Incontrare Paolo Barbieri a Lucca non è stato troppo difficile. Salvo impegnato in qualche panel, se ne stava seduto allo stand dell'Area Games, un po’ defilato ma proprio dietro a lato dell’Area Performance: mani macchiate di colore, perché durante la mattinata ha dipinto dal vivo, e il suo lavoro ha partecipato all’asta di beneficenza per la Dynamo Art Factory, e certamente durante la giornata non ha smesso di disegnare, firmare un libro, stringere mani, posare per foto. Tuttavia, nonostante la stanchezza di fine giornata, si è gentilmente lasciato intervistare.
Ha risposto con molta franchezza e libertà e di questo lo ringraziamo, sperando di tornare presto a parlare di illustrazione e fantasy con lui!
1. Tempo fa avevi osservato quanto troppo poco spazio venga dato al genere di illustrazione di cui ti occupi tu, e dalle tue parole si capisce che c’è molto di più che voler fare un po’ di polemica. Qual è secondo te il problema dell’illustrazione, oggi?
In realtà è proprio il discorso generale italiano in cui l’illustrazione è ancora poco considerata.
Il fumetto ormai, nonostante ci siano critiche per una situazione non troppo rosea secondo la quale la grande distribuzione non lo considera, ha qualche possibilità in più di far sentire le proprie ragioni: in internet, su siti più o meno specializzati si parla tanto di fumetto, ci sono articoli continui e questo è un bene, ci mancherebbe.
Per l’illustrazione invece vedo poco e niente, nonostante nel mondo, comunque, sia una forma d’arte estremamente considerata. In Italia il discorso non trova modo di innescare riflessioni più durature quando essa, forse, è una delle poche vere figlie di quella che era l’arte dei grandi artisti nel passato. Michelangelo, Leonardo, Caravaggio in fondo cercavano di descrivere una storia con una sola immagine: avevano dei committenti, spesso legati al mondo della Chiesa, della politica o degli affari, ma oggi? Certo, sono spesso cambiati i committenti ma il discorso è esattamente lo stesso.
Al di là di questo oggi gli illustratori hanno anche maggiore libertà, in fondo possono creare i propri libri sia illustrando storie inedite di scrittori o creando dei mondi generati dalla loro mente e sicuramente questa è una cosa positiva.
Ma in generale in Italia vedo ancora questa pecca: spesso quando i siti professionali parlano di illustrazione condividono o parlano riferendosi solo a quelli stranieri, e questa esterofilia danneggia in modo enorme un ambiente (e un mercato) fatto di tanti professionisti; per questo critico questo atteggiamento: non abbiamo nulla da invidiare agli artisti esteri!
2. Hai detto che la commissione è data da un briefing dell’opera. Come si basa il rapporto tra te e la “committenza”?
In genere la casa editrice manda un riassunto, a volte sono indicazioni dirette e precise, altre volte il riassunto dei fatti principali. Io faccio alcuni sketch di prova per visualizzare le idee, che poi invio, la migliore viene scelta e poi proseguo con l’interpretazione che è piaciuta di più, sviluppando ancora meglio quella “visualizzazione”.
L’illustratore spesso ha la capacità di tradurre, di filtrare con il proprio stile quello che è l’input principale che poi deve finire sul foglio a colori, o magari in bianco e nero, dipende chiaramente dal disegno. È semplicemente una condizione, uno sviluppo normale, nell’illustrazione.
Tornando al passato gli artisti avevano uno stile riconoscibile, e questo succede anche oggi, e quindi un illustratore non fa altro che tradurre attraverso il proprio stile e la propria sensibilità ciò che poi far diventare un’immagine per una copertina o magari più immagini come in un libro illustrato.
3. Questa libertà è maggiore quando il briefing scegli di farlo da solo, quando sei tu il tuo committente. Lavori allo stesso modo?
Sono abbastanza critico verso il mio lavoro, per cui col tempo sono diventato una sorta di art director di me stesso, e questo è successo molto fortemente per i miei libri illustrati. Spesso scarto tante prove, tanti schizzi, perché c’è sempre qualcosa che secondo me non funziona, e quando trovo la perfezione secondo ciò che sarebbe la mia idea ecco che l’opera diventa un quadro. A volte in un giorno riesco a fare tutto, a volte occorre una settimana, chiaramente non parlo di blocchi, ma ogni immagine ha il proprio tempo, comunque mai avuto panico del foglio bianco.
4. Disegnare è un po’ la tua Hogwarts: chi osserva il tuo lavoro riscopre anche un po’ la tua interiorità, il tuo intimo, mentre racconti una storia di altri. Come dosi i vari elementi che confluiscono in un unico disegno? L’arte ti mette a nudo, mentre esprimi le idee di qualcun altro. Come lo vivi?
Questa cosa mi dava una certa soggezione anni fa, quando mi sono reso conto che i miei disegni piacevano anche perché io filtravo un messaggio piuttosto intimo, e mi mettevo a nudo, perché è fatto di questo lo stile di un disegnatore.
Poi è l’esperienza, quando lavori da 15-20 anni non ti poni più la domanda. Ciò che tutti chiamano stile è una sorta di evoluzione che tu pian piano col tempo hai filtrato, magari facendo uscire aspetti meno interessanti e tenendo, come dei piccoli semi pronti a crescere, tutte le cose più belle, destinate a evolversi, che senti avranno uno sviluppo nel tuo bagaglio creativo.
Se ci pensi è questo che crea l’arte, in generale.
5. Prima hai parlato del rapporto dell’illustratore a livello editoriale dal punto di vista di chi “giudica”. Tra i vari “giudici” ci sono anche i lettori. Che rapporto hai con il lettore appassionato di illustrazione e le loro osservazioni?
In questo discorso c’è molta democrazia, ovvero sei libero di acquistare se ti piace oppure no.
Ho notato di aver avuto una cosa dai lettori, anche se non saprei come chiamare chi “apprezza essenzialmente l’immagine”: c’è un enorme passaparola per quel che riguarda il mio lavoro, da parte degli appassionati, nonostante si pubblicizzi poco l’illustrazione in Italia, ma per quanto mi riguarda, invece, ho sperimentato la diffusione da parte dei lettori ed è stata una cosa stupenda.
Mi è stato detto che sono un’anomalia per ciò che faccio, perché in Italia non era mai successo. Quando ci ho ripensato mi sono accorto, senza presunzione, di aver stabilito una sorta di punto di separazione.
6. Il fatto che Brennan ti abbia inserito nel suo ultimo libro La principessa degli elfi non pensi che sia effettivamente un riconoscimento per il tuo talento? A prescindere dalla bellezza (e validità) del tuo lavoro, che potrebbe anche dipendere dal gusto personale, in qualche modo Brennan testimonia, il tuo essere “diverso”.
Brennan è rimasto molto entusiasta del lavoro che ho fatto per le ultime copertine della sua saga (per La guerra degli elfi Paolo ha illustrato la copertina dell’edizione completa e quella del quinto libro, La figlia degli elfi), ed era talmente contento che ha deciso di inserirmi come un personaggio del suo ultimo romanzo. Diciamo che non si è fatto troppe domande e istintivamente mi ha gratificato nel modo a lui più vicino.
7. Quali sono le tecniche che preferisci usare per le tue illustrazioni? Ce n’è una che pensi ti permetta di esprimerti al meglio? Ti piace sperimentare?
Mi piace moltissimo disegnare "solo" con la matita, lasciando il disegno in bianco e nero. Per il mercato editoriale servono però illustrazioni a colori e impattanti, per cui la tecnica digitale ha sicuramente molte frecce al proprio arco (permette una maggiore velocità di esecuzione, facili correzioni se richieste dagli art director, e sicuramente infinite possibilità di sperimentazione).
Scegliere una tecnica preferita mi è comunque difficile: diciamo che ogni tecnica deve essere funzionale alla richiesta della committenza o alla mia ispirazione di quel determinato momento.
8. Ti abbiamo visto dipingere e disegnare dal vivo in più occasioni. Che rapporto hai con la digitalizzazione dell’arte? Che ne pensi di tavolette grafiche e colorazioni digitali?
Ho un ottimo rapporto. Credo sia importante sottolineare che con la tecnica digitale si cambia semplicemente supporto su cui disegnare, ma la tecnica base e lo stile rimangono gli stessi. Come ho già detto ogni tecnica consente sperimentazioni e finalizzazioni diverse, e questo è evidente, ma ciò che ritengo più importante va oltre la bravura tecnica e la perfetta riproduzione della realtà. Un disegno, specialmente se fatto per il campo del Fantasy, deve comunicare sensazioni di magia e mistero, proprie di un mondo che non esiste ma che siamo noi disegnatori a creare.
Lo stile vince sulla tecnica, e questo lo penso da sempre, a prescindere da tavolette grafiche, matite o pennelli.
9. I soggetti che più hai rappresentato (per committenza ma anche per gusto personale) e quelli che vorresti rappresentare di più… magari in progetti futuri?
Considerando copertine, libri illustrati e disegni inediti direi senza dubbio soggetti fantasy, anche se nei primi anni della mia carriera ho fatto di tutto, dai biglietti di auguri ai fascicoli di informazione medica.
Per il futuro ho parecchie idee, ma preferisco non parlarne. Diciamo che mi piace farmi portare dove i miei disegni creano nuove e inaspettate porte.
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