Laura si scusò. — Credo che mi abbia confuso con qualche altra persona.
— Nonna Adele! — La ragazza fece un cauto rimprovero. — Cosa dici? Non vedi come è giovane la signora? Ti stai confondendo con qualche tua vecchia amica, che ora non c’è più. — Poi si rivolse a Laura. — Non ci faccia caso, non è più tanto lucida. Sa, l’età.
— L’età un accidente! — Adele avanzò determinata a piccoli passi verso la parete e indicò una vecchia foto sbiadita. — Eccoci qui, io e lei! Quanto eravamo belle, perdindirindina.
Laura si avvicinò. Il bianco e nero sfumava nel giallo sbiadito, mostrando due ragazze abbracciate e sorridenti, sullo sfondo di un campo di grano. Il volto da bambina di Adele era inconfondibile. L’altra…
— E’ mia nonna — esclamò stupefatta.
Esther studiò la foto e poi lanciò uno sguardo a Laura — Le assomiglia parecchio — ammise. — Anzi, direi che lei è la sua copia. Non ne sapeva nulla?
— No — rispose Laura perplessa.
— Be’ c’è un solo modo per sapere se anche lei ha sangue di Montestrano nelle vene.
Esther la prese sottobraccio e la accompagnò fuori. Attraversarono la piazza, si infilarono in un paio di vicoli attorno alla chiesa per ritrovarsi in breve fuori delle mura. Scesa una scarpata si fermarono in un campo. L’aria era pulita, odorosa di grano e polline. Le colline ondulate brillavano verdi e oro.
Il pezzo di terra era occupato da file di piantine, simili a cavoli ma dal colore bianco opaco. Pulsavano piano, quasi fossero vive. Esther le indicò e disse: — Provi a cantare.
— Scusi?
— Canti. Quello che le passa per la testa.
Laura cercò di non scoppiare a ridere e poi intonò un paio di strofe. Rimasero in attesa, lo sguardo fisso a terra, poi Esther scosse la testa. — No. Non è una Canterina. Chissà, forse una Scaldafate? Mi segua.
Arrivarono a un capanno di legno, grosse tavole irregolari e chiodi arrugginiti, e si infilarono all’interno. Su lunghi trespoli stavano accovacciate delle creature, simili a galline. Ma con ali trasparenti, pelle azzurra e grandi occhi gialli.
— Ne accarezzi una.
Laura non sapeva più cosa pensare. Viveva l’esperienza con un senso di irrealtà. Eppure quegli animaletti erano decisamente veri. Ne toccò uno con cautela, poi lo prese tra le mani. Ronfava come un gatto. Non accadde nulla di particolare, nemmeno in quel caso.
Alzò le spalle, provando quasi un senso di colpa per non aver avuto successo.
Esther le poggiò una mano sulla spalla. — Proviamo un’ultima volta. Forse lei è una semplice Ascoltatrice. Molte non se ne rendono nemmeno conto. — Si piegò, strappò un filo d’erba e lo mise vicino all’orecchio di Laura.
— Faccia un bel respiro. Si concentri. E mi dica se sente qualcosa.
— Di che genere?
— Voci. Bisbigli. Risate. Sospiri.
Laura si concentrò. Dopo qualche minuto ebbe un sussulto. Ma che cosa stava facendo? Ascoltava l’erba, cantava agli ortaggi e carezzava animali strani? L’aria di campagna la stordiva, il sole scaldava la pelle ma un brivido le attraversò la schiena.
— Ascolti — mormorò allontanandosi dalla ragazza. — Credo che sia abbastanza. Non so chi di noi due sia la matta, ma è meglio finirla qui, non crede?
— Mi dispiace — disse Esther rammaricata. — Lei non ha ereditato nulla da sua nonna.
Laura non sapeva se essere infelice o sollevata. Era accaduto tutto così in fretta. Forse la cosa migliore era montare in auto e tornarsene a casa. Stava per salutare la ragazza quando udì un colpo secco. E un secondo. Poi una scarica, come qualcuno che bussasse con forza.
Esther si voltò. C’era una porta sul fianco del capanno. Il rumore veniva da lì. Fece cenno a Laura di attendere e si avviò ad aprirla.
Qualcosa di veloce schizzò fuori.
Laura si vide arrivare addosso un lungo oggetto, nero e con una estremità a forma di cono. Fece per proteggersi, ma non ci fu nessun urto. L’oggetto rallentò e si piantò nella sua mano. Lei lo guardò stupita.
Una scopa.
Un bastone nodoso per manico e rami di saggina lunghi e spinosi. Era calda al contatto e vibrava piano. Sentì una scarica elettrica lungo il corpo e l’adrenalina riempirle il sangue.
Esther la guardò e si batté una mano sulla coscia, ridacchiando.
— Caspiterina! Questa non me l’aspettavo proprio. Una Falconiera, nientemeno.
Laura la guardò senza capire. — Una Falconiera? — balbettò. —Cosa significa? Che dovrei fare?
Non dovette attendere la risposta. La scopa emise un gridolino di piacere e iniziò a lievitare, trascinandola dolcemente in alto. Laura trattenne il respiro e mosse i piedi, quasi stesse nuotando.
— C’è un sacco di lavoro da sbrigare nei Nidi Tra le Nuvole — concluse Esther urlando per farsi sentire mentre Laura s’involava nel cielo azzurro. — Dia un’occhiata, poi mi faccia sapere se vuole fermarsi qualche settimana qui da noi. Conosco una pensioncina incantevole e a poco prezzo, caspiterina!.
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