Per quanto un album dei Blind Guardian possa essere complesso, stratificato e pressoché impossibile da giudicare a un primo ascolto, per lo meno a partire da Tales from the Twilight World (1990) che costituisce l'inizio della loro esponenziale maturazione stilistica, ci sono sempre delle sensazioni vivide, delle eco potenti che rimangono nell'ascoltatore dopo l'assaggio iniziale di un loro lavoro in studio. Sono quelle a spingere a un nuovo ascolto, a immergersi ancora di più in quelle architetture di musica e parole, di potenza, melodia, sogno, tragedia e pura immaginazione.
Ma quando Beyond the Red Mirror, decimo studio album dei Bardi di Krefeld, ha smesso di girare nel lettore CD, la mia prima reazione è stata quella di constatare, con mio grande sconcerto, che quelle sensazioni erano quasi del tutto assenti in me e che forse, per la prima volta in un quarto di secolo, i Blind Guardian non erano stati all'altezza delle aspettative. Per lo meno, delle mie. E questa impressione è migliorata solo di poco con i successivi ascolti.
Nelle intenzioni iniziali, il nuovo album dei metallers tedeschi avrebbe dovuto rappresentare il raggiungimento di enormi ambizioni artistiche: realizzato in due anni di lavoro (dall'ottobre 2012 all'ottobre 2014) nei Twilight Hall Studios di Grefrath-Oedt sotto la direzione di Charlie Bauerfeind, Beyond the Red Mirror vede infatti la collaborazione di tre differenti cori e di due orchestre, ciascuna di novanta elementi, oltre a proporre un concept originale basato sul prosieguo di Bright Eyes e And the Story Ends, brani contenuti nel seminale Imaginations from the Other Side (1995).
Queste scelte di produzione hanno fatto subito pensare a un ulteriore e ancor maggiore uso delle orchestrazioni nel songwriting (in un percorso stilistico già seguìto nei precedenti lavori) quasi a voler mettere definitivamente e in modo irreversibile le distanze rispetto a un approccio, quello adottato dalla band nel corso degli anni Novanta e da molti fan ancora rimpianto, molto più diretto e metal-oriented.
E così, il coro iniziale e finale dell'opener The Ninth Wave, a mio avviso uno dei pochi elementi realmente efficaci di tutto l'album, irrompe maestoso e si sviluppa in un'interessante e originale fusione con la rabbiosa voce di Hansi Kürsch, le sovraincisioni di quest'ultima ed elementi elettronici appena accennati, per poi lasciare che siano le chitarre e il drumming a prendere la scena. Purtroppo, è in particolare il refrain a lasciare l'amaro in bocca, eccessivamente piatto e fuori tono rispetto alla drammaticità del brano. Questa sensazione di incompiutezza, di poca ispirazione, si ritrova in gran parte dell'album. Nonostante la performance tecnica sia di livello eccellente, la produzione decisamente buona e la scelta dei suoni sia efficace (in particolare, le linee soliste della chitarra di André Olbrich, che ricordano in più occasioni l'eccellente lavoro svolto in Nightfall in Middle-Earth del 1998) è proprio in ambito compositivo che i Blind Guardian mostrano una certa stanchezza.
At The Edge of Time, uno dei brani in cui maggiormente si avverte il peso degli strumenti sinfonici, scorre senza particolare pathos nonostante l'ottima prova vocale di Kürsch e l'impeccabile uso dei cori, mentre la veloce Ashes of Eternity soffre, ancora una volta, di un certo anonimato nelle melodie e nelle soluzioni compositive. La suite finale Grand Parade, definita da Olbrich nelle interviste promozionali dell'album "il miglior brano mai scritto dai Blind Guardian" non può a mio giudizio reggere il confronto con And Then There Was Silence del 2001, al quale cerca evidentemente di ispirarsi in quanto a maestosità ma non riuscendovi affatto, mancando non tanto della complessa struttura di quel pezzo quanto dello straordinario epos che esso sa evocare. Un paragone risulta impietoso anche con la meno ambiziosa ma assai ispirata Wheel of Time che chiude il predecessore di questo Beyond the Red Mirror, e cioè At the Edge of Time (2010).
Del tutto dimenticabili risultano, infine, Sacred Mind e le due bonus track, Distant Memories e Doom (quest'ultima contenuta solo nell'edizione Earbook dell'album, la prima anche in quella Digipak).
Ma non tutto è perduto. Prophecies e The Holy Grail risultano essere brani piuttosto buoni: il primo caratterizzato da un coinvolgente crescendo delle strofe e del bridge e da un refrain giocato su due parti sapientemente legate tra loro (ben riuscita, poi, la coda finale); il secondo, dal piglio assai più aggressivo, è invece un classico pezzo veloce à la Blind Guardian contrassegnato da un ritornello evocativo affidato alle possenti, epiche linee vocali di un coro (mi chiedo se questo pezzo non fosse una scelta migliore come singolo, al posto del non esaltante Twilight of the Gods). I Bardi riescono poi a confezionare un vero gioiello, The Throne, che risplende di luce propria nella mediocrità dell'ispirazione generale dell'album. Evocativo, impreziosito da un refrain originale e allo stesso tempo incisivo sin dal primo ascolto, il brano in questione presenta una struttura di non facile assimilazione ma assai efficace, considerando i toni drammatici dell'episodio del concept, cioè della storia narrata dall'insieme dei brani dell'album, che accompagna.
Ed è proprio quest'ultimo a realizzare, questo il mio personale parere, l'ambizione che i quattro musicisti hanno messo in gioco nella composizione di Beyond the Red Mirror. Il concept riprende il protagonista dei sopracitati brani del capolavoro dei Blind Guardian di metà anni Novanta, il ragazzo (ora divenuto adulto in un mondo che non accetta) che rifiutò di entrare nello specchio/portale verso altri mondi, al termine di And the Story Ends. Nei brani di questo album l'ascoltatore scopre, attraverso le voci di tre differenti narratori, che quei mondi sono ora caduti sotto il dominio di un tiranno, responsabile di aver scacciato anche gli dèi che vi venivano adorati, e che l'unica speranza per quelle realtà ormai in declino è che colui che in passato si rifiutò di entrare nello specchio compia finalmente quel passo, realizzabile ormai solo attraverso il portale rosso richiamato nel titolo. Se la linea narrativa può sembrare a un livello superficiale piuttosto prevedibile e scontata, così non è negli sviluppi e nel valore simbolico degli elementi che la compongono. Com'è suo solito nel comporre i testi di ogni album dei Blind Guardian, il vocalist Hansi Kürsch gioca con i significati reconditi della vicenda, toccando argomenti come la religione, la predestinazione, la manipolazione e il destino, e il risultato, sotto l'aspetto dello storytelling, è assai buono, considerando anche il fatto che l'intento, che si può dire riuscito, del musicista è stato quello di tracciare un fil rouge che legasse le lyrics di Beyond the Red Mirror non solo a quelle dei brani composti nel 1995 ma anche a quelle di molti altri dell'intera discografia dei Bardi.
Concludendo, questo decimo lavoro in studio dei Blind Guardian non può in nessun modo, a mio giudizio, essere annoverato allo stesso livello dei lavori compresi tra l'inizio degli anni Novanta e la prima decade del nuovo secolo, e ciò a causa di una mancanza d'ispirazione nella composizione dei brani, nonostante sia stato compiuto un lavoro notevole per quanto riguarda la stesura del concept e l'album non sia affatto inferiore ai suoi predecessori per quanto riguarda le performance dei singoli musicisti e l'eccellente cura di ogni dettaglio. Men che mai siamo di fronte a un capolavoro e anzi, lo affermo con sincero dispiacere, Beyond the Red Mirror è forse il primo (e, mi auguro, ultimo) passo falso dei Bardi negli ultimi venticinque anni di carriera. E questo, considerando il livello della discografia della metal band di Krefeld, tutto sommato ci può anche stare.
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