La "sospensione dell'incredulità" è un paradigma che è stato enunciato nel 1816 dal poeta e studioso critico dell'opera scespirana, Samuel Taylor Coleridge nel volume Biographia Literaria.
Essa implica la volontà del lettore (o spettatore nel caso teatrale) di ignorare i propri sensi, la ragione che gli dice che sta fruendo di un'opera di fantasia, sospendendo il senso critico, accettando l'opera per "vera". Lo spettatore sa che quanto sta vedendo o leggendo ha un senso nel mondo che l'autore ha costruito, e solo in quello. Idealmente autore e lettore si stringono la mano sottoscrivendo il "patto" per il quale finché dura la lettura del libro, o lo spettacolo è messo in scena, tutto quello a cui si assiste è vero. Al di fuori di quel mondo fittizio le regole sono altre e lo sanno entrambi.
Parallelamente è impossibile dal nostro punto di vista trascurare il lavoro concettuale di J.R.R. Tolkien, che non era solo il famoso scrittore di Lo Hobbit e Il signore degli Anelli, ma anche uno studioso e teorico dei meccanismi del fantastico. Se consideramo la parola inglese fantasy con il suo significato ampio di fantasia, ecco che per il professore di Oxford lo scrittore fantastico deve porre attenzione alla presentazione di un mondo, impegnarsi a costruire un universo, prenderlo sul serio e approfondirne ogni suo aspetto.
Nel saggio Sulle Fiabe (1) per cominciare, tratta di un un ampliamento, quando non un superamento della teorizzazione di Coleridge. Tolkien infatti afferma che il meccanismo di sospensione dell'incredulità non è sufficiente.
Secondo il professore di Oxford tale esercizio di volontà è controproducente perché il lettore resta comunque al di fuori del mondo magico. Il compito dello scrittore deve essere per Tolkien quello di essere "sub-creatore" di un "Mondo Secondario", nel quale il lettore deve introdursi con una convinzione che definisce "Credenza Secondaria". L'incredulità, sia pur sospesa, lascia il lettore al di fuori della magia dell'arte. Conclude Tolkien: "Nel momento in cui sorge l'incredulità, l'incantesimo è rotto; la magia o piuttosto l'arte, non è riuscita. Ci si ritrova fuori, nel Mondo Primario, e si guarda dall'esterno il piccolo, abortito, Mondo Secondario."
Sono quindi le tecniche narrative che devono portare il lettore a meccanismi meno coscienti di accettazione di quella che Tolkien definisce come “una condizione incantata”: la Credenza Secondaria.
Tolkien usa le invenzioni linguistiche e geografiche, per esempio, per trascinare i suoi lettori nel mondo secondario. Egli chiama questo insieme di tecniche "subcreazione", volte a una immersione totale del lettore.
In merito alle fiabe, ma possiamo estendere il concetto al racconto avventuroso/fantasttico in senso più ampio, Tolkien rifiuta di considerare tali:
- le storie di viaggio, sia pur ambientate in luoghi fantastici come I Viaggi di Gulliver; perché se pur “riportano cose meravigliose, ma sono meraviglie che si possono vedere sul nostro mondo mortale, in qualche regione del nostro tempo e del nostro spazio; è solo la distanza che le nasconde".
- Le favole di animali; se pur vicine al cuore del fiabesco, originate dal desiderio degli uomini di essere in comunione con gli altri esseri viventi, secondo Tolkien “Il linguaggio delle bestie, nelle favole di animali, ha ben poco a che fare con quel desiderio e spesso lo dimentica completatamente” e prosegue “la forma animale è solamente una maschera su un viso umano, un trucco dello scrittore satirico o del predicatore”.
- le vicende ambientate in mondi onirici (es. Alice nel Paese delle Meraviglie) perché l'assunzione che una vicenda sia ambientata in un mondo di sogno, parente della sospensione dell'incredulità per certi versi, è in contrasto con il desiderio interiore di chi legge che il mondo sia "reale", o possibile nella sua realizzazione. Non è una Credenza Secondaria. “Se uno scrittore, da sveglio, vi dice che il suo racconto è qualcosa di immaginato nel suo sonno, inganna quel desiderio primario che al cuore della fiaba: la realizzazione, indipendente dalla mente pensante, di meraviglie immaginate”.
"È essenziale per una fiaba genuina, distinta dall'impiego di questa forma letteraria per scopi inferiori o sviliti, che essa venga rappresentata come vera”.
Più in generale, la storia che tratta di meraviglie "non può tollerare alcuna cornice o congegno narrativo che suggerisca che tutta la storia in questi prodigi accadono sia una finzione o una illusione."
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