Adam Wild nasce dalla penna di Gianfranco Manfredi che, per la Bonelli, aveva già firmato testate come Magico Vento e Shangai Devil. Chi si aspettasse un titolo che avesse qualcosa da spartire con quei personaggi, però, rischierebbe di rimanere piuttosto deluso. Il tono della narrazione, infatti, appare fin da subito ben differente rispetto ai suoi predecessori. In questo la Bonelli è stata assolutamente sincera: Adam Wild è un personaggio che ha molto più a che spartire con il primo Tex, quello ancora scritto da Gianluigi Bonelli, che con quasi tutti gli altri figli della casa editrice. Come il Tex di Bonelli padre, infatti, Adam Wild non sembra avere praticamente mai indecisioni, dubbi, timori, è un personaggio che va avanti per la sua strada senza voltarsi indietro. Per usare un modo di dire anglosassone (visto che è scozzese): brucia sempre i ponti dietro di sé.
In conferenza stampa, così come nella scheda di presentazione in seconda di copertina, Manfredi aveva descritto la sua creatura come un tributo alle pellicole d’avventura che avevano per protagonisti attori quali Douglas Fairbanks ed Errol Flynn, da cui, tra l’altro, dei baffi tutt’altro che casuali. Personaggi d’azione senza troppi pensieri, interessati all’avventura per l’avventura, per il puro brivido dell’adrenalina, seppur sempre supportati da una morale di ferro.
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Siamo certi che, poco a poco, Manfredi ci mostrerà il passato del protagonista e non riuscirà a resistere alla tentazione di renderlo un personaggio a tutto tondo, ma da quello che si legge in questo primo numero, sia nella storia che nella presentazione della serie, l’impressione è di aver di fronte solo un pretesto per delle storie d’avventura. Quel continuare a rimarcare che Adam Wild è un personaggio positivo, ottimista, che non si fa tante menate, un uomo d’azione, che non sta troppo a pensare prima di fare qualcosa perché sempre alla ricerca di nuove avventure, che se si ubriaca è solo perché ogni tanto ha voglia di bere un po’ di più e prendersi una sbronza senza secondi fini, ci sembra che lo svilisca un po’. La stessa storia della Sergio Bonelli Editore ci ha mostrato come il primo Tex scritto da Gianluigi Bonelli ha dovuto, presto o tardi, lasciare il posto a un personaggio con più dubbi, più indecisioni, meno certezze e sicurezze, come la versione di suo figlio Sergio e le caratterizzazioni di altri autori.
Presentare oggi un personaggio con simili caratteristiche, senza apparenti punti deboli, o quantomeno votato solo a raccontare storie d’avventura con poco o nessun approfondimento psicologico (almeno così appare dalla presentazione e dal primo numero), ci sembra una operazione che oscilla tra il geniale e il rischioso.
A chi si rivolge Adam Wild? Agli orfani di Mister No o alle nuove generazioni? Se fossero i primi parleremmo di un pubblico che ha superato in larga parte i quarant’anni (se non i cinquanta) e in questo caso, allora, la serie sarebbe perfetta. Sarebbe, anzi, quel “colpo di genio” di cui si parlava prima, perché i dati di vendita dicono che, oggi, chi vende di più è sempre il buon vecchio Tex. E chi compra Tex è chi lo ha sempre comprato, non i giovani, che invece rivolgono altrove il proprio interesse. Il bacino a cui puntare, dunque, sembrerebbe essere quello degli italiani di una certa età, su cui far leva con un personaggio e atmosfere che puntino all’effetto nostalgia. Andando contro la logica apparente, per vendere di più bisognerebbe puntare su chi è più vecchio, non su chi è più giovane.
Se, invece, Adam Wild si rivolgesse davvero alle nuove generazioni, ci domanderemmo chi potrebbe continuare a seguire una serie con questi presupposti, senza stancarsi in poco tempo. Un titolo di questo genere riuscirebbe a reggere presso i più giovani solo grazie al sense of wonder che fosse in grado di ingenerare nel lettore numero dopo numero, ma il confronto con gli altri media è impietoso. Adam Wild non ha gli effetti speciali del cinema né le pagine in grande formato e i colori in digitale dei comics americani, ma non ha neanche la cinetica dei manga.
Proprio sui disegni bisogna aprire un capitolo a parte.
Per concludere, il primo numero di Adam Wild ci presenta una storia perfettamente, quasi fin troppo, inquadrata negli stilemi bonelliani, con un personaggio che ci riporta alla mente gli albori della casa editrice, come se il rilancio della Bonelli passi necessariamente attraverso la riscoperta (e la riproposta) delle proprie radici. Un titolo, dunque, che per il momento non dice nulla di nuovo e che, apparentemente, nasce già vecchio, ma che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, potrebbe rivelarsi la scelta giusta al momento giusto. Bisognerà vedere se riuscirà a camminare sul filo del rasoio tra le vecchie e le nuove generazioni e, così facendo, se riuscirà a convincere solo le prime, solo le seconde, entrambe o nessuna delle due. Ma questo solo il tempo potrà dircelo.
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