Il viaggio di Arlo, diretto da Peter Sohn, sorprende per la perfezione tecnica. I paesaggi sono entusiasmanti e stiamo arrivando all’Iperrealismo anche nei film di animazione. I colori, i movimenti delle foglie, della terra, il turbinio dell’acqua, insomma la natura incanta più della storia, che narra il classico viaggio dell’eroe. In questo caso il protagonista è un dinosauro, piccolo e pauroso, che deve conquistare il merito e quindi l’onore di mettere l’impronta nel silo familiare, cioè deve superare le sfide che la vita gli presenterà.
Siamo in una fattoria, gestita da una famiglia di dinosauri composta dai genitori e dai tre figli. Arlo, il protagonista, è esile, fragile, spaurito, deve dimostrare alla famiglia, ma soprattutto a se stesso, di essere in grado di compiere i compiti impartitigli dai genitori, cosa molto difficile per lui. L’unico sostenitore della sfida è il papà, che cerca in ogni modo di spronarlo per renderlo (mi verrebbe da dire uomo) dinosauro. E qui si pone un problema: c’è una forte umanizzazione non solo nelle situazioni, ma anche nella caratterizzazione dei personaggi e quindi dei loro comportamenti. Le vicende sono quelle che potrebbe affrontare, mutatis mutandis, un ragazzo appena adolescente: l’indipendenza, la crescita, il confronto con il mondo esterno.
Ovviamente Arlo, a cui è stato chiesto di cacciare l’animale che ruba il cibo per l’inverno stipato nel silo, deve sostenere sfide estreme che lo condurranno lontano da casa; dovrà elaborare il lutto per la perdita del padre; dovrà fare i conti con le sue paure e con l’idea di sé. Tutto ciò non è facile, ma se si ha un amico fedele, un cane, fedele e coraggioso, quasi incosciente, allora le difficoltà si superano con una grinta maggiore. Scopriamo che l’animale che ruba le pannocchie nel silo è un piccolo cucciolo d’uomo, che si comporta come un cane da guardia, pronto a difendere il proprio padrone contro ogni nemico, anche a costo della sua vita. È la presenza di Spot, questo il nome del ladruncolo, a far crescere Arlo. L’unione di queste due forze darà a ognuno di loro la possibilità di evolversi.
La realizzazione è eccellente. Lasciano stupefatti i panorami, i giochi di luce, la forza del vento, il colore cangiante della terra, la varietà della flora, la maestosità degli altipiani e non ultimo il passaggio delle nuvole. E se a volte la storia scritta da Meg LeFauve pecca di stucchevolezza, è anche vero che il target a cui è dedicata è infantile e proprio per la sua semplicità riesce a conquistare i più piccoli, coinvolti in queste avventure nel mondo preistorico.
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