Caleb Smith (Domhnall Gleeson) è un programmatore della BlueBook che vince la possibilità di passare una settimana nella casa-centro di ricerca iperblindato dell’Amministratore delegato, Nathan Bateman (Oscar Isaac); una casa bella quanto inquietante, come la mente di Nathan, geniale quanto oscura.
Caleb scoprirà subito che la vincita è solo un pretesto: Nathan lo ha scelto perché diventi l’elemento umano nel test di Turing1 e si confronti con Ava (Alicia Vikander), il suo ultimo prototipo di intelligenza artificiale.
Il test è solo l’inizio di una storia complessa quanto facilmente intuibile. Ma la scontatezza vi potrebbe tormentare per tutta la durata della pellicola: la storia procederà in una successione asettica di numerose sessioni del test, che si intrecceranno con quello che potrebbe sembrare il normale divenire di una settimana di ricerca. Ma è veramente così?
Ava sembra più di una “semplice” macchina: la sua umanità è sorprendente, al limite dello sconcertante, al punto da confondere Caleb e suscitare in lui pietà. Ma da cosa è dettata in realtà?
E Ava, come percepisce gli umani sentimenti? Nathan spiega a Caleb di averla progettata in grado di provare fisicamente molte emozioni umane. Ma come viene considerata la realtà da una I.A.? E cosa "sente" Ava per Nathan? E per Caleb? Cosa rappresenta per lei? È solo un “processo razionale” in cui non c’è posto per altro? E perché col procedere della settimana a Caleb risulta sempre più difficile fidarsi di Nathan?
Ciò che vediamo è ciò che ci fanno credere che stia avvenendo, o è veramente così come si paventa? Sembrerà infatti che ogni personaggio abbia qualcosa da nascondere, se non da perdere nel momento in cui decida di esprimerlo a voce alta. Chi e cosa nasconde Nathan? Chi e cosa nasconde Ava? Chi e cosa nasconde Caleb?
Il film sembra quasi essere un triangolo, non tanto amoroso quanto emotivamente impegnativo, in cui ciascuno dei tre personaggi è protagonista a proprio modo: la sensazione che tutti e tre vogliano far prevalere la propria visione riesce a bilanciare l’intera storia rendendo imparziale un ipotetico giudizio del regista, Alex Garland. Al suo esordio dietro la cinepresa, nel dare la propria risoluzione non dà del tutto risposte dirette, e sembra chiedere allo spettatore di rispondere personalmente a tutte le domande di cui sopra, e di trarre le proprie conclusioni, forse più sulla questione etica sollevata dalla storia che sulla qualità complessiva del film: il rapporto “uomo – macchina”.
Che succede se l’uomo perde il controllo della propria creatura? Ma soprattutto in Ex Machina, perché Nathan crea qualcosa di simile a sé per poi aver paura di esserne sopraffatto? E da dove nasce l’istinto di “sopravvivenza” di Ava? Dove finisce la fiducia, se di questo si tratta, verso chi ha studiato tutti i pezzi per unirli in un corpo “vivente”? Come reagisce una I.A. agli impulsi emotivi, ammesso e non concesso che li comprenda davvero? E come li recepisce? Da cosa nasce il desiderio di scoprire cosa c’è oltre il proprio microcosmo? E quando un altro uomo si interpone tra creatore e creatura? Insomma: se c’è davvero, chi è “il cattivo”?
È indubbio che la tecnologia e la qualità artistica con cui è stato realizzato Ex Machina siano ben più originali della tematica in sé, ma il film funziona, almeno nella versione originale (quindi non ancora tradotta e doppiata).
Il film turba dove è giusto, emoziona, attira, e non solo gli appassionati del genere. Questi più degli altri spettatori entreranno in un trip mentale grazie alla lucida inquietudine del cinico Nathan (magistralmente interpretato da Isaac). Al tempo stesso lo spettatore solidarizzerà con Caleb, di cui Gleeson riesce a rendere al meglio un’umanità che il genere umano non ha del tutto perso, tuttavia viene da domandarsi quali siano gli “istinti” da cui nascano certi sentimenti di pietà o di sopraffazione.
Ava è forse la figura più inquietante di tutti i personaggi, nella sua perfezione quanto nella sua spietatezza. La Vikander riesce a rendere perfettamente, in ogni cellula (o se preferite microchip), tutti gli aspetti e le sfaccettature possibili, a cominciare dalla voce e dallo sguardo.
La colonna sonora, a cura di Geoff Barrow e Ben Salisbury, è ben calibrata con le immagini che scorreranno via in rapida sequenza, senza quasi riuscire a prendere fiato. La fotografia (Rob Hardy) e le scenografie (Mark Digby) riescono a inserire lo spettatore non solo nella storia in sé, quanto in un labirinto ad alto tasso tecnologico immerso nella natura (gli esterni sono girati in Norvegia). Un mix in grado di generare inquietudine e di riservare le più inaspettate (o più attese) sorprese, con la stessa lentezza o rapidità con cui procederà Ex Machina, con una storia psicologicamente accattivante. Garland è stato più che in grado di segnare una tappa interessante di quel cinema di genere che racconta i progressi del genio umano, in un futuro neanche troppo lontano.
1 Nel 1950 il matematico Alan Turing elaborò un test: attraverso il "gioco dell'imitazione" si cercherà di stabilire se una macchina sia in grado di pensare. Per farlo sarà messa a confronto con un essere umano; se alla fine del confronto la persona non riesce a stabilire se si sia confrontata con un essere umano o con una Intelligenza Artificiale, il test sarà superato.
Turing pubblicò in merito un articolo, Computing machinery and intelligence, apparso sulla rivista Mind.
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