più rivoltante di quella lessata, e ovunque intorno qualunque cosa prendeva fuoco e per ultimo il ragazzo vide il cavaliere dai capelli d’argento lanciarsi verso la creatura coperta di fumo che usciva dal bosco, lo vide lanciarsi come impazzito verso il drago e la ragazza dai capelli rossi saltò già dalla testa della bestia come se fosse stata uno scalino da niente e atterrò come piuma infuocata sulla testa del cavallo in corsa, ritta e ridente davanti al cavaliere.
Il cavaliere provò invano a colpire la ragazza, ma quella parò il suo colpo, lo disarmò e gli spiccò la testa con un colpo di spada; fece un passo, ne buttò giù il corpo dal cavallo con un calcio e mostrò la testa alta davanti a sé, senza scendere o cadere, in piedi tra il collo e la sella, sempre rivolta nel senso opposto a quello in cui il cavallo correva, e lanciò un grido lancinante, esso pure incantato poiché al solo sentirlo molti uomini caddero svenuti, ma non il ragazzo che si tappò le orecchie e girò la schiena terrorizzato e disperatamente si diede a corsa, via da quell’inferno, cercando di non guardare la gente che bruciava tutta intorno a lui, e venti, trenta, quaranta passi dopo quasi credeva di potercela fare, di avercela fatta, ma qualcosa di rovente lo prese sulla schiena facendo il rumore che si sente quando una bistecca viene buttata sulla gratella e il ragazzo urlò e pensò che dunque quella era la magia, prima di essere avvolto dalle fiamme e cadere in ginocchio e consumarsi lì, come un pezzo di zolfo, sulle sponde fatali del fiume Mosel.
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