1. Mark e Signorina
Sentì il ronzio troppo tardi.
Le luci si accesero e Mark si stampò una manata sugli occhi. Ancora con le palpebre socchiuse, capì che a bruciargli la retina erano stati quattro faretti, camuffati tra le rovine. Non li aveva notati, nel mettere piede sull’erba secca dell’arena; era stato troppo impegnato a cercare di capire, alla sola luce della luna e attraverso la grata metallica, chi fossero gli spettatori seduti sulle gradinate.
Miliardari, a detta di Vito.
Miliardari annoiati, pronti a scommettere cifre con troppi zeri, a condizione che Mark li soddisfacesse. E Signorina, certo.
Non li vedeva bene eppure erano strani. Indossavano tutti delle maschere veneziane dai riflessi vitrei nelle cavità oculari. Nemmeno fossero comparse di Eyes Wide Shut.
Spostò il peso dalla gamba destra alla sinistra. Erano bastati pochi minuti d’attesa e già si sentiva intorpidito, sudato. La tensione del combattimento? No, c’era Signorina. Gli spettatori, numerosi e ricchi da far schifo? Nemmeno.
Cinquemila euro.
Cinquemila!
– Avanti, Signorina – sussurrò. – Facciamoli contenti e ce ne andiamo lontano. Dove ti va? Africa? Medio Oriente?
Ghignò all’idea e cercò Vito tra il pubblico.
Lo trovò seduto in prima fila, si avvicinò alla grata e attirò la sua attenzione con un duplice schiocco di dita.
Vito si voltò verso di lui con il solito sorriso. Indossava una maschera sobria: niente piume, niente fronzoli, labbra e naso scoperti. Invece che il seguace di una setta, ricordava uno scambista.
– Voglio il triplo. Anzi no, il quadruplo – disse Mark.
– Fai un bello spettacolo e avrai quello che vuoi. Dipende tutto da te.
Non era un no. Mark fece un cenno di assenso al brindisi a distanza offertogli da Vito e prese a studiare l’ambiente. C’era tanto spazio, nessun ostacolo, eccetto la grata metallica che circondava l’intero perimetro dell’ovale.
– Pensi di farcela, Signorina?
Non si aspettava risposta: Signorina non rispondeva mai, nemmeno a pregarla. Però c’era. Mark non l’aveva mai vista, eppure da quel giorno la sua presenza era quasi tangibile.
Red Shade l’aveva chiamata Vito. Ombra Rossa. E ancora Mark si domandava il perché di un nome simile, visto che di ombra e di rosso Signorina non aveva proprio niente.
Signorina era aria, vento… violenza.
Se proprio doveva darle un nome l’avrebbe chiamata Angelo Protettore. Il suo Angelo Protettore.
E invece chi sembrava saperne più di lui la chiamava Red Shade.
Magari, terminato il combattimento e con le tasche gonfie, avrebbe chiesto spiegazioni a Vito.
Mark ebbe la tentazione di tornare a guardarlo, ma uno dei quattro faretti puntò il lato opposto dell’arena. Con un cigolio la gabbia si aprì e la luce rimbalzò sulla pelle bianca di un uomo che avanzò fino a fermarsi nella posizione speculare a quella di Mark. Era calvo, petto nudo e glabro, la faccia incassata tra spalle larghe quanto il cruscotto di una monovolume.
– Signorina – bisbigliò Mark, gli occhi fissi in quelli chiari dell’avversario. – Dimmi che non hai il ciclo.
Se anche Signorina si fosse degnata di rispondere, la voce sarebbe stata coperta dallo scroscio di applausi. Il nuovo arrivato era il campione, eh? Il favorito. Niente di strano, rifletté Mark. Un Bruce Willis accigliato contro un barbone rachitico.
Si ritrovò a fissare le punte dei piedi che sbucavano dalle vecchie scarpe da ginnastica. Succedeva sempre: ogni volta che si soffermava su se stesso finiva per abbassare lo sguardo e incurvare le spalle. Le tirò su, allargò il torace e trattenne il fiato per gonfiarlo il più possibile. Peccato per la maglietta strappata, ingrigita e pezzata di giallo sotto le ascelle. Si sentiva come quel personaggio di Snoopy con la nuvola di sporcizia intorno. Ben gli stava. Era stata una scelta precisa quella di non accettare i vestiti puliti che Vito o chi per lui gli aveva fatto trovare in camera.
Non devo accettare niente dagli sconosciuti, tranne il cibo, si era imposto all’inizio del suo vagabondaggio. Una scelta stupida, limitante.
E la cosa più fastidiosa era che si trattava di un retaggio ereditato da quell’Uomo...
All’idea le spalle gli si incurvarono di nuovo.
– Secondo te per quanto ci riempiremo lo stomaco? – chiese a Signorina, per scacciare via il pensiero, i ricordi. – Quattro volte cinque mila fa ventimila. – Si grattò la barba, – Dobbiamo trovare un modo per trasportarli. Non mi fido a metterli nella sacca. Non è che hai un bel paio di tasche da qualche parte?
Furono gli spettatori a rispondergli, riempiendo la sera di un nuovo scroscio di applausi. Mark sollevò lo sguardo su Bruce, che saltellava sul posto e faceva a pugni con l’aria. Si muoveva bene, maledizione: malgrado la stazza era agile, i diretti fendevano l’aria come molle ben caricate.
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