Il tessitore di sogni, un romanzo bellissimo, da dove nasce l’idea? Cosa ti ha ispirato?
In realtà, Il Tessitore di Sogni nasce tanto, tanto tempo fa (in una galassia lontana, lontana…), quando non avevo neanche vent’anni, sotto forma di racconto. Un racconto di sole 4 pagine, ispirato da un sogno (a sua volta probabilmente ispirato di Philip K. Dick) e scritto in fretta e furia per un programma radiofonico sulla fantascienza (Zombilla, in onda ai tempi su Radio Popolare) a cui speravo di partecipare. Sorpresa: fui scelto dal conduttore, Robin Benatti, per leggerlo in diretta, a mezzanotte passata, dopo che nelle puntate precedenti erano andati in onda nomi come Valerio Evangelisti, Luca Masali, Nicoletta Vallorani.
Inutile dire che avevo il cuore in gola. Non so come, ma me la cavai e, nella chiacchierata che seguì, il conduttore mi consigliò di espandere il racconto, facendolo diventare un romanzo.
Detto fatto, la mattina successiva mi misi subito all’opera.
Ai tempi, però, non avevo evidentemente la costanza per portare fino in fondo la stesura di un libro e dopo oltre un centinaio di pagine della storia di Philip, mollai il colpo. Avevo, però, già in mente cosa sarebbe dovuto succedere, il finale (identico al racconto originale), la struttura particolare e i due stili di narrazione diversi (in prima e terza persona).
Era solo questione di tempo prima che ci tornassi sopra.
L’occasione è arrivata dopo aver finito un romanzo di stile completamente diverso, un thriller con atmosfere noir. Non sapevo ancora cosa sarebbe stato di quel libro, ma avevo ancora voglia di scrivere e non potevo fermarmi. Così mi ricordai di quest’altra idea (che ai tempi ancora si intitolava “A Cena con il Grillo Parlante”), che avevo già iniziato, che avevo chiaro in testa come la volevo sviluppare e che mi sembrava di poter portare a termine facilmente e velocemente.
Ovviamente mi sbagliavo alla grande, ma questa è un'altra storia.
Location davvero interessanti, paesi diversi, culture e tradizioni preziose.
Vi è un criterio di scelta specifico oppure è tutto frutto di un caso?
Diciamo un po’ e un po’.
Per quanto riguarda i capitoli dispari, dedicati a Philip, l’ambientazione americana mi è venuta naturale, forse frutto delle tante letture di autori come Jonathan Carroll, Neil Gaiman, Terry Pratchett, China Miéville, etc. Mentre i luoghi immaginari sono di volta in volta frutto della mia fantasia e di quello che volevo comunicare.
Per i capitoli pari, invece, vi è un criterio generale laddove volevo che il salto temporale tra l’uno e l’altro si riducesse progressivamente. Trovato il quando, mi toccava cercare il dove. Ambientare tutti i capitoli in Europa mi sembrava un po’ banale, anche se chiaramente la storia del nostro continente è quella che noi conosciamo meglio e su cui abbiamo una relativa maggiore facilità di rintracciare fonti.
Da qui la scelta, in particolare, del capitolo sul Giappone feudale e sul Klondike. D’altra parte il capitolo su Pavia era quasi d’obbligo, avendo già svolto buona parte della ricerca per un altro libro che avevo in mente di scrivere (e chissà mai che prima o poi…), mentre quello sulla ritirata di Russia è stato il mio voler rendere omaggio a mio nonno Danilo, alpino che ha vissuto realmente quei momenti e che mi ha raccontato; spero di esser riuscito a renderlo al meglio.
Un romanzo a limite tra la fantasia e la realtà, riflette i pensieri le paure e i dogmi dell’uomo di oggi, come anche di ieri. Nella tua trama c’è un messaggio latente, subliminale che hai voluto inviare o hai voluto semplicemente affidare ai lettori un’interpretazione soggettiva?
Credo che chiunque, quando scrive, anche quando cerca di essere il più possibile oggettivo, in realtà lasci filtrare un messaggio. Può essere voluto o inconscio, ma un messaggio, un giudizio, c’è sempre.
In “Il Tessitore di Sogni” ci sono tanti personaggi e tanti luoghi o avvenimenti che appaiono simbolici fin dalla prima occhiata, direi che sono quasi delle esplicite metafore. Altri riferimenti, invece, sono ovviamente un po’ più criptici e lasciati solo ai lettori più attenti.
In realtà, a volte riguardando il testo e ripensando ai passaggi più salienti, mi rendo conto di aver messo talmente tante cose dentro a questo libro, che neanche io ho ben chiaro tutto quello che c’è. Non è un tirarsela questo, un voler fare lo scrittore impegnato, perché in realtà il romanzo era nato come narrativa d’evasione pura e semplice. Si tratta solo del rendersi conto a posteriori, del prendere atto, di aver riversato di sé in un libro più di quello che si pensava e si voleva inizialmente. Forse tra qualche anno, riprendendolo in mano, a mente più fresca e, soprattutto, distaccata, io stesso scoprirò ulteriori rimandi e ammiccamenti che mai mi sarei immaginato di poter fare.
Un consiglio a coloro che volessero scrivere un romanzo di tal genere e stile?
Oddio, non credo di esser in grado di dar consigli a nessuno, non mi considero certo chissà qual grande scrittore. Anzi, credo di aver ancora tantissimo da imparare.
Però posso ripetere i consigli che hanno dato a me quando dicevo di voler scrivere e che possono riassumersi in due:
1) Leggere, e poi leggere e ancora leggere. Se uno non legge non potrà mai scrivere bene. Più si legge e meglio si scrive, perché, volenti o nolenti, le parole entrano in testa e mettono radici. Ma per poter raccogliere, bisogna prima seminare e tanto. Inoltre bisogna leggere di tutto. Certamente se si vuole scrivere un giallo è importante leggere tanto di quel genere, perché aiuta a capirne meglio le dinamiche e certi schemi narrativi, ma non si può e non si deve leggere con il paraocchi. Libri di genere, classici, mattoni illeggibili, saggi, fumetti, bisogna leggere di tutto perché la qualità è ovunque (un fumetto semisconosciuto può benissimo esser migliore dell’ultimo best-seller che ha venduto milioni di copie) e una buona idea non si sa mai dove potrebbe nascondersi. Le cose migliori vengono sempre fuori quando si riesce a rompere gli schemi, a saltare da un genere all'altro, creando contaminazioni nuove, originali, a cui nessuno aveva ancora mai pensato.
2) Scrivere, e poi scrivere e ancora scrivere. Se non si scrive ogni frase è faticosa da tirar fuori e, di conseguenza, faticosa da leggere: macchinosa, barocca, pesante, arzigogolata. Anche in questo caso trovo che non sia molto importante cosa si scrive, purché lo si faccia e lo si faccia spesso, meglio se tutti i giorni (ecco, magari non limitandosi alla lista della spesa e cercando di farlo bene, con congiuntivi e condizionali coniugati nel modo giusto). Un articolo di giornale, una recensione, un racconto, un appunto per una idea, una frase particolarmente bella che è venuta in mente all’improvviso, una lunga lettera a un vecchio amico. Tutto aiuta a prendere confidenza con la pagina scritta, a non lasciarsi spaventare dallo spazio bianco, a saper mettere le parole una in fila all’altra con un senso logico e, infine, a riuscire a comunicare quello che si vuole come lo si vuole.
Difficoltà riscontrate lungo la stesura del romanzo?
Indubbiamente la maggior parte dei problemi me li hanno dati i capitoli storici. Non volevo assolutamente commettere errori, per cui prima di pensare anche solo alla vicenda da raccontare, sono andato a leggere, a fare domande, a importunare fino alla noia amici e conoscenti vari. Volevo conoscere approfonditamente il periodo storico, i fatti principali, la cultura, la religione, gli usi e consumi delle popolazioni di cui sarei andato a parlare.
Il risultato è stato che, una volta fatto questo, non ho neanche dovuto cercare una storia, ma è stata lei a venire da me. È stato automatico il passaggio per cui i fatti di ciascun capitolo avrebbero dovuto svolgersi proprio in quel giorno e in quel modo, io ho dovuto solo scriverli.
Chiaramente qualche capitolo è stato più semplice, come quello di Pavia o quello della Ritirata di Russia, perché le basi da cui partire mi erano già chiare. Altri, invece, sono stati più complicati, più che altro perché le fonti erano meno facili da recuperare, come quello sull’Antico Egitto (ambientato durante un regno che i successori hanno fatto di tutto per cancellare dalla memoria) o quello ambientato in Giappone (su cui mi sono dovuto affidare soprattutto alle conoscenze di amici, veri appassionati e studiosi di quel paese, ma anche ai manga, alcuni splendidi per l'accuratezza storica e ottimi per documentarsi anche a livello visivo).
I personaggi della storia sono così ben delineati da sembrar veri. Tu li hai mai incontrati? :)
Si può dire che io li incontri tutti i giorni quando mi guardo allo specchio.
Quando creo un personaggio nuovo cerco sempre di non prendere direttamente a esempio una persona che conosco, ma di crearlo da zero. L’ispirazione da amici e parenti, o anche solo da qualcuno che vedo sul treno, può venire magari per qualche particolare, un tic, un modo di fare o di dire, così da rendere i personaggi più credibili e umani.
Per la personalità, invece, preferisco costruire da zero, creandomi nella testa ogni dettaglio di come pensa, di cosa gli piace e cosa no, di come reagisce alle diverse situazioni. Spesso molte di queste cose poi non finiscono sulla carta, perché non c’è l’occasione o lo spazio (come il gusto di gelato o il colore preferito), ma mi aiutano quando scrivo perché so con certezza cosa può o non può fare ogni personaggio.
Il che, in effetti, è un po’ un problema quando magari vorresti far evolvere la storia in un certo modo, ma ti rendi conto che quel personaggio non prenderebbe mai quella decisione e ne prenderebbe invece un’altra, per cui alla fine devi fare come "vuole lui"! :-D
Nel tuo romanzo hai indotto i lettori a riflessioni profonde, rare, e hai parlato anche della morte e del suo eventuale senso. Pensi che oggi, l’era del consumismo, del benessere, si parli poco di un argomento così delicato? Se sì perché?
Indubbiamente oggi abbiamo un modo di approcciarci alla morte ben diverso da quello che avevano i nostri nonni. È come se non la percepissimo più come qualcosa che fa parte della vita e dell’esistenza, come se fosse qualcosa di diverso da noi, di alieno, quindi da rifiutare. I nostri nonni, invece, avevano un atteggiamento per certi versi più pragmatico, di maggiore accettazione di ciò che non si può cambiare.
Forse riuscivano a vedere ciò che oggi, invece, ci sfugge: che la morte stessa diventa significante della vita, lunga o breve, di una persona. Di come la fine, o almeno una fine, sia bilancia dell’esistenza. Che è proprio il fatto di sapere che, prima o poi, tutto cesserà di esistere a spingerci a rendere le nostre vite degne di essere vissute. Se non ci fosse un termine, tutto questo non avrebbe senso.
Un romanzo a tratti introspettivo, quanto della tua realtà c’è in esso?
Probabilmente più di quanto io stesso non mi renda conto.
Come dicevo prima, ci sono simbolismi più o meno espliciti in molte delle situazioni del libro. Se a questo aggiungiamo che buona parte delle ambientazioni più assurde nascono da miei sogni e che i sogni, a loro volta, sono spesso rielaborazioni del subconscio di quello che ci accade, direi che il quadro che ne esce è proprio un bel pastrocchio! Ahahah :-)
Il valore dell’amicizia.
Come credo emerga anche dal libro, soprattutto dalle vicende di Philip, credo molto nel valore dell'amicizia. Penso di essere una di quelle persone che sarebbe capace di buttarsi nel fuoco per un amico, anche se a volte sono proprio le persone che crediamo di conoscere meglio, di cui ci fidiamo di più, quelle che ci tradiscono. Il fatto è che quando c'è di mezzo l'amicizia, purtroppo, spesso non ci si accorge che le persone cambiano e che, con il passare del tempo, magari non sono più quelle che conoscevamo tempo prima. Noi continuiamo a vederne una immagine cristallizzata, come un fermo immagine, senza accorgerci che ha continuato a muoversi fino a diventare qualcosa di diverso. Così, spesso abbiamo bisogno di qualche evento che ci ferisce, per aprire gli occhi e tornare a vedere la realtà delle cose.
Secondo te esiste il bene e il male?
42!
Scusa, ma non ho resistito a dare la risposta alla vita, l'universo e tutto quanto.
Di certo non è una domanda facile la tua. Diciamo che sì, credo che esistano il bene e il male come qualcosa di astratto e metafisico, ma al contempo credo anche che bene e male siano connaturati nell'uomo e che gli esseri umani siano capaci di compiere atti di puro orrore, peggiori di qualsiasi incubo. Forse sarebbero più facili da accettare fatti come l'olocausto o gli omicidi di qualche serial-killer se pensassimo che, in fondo, non sono del tutto colpa di esseri umani come noi, ma sono stati ispirati da qualcosa di soprannaturale. Invece dobbiamo scendere a patti col fatto che, purtroppo, l'animale uomo non ha bisogno di influenze esterne per compiere il male.
Il tuo grillo parlante?
Questa credo sia la risposta più semplice di questa intervista! :-D
Indubbiamente Valentina Grandi. Proprio come il personaggio del libro, per me è stata musa ispiratrice, aiutante, correttrice di bozze, assistente alle ricerche, beta-tester di ogni idea o svolta narrativa, nonché coscienza.
Quando ripresi in mano quello che avevo scritto tanti anni prima, per continuare il libro, per buona parte non mi piaceva per nulla: lento, verboso, barocco. Lo stile di scrittura mi sembrava lontano anni luce dal mio attuale. Neanche i personaggi mi convincevano, ma, soprattutto, c’era qualcosa nel meccanismo della storia che mi sembrava stridere, o, meglio… io cercavo di convincermi che tutto andava bene, per amor dell’ozio, ma c’era la vocina del mio Grillo Parlante personale, che continuava a ripetermi quello che non funzionava, fino a che non mi decidevo a correggerlo.
Così rimisi mano a un sacco di cose, cambiai dei passaggi, spostai dei pezzi, riscrissi interi capitoli, aggiunsi dei passi… e il risultato è quello che avete tra le mani. Ma se non ci fosse stata lei, sarebbe stato qualcosa di completamente diverso e sicuramente meno bello.
Progetti per il futuro?
Diversi e tutti già in cantiere.
Innanzitutto mi piacerebbe trovare casa al primo romanzo (completamente diversa da Il Tessitore di Sogni) che ho scritto: un thriller psicologico dalle atmosfere noir e con una struttura, tanto per cambiare, piuttosto particolare. Si tratterebbe di una storia autoconclusiva, ma che in realtà sarebbe solo il primo capitolo di una trilogia che ho già perfettamente strutturata in testa.
Inoltre ho già cominciato a scrivere un altro libro: uno young-adult di fantascienza ambientato in una Milano del futuro. Questa volta si tratta, dichiaratamente, del primo romanzo una trilogia.
Finito anche questo… beh, accanto alla pila di libri da leggere sul comodino, ho una pila di libri da scrivere! Purtroppo non sono abbastanza veloce a scrivere e mi vengono più idee di quante riesca a trasformarne in realtà, per cui continuo a prendere appunti, sperando prima o poi di trovare il tempo metterle nero su bianco.
Il tessitore di sogni
L'anteprima del romanzo ultimo vincitore della selezione di IoScrittore.
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