Come è nata l'ispirazione per la storia?
Ho raccontato la prima storia ambientata nelle Terre moltissimo tempo fa, quando ero al primo anno del liceo. Di quei quaderni ho conservato solo qualche pagina e un ricordo indelebile, tanto che, da grande, in un momento difficile della mia vita, è stato spontaneo ripensare a quei luoghi incantati come a un rifugio, per riprendere le fila della mia storia.
Pensavo di scrivere un racconto, poi la storia si è dilatata, le idee hanno cominciato a dar forma a una narrazione molto complessa che ha richiesto uno sviluppo su più libri. Mai più immaginavo ne venissero fuori tanti, però!
Come sei venuta a contatto con la figura del principe di Sansevero, che è nota davvero a pochi?
Con Raimondo di Sangro ho un legame speciale da quando, a vent’anni, ho visitato la Pietatella insieme a due persone molto care, due zie di Benevento di cui ero ospite. Ho un ricordo meraviglioso di quei giorni e della gita a Napoli, che mi ha permesso di entrare in contatto con i misteri dell’alchimista. Quando ho cominciato a pensare di dare al romanzo una “svolta”, subito ho pensato a questo personaggio così particolare, per vedere se poteva prestarsi al mio progetto e… mi si è letteralmente aperto un mondo.
Hai creato una scuola di magia che a tratti mi ha ricordato l'austera Roke della LeGuin, ma che ho trovato molto più vivida e pulsante. Avevi in mente un modello di riferimento o hai seguito semplicemente il tuo estro creativo?
Palàistra è nata nella prima storia che ho scritto al liceo, per questo ha un nome greco (ero al classico ed ero fissata!). Già allora era impostata come una città di soli insegnanti e studenti nella quale le donne non erano ammesse. Me l’ero immaginata come mi immaginavo un campus universitario in stile medievale, per questo è un ambiente misogino e maschilista. La città, invece, era ispirata a Castell’Arquato, un paese in provincia di Piacenza che conosco bene, perché ci ho trascorso tante estati dell’infanzia e dell’adolescenza e che è noto per la sua rocca, abbarbicata sulla collina. Insomma, “scrivi quello che conosci” l’ho sempre preso alla lettera…
La protagonista Ester, debbo dirlo ed è forse l'unico neo, è veramente antipatica e petulante, almeno nei primi due volumi. Poi matura un po'. È stata una cosa voluta oppure, come spesso capita, il personaggio ha iniziato a vivere di vita propria?
Ester è sempre difficile da definire. Volevo crearla come un modello di successo femminile e invece ci ho riversato tutta la mia fragilità di quel periodo: è un personaggio in cerca un equilibrio, si nasconde dietro la sicurezza generata dalla magia, ma è sempre sul punto di cedere. Ogni volta che rileggo il romanzo penso che ci vuole tutta la pazienza di Nimeon per sopportarla. I miei personaggi sono sempre anarchici: io propongo, poi decidono loro cosa fare. Anche la scena del bacio mica l’avevo prevista lì.
Come mai hai scelto Piacenza come porta di comunicazione fra i due mondi?
Sempre per scrivere quello che conosco. Amo la mia città e le sue valli: mi sono divertita a renderle parte di un fantasy. Nello spin off che sto scrivendo infatti torno a giocare con l’ambientazione padana… ho sempre avvertito un senso di magia nella mia campagna. I signori delle Colline invece hanno un breve ma importante interludio ambientato a Napoli. E lì, la magia che descrivo è quella del ricordo.
La tua scelta sarebbe la stessa di Ester per Nimeon, cioè vivere, per amore, in un mondo senza le nostre comodità e conoscenze scientifiche?
Vivere in un posto dove posso usare la magia per realizzare quello che voglio, accanto a un fustacchione che è pure re? Vivrei nelle Terre anche soltanto per avere il tavolo che cucina da solo!!!!
Quanto tempo hai impiegato per pianificare e scrivere la trilogia? È nata già come disegno unico da dividere in tre libri?
Il primo romanzo è stato scritto in un lampo: seicento pagine in tre mesi di insonnia. Doveva finire lì, ma poi ho cominciato a pensare a una seconda storia che allargasse i confini oltre le Terre. Ampliare il panorama alle creature esterne ha richiesto una fase di progettazione, ma stranamente tutto si incastrava come se… esistesse davvero.
Il secondo e il terzo libro erano in origine un unico libro, che avevo chiamato “la compagnia dei maghi vaganti”. È stato poi diviso per la precedente edizione, considerando che la mole era davvero imponente.
L’idea del prequel invece è arrivata quando, nel rileggere i vari prologhi, mi sono accorta che alcuni personaggi aspettavano solo di essere raccontati: erano già vivi fra quelle pagine.
Come procedi quando lavori a un romanzo? Sei una di quegli autori che predispongono rigorosamente linee del tempo, mappe, griglie e schede dei personaggi, oppure hai un approccio meno rigido?
Quando comincio a scrivere di solito ho già in mente in maniera abbastanza precisa la trama, ma non uso prendere appunti. Sono i personaggi, poi che decidono se vogliono essere raccontati e premono finché non li accontento.
C'è qualche personaggio che ha avuto un'ispirazione reale?
Quando dico che Nimeon è ispirato a mio marito ridono tutti, anche mio marito. Eppure è così, anche se non letteralmente: l’amore dei protagonisti racconta, fra le righe, sia la mia esperienza di fede sia alcuni aspetti del mio matrimonio.
A proposito di personaggi – e nella saga ce ne sono molti ben riusciti e ben tratteggiati - quello che ho trovato assolutamente irresistibile è Dert. Da dove ti è uscito questo vecchietto divertentissimo?
Dert è uscito così da solo. Ecco, potrei dire che è la mia parte folle, la persona che vorrei essere. Libertà e pazzia assolute e una capacità unica di guardare alla realtà. Lui e Lexon sono in assoluto quelli di cui ho amato di più scrivere.
Osservando Nimeon, continuava a venirmi in mente l'essenza della 'cavalieritudine' del Navarre di Rutger Hauer. E così ho continuato a immaginarmelo sino alla fine. È un'impressione personale e non ci hai mai pensato, oppure anche per te esistono effettivamente punti di contatto fra i due che giustifichino l'accostamento?
No, non avevo pensato a Navarre, anche se adoro Lady Hawke (e guarda caso, alcune scene le hanno girate a Castell’Arquato!). Nimeon, e in generale le regole del cavalierato delle Terre, sono legati al ciclo arturiano. Se penso a Ghel, però, temo di essermi avvicinata più a Little John di Robin Hood.
Hai qualche aneddoto, riguardante il concepimento o la stesura della trilogia, che vorresti menzionare?
Be’… la prima cosa che mi viene in mente è l’editing: mi ha consegnato perle meravigliose. Ho trovato personaggi che invece di darsi alla fuga hanno optato per attività più ludiche grazie alla vicinanza sulla tastiera della u e della i. E terribili predoni sono diventati, in un passaggio, piedoni. E poi dicono che l’editing è noioso!
Personalmente trovo la tua trilogia fra le migliori opere di fantasy italiano che ho letto, e poiché mi conosci sai che non lo dico per piaggeria e, in caso contrario, non solo non lo direi, ma non sarei neppure qui a intervistarti oggi. Eppure, anche il tuo lavoro soffre dei preconcetti sugli autori italiani, quando poi all'estero, oltre ai mostri sacri abbiamo avuto anche, per fare qualche nome, Paolini, la Meyer e ci aggiungerei anche la plasticosissima Suzanne Collins. A dimostrazione che anche là c'è fuffa in abbondanza, a prescindere dal successo di vendite. Secondo te c'è un modo per convincere il pubblico nostrano a dare una chance anche agli autori di casa nostra e a piantarla con lo snobismo aprioristico della nazionalità?
Prima di tutto, grazie per i complimenti! Credo che oggi, oltre allo snobismo verso gli autori italiani, ci sia anche un nuovo modo di vivere la lettura. Chi legge ebook ha molta scelta e sa che con un po’ di pazienza prima o poi avrà gratis o a prezzo irrisorio il libro che vuole. O mille altri.
Ci sono centinaia di autori, migliaia di libri. Forse la differenza sta solo nel marketing, nella capacità di un autore di proporsi e attirare attenzione. Molti autori sono, ancor prima che scrittori, imprenditori e pubblicitari. Che sia giusto o meno, oggi vendi se sai vendere, non se sai (solo) scrivere. Ma non è che questo sia una novità…
Grazie, Marina, per questa bellissima intervista e grazie ai lettori che hanno partecipato a questa chiacchierata!!!
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