Un’amica competente, la sera del 16 dicembre, ha twittato:
“#TheForceAwakens is #StarWars. I repeat: #TheForceAwakens is #StarWars”
Mi pare una buona sintesi, e paradossalmente questa, a quanto pare, è proprio la critica principale dei detrattori del film: Star Wars: il risveglio della Forza sarebbe troppo appiattito sulla trama di Episodio IV, troppo poco originale.
Ci sono almeno due ordini di ragioni per cui credo che questa critica manchi completamente il bersaglio. Innanzitutto, fin dal principio l’originalità non è affatto la cifra di Guerre Stellari. Il primo Star Wars, al contrario, era proprio concepito per essere una sorta di “storia di tutte le storie”, modellata sul più canonico dei “viaggi dell’eroe”, al punto da essere utilizzato nei manuali di sceneggiatura come paradigma del film avventuroso. George Lucas del resto non ha mai fatto mistero di aver attinto a piene mani alle strutture descritte da Joseph Campbell nel suo celebre L’eroe dai mille volti e all’immaginario dei vari Flash Gordon e dei film di cappa e spada. Ogni personaggio ha il suo ruolo e ogni ruolo un personaggio: l’eroe senza macchia, l’anziano mentore, gli aiutanti con l’avventuriero e la spalla comica, la principessa, l’antagonista; la vicenda attraversa in buon ordine tutti i passaggi del viaggio, o della fiaba: la chiamata dal mondo ordinario a quello dell’avventura, con il rifiuto iniziale dell’eroe e il successivo varco della soglia, l’incontro con alleati e nemici (la tipica scena del saloon – qui la Cantina di Mos Eisley – nei film western) e l’addestramento con le prime prove, l’avvicinamento alla caverna più recondita e la prova centrale (la liberazione della principessa e la fuga dalla Morte Nera) con la relativa ricompensa, il ritorno alla base ribelle e infine lo scontro finale e il premio al vincitore. L’originalità dell’operazione di Lucas consiste da un lato nell’aver proiettato questa struttura nello spazio, con astronavi e armi laser, conciliando oltretutto gli aspetti futuristici con un’ambientazione e una mistica medievali (i cavalieri Jedi, la Forza, etc.); dall’altro nel ribaltamento di alcuni ruoli chiave (la principessa che “si salva da sola” e che non si innamora dell’eroe, ma del suo aiutante, etc.) ma dal punto di vista della struttura narrativa, intenzionalmente, non c’era proprio nulla di nuovo.
Prendendo come modello narrativo Episodio IV, Abrams è rimasto nel solco di questa operazione: non si tratta di un omaggio, come pure è stato definito, ma si tratta proprio di rispettare profondamente lo spirito di Guerre Stellari. Ecco perché davvero Episodio VII è Star Wars.
Ma la bravura dello staff che ha progettato Il risveglio della Forza sta tutta nel modo con cui è stato seguito l’originale. Chi sostiene che il film sia una semplice copia di Episodio IV osserva il dito (la struttura narrativa, che come abbiamo visto già nel primo Guerre Stellari era intenzionalmente non originale) e non vede la luna che ci sta dietro, ossia la qualità dei personaggi e l’intreccio delle loro vicende. In altre parole, proprio il fatto che la trama sia complessivamente molto simile è la base per apprezzare le differenze, a patto di saperle cogliere come nel gioco della Settimana Enigmistica e di non fermarsi all’apparenza superficiale.
Prendiamo solo la macro-sequenza iniziale, per fare un esempio.
Esattamente come in Episodio IV, dopo i titoli di testa compare un incrociatore stellare che gradualmente occupa l’intera inquadratura. Meglio di Lucas, Abrams qui comincia subito a mostrarci per immagini il tema principale della vicenda: l’ombra nera dell’incrociatore copre e oscura la sagoma luminosa del pianeta sullo sfondo. L’opposizione anche visiva tra Luce e Lato Oscuro ricorre continuamente nel film e in effetti la Forza, che come sappiamo li contiene entrambi, diventa un vero e proprio personaggio della storia, tanto da meritarsi di apparire fin dal titolo.
Ma torniamo al nostro inizio. Mentre gli assaltatori attaccano il villaggio amico dei ribelli (in Episodio IV era la nave consolare) il pilota della Resistenza Poe Dameron consegna preziose informazioni al piccolo droide BB8, come la principessa Leia aveva fatto con R2D2 (sì, nonostante l’affetto per i nomi del vecchio doppiaggio italiano, ammetto di preferire la comodità dei nomi originali di Episodio VII). Il droide scappa con il tesoro, mentre Dameron, come la principessa, viene catturato dal villain forte del Lato Oscuro della Forza, Kylo Ren/Darth Vader, che nel frattempo è sopraggiunto.
Ora, benché distratti dalla maestria con cui è stato realizzato BB8, un incrocio azzeccato tra R2 e Wall-E (se questa è la tanto temuta “mano” della Disney, la stringo volentieri), notiamo il primo fondamentale sviluppo rispetto all’originale: uno degli assaltatori emerge dallo sfondo in cui i soldati, specie gli imperiali, erano relegati nella vecchia trilogia e acquista una personalità. Poco importa se a muoverlo siano il panico, l’orrore del male o la scelta consapevole del bene: probabilmente un mix di tutti e tre, con proporzioni che varieranno nel corso della storia assicurando lo sviluppo di un personaggio estremamente complesso e straordinariamente ben riuscito, che percorrerà il suo personale “viaggio dell’eroe”.
Finn è un personaggio cruciale nel film, e perciò averlo introdotto costituisce una deviazione notevolissima dal modello originale. Infatti, a differenza dei personaggi di Episodio IV, che avevano ciascuno sostanzialmente un ruolo ben definito nell’intreccio, Finn comincia come assaltatore – dunque Aiutante dell’antagonista; quindi, come Luke a suo tempo con Leia, aiuta Poe nella fuga dall’incrociatore di Kylo Ren (e nel finale sempre come Luke tornerà sulla Starkiller/Morte Nera per salvare Rey/Leia). Tornato suo malgrado su Jakku, incontra Rey e le cede il ruolo di protagonista, assumendo quello di Messaggero (colui che comunica all’eroe l’inizio dell’avventura) e spalla comica: esattamente come, nei film classici, C-3PO; le gag con il droide BB8 sono di per sé spassose, ma le rende geniali il fatto che la comicità scaturisca essenzialmente dal tentativo di Finn di fingere un altro ruolo archetipico: quello di Mentore.
Qui sta l’altra differenza concettualmente significativa rispetto all’originale: l’assenza di una figura come quella di Obi-Wan Kenobi, la guida, il mentore per eccellenza. Se il tentativo di Finn è patetico, non meno fallimentare è quello di Han Solo, che oltretutto ha sul groppone la conversione al Lato Oscuro del figlio. Uno dei grandi temi del film, che culmina con l’uccisione di Han da parte di Kylo Ren, è che gli eroi qui devono sapersela cavare da soli, non hanno riferimenti, nessuno che li possa preparare al futuro: il passato è leggenda, e non li può aiutare. A ben vedere, il ruolo di Mentore è assegnato direttamente alla Forza (come si diceva, un personaggio vero e proprio), in grado ora di mostrare direttamente alla protagonista, senza bisogno di intermediari che non esistono più, le vie per essere usata. De te fabula narratur: si parla del nostro presente, dello scontro tra generazioni e modelli culturali, della nostra necessità di cavarcela da soli. Lucas non l’aveva mai fatto, Abrams riesce a renderlo in modo anche commovente, e certamente non schematico.
Ed è magistrale il modo con cui i due temi, l’opposizione tra luce e ombra e quella tra le generazioni, vengono intrecciati e si fondono nella scena culminante sul pianeta-arma Starkiller. La gigantesca stazione assorbe l’energia del sole per caricare il proprio raggio distruttore, letteralmente “spegne la luce”: dunque “finché c’è la luce abbiamo una speranza”, come dice Poe Dameron. Quando si estingue l’ultimo raggio che filtrando dall’alto illuminava il confronto tra Han Solo e Kylo Ren, il villain si volge definitivamente al Lato Oscuro, il figlio uccide il padre. Ed è qui che la Forza mostra a Rey come usarla, rendendola in grado di affrontare, pur senza addestramento, un nemico comunque indebolito.
Tutto il film potrebbe essere analizzato, sequenza per sequenza, in questo modo, cogliendo le differenze e il loro significato profondo e intenzionale all’interno di una struttura che non poteva non essere quella del primo film di George Lucas.
La grandezza dell’operazione e la sua riuscita le misureremo con i prossimi due Episodi, in cui Abrams dovrà probabilmente affrancarsi maggiormente dal modello, e in cui potremo verificare soprattutto lo sviluppo dei personaggi, specialmente quello di Kylo Ren che al momento, come antagonista, è piuttosto scarso specialmente di fronte al modello di Darth Vader. È affascinante che questa inadeguatezza rispetto al cattivo originale sia percepita anche dal personaggio, oltre che dagli spettatori. Qui la nuova produzione si è presa un rischio notevole: se il personaggio non avrà uno sviluppo interessante rimarrà un cattivo mediocre, con riflessi oggettivi sulla trama che ne rimarrà sbilanciata (è questo secondo me il difetto più vistoso di questo primo film, preso per se stesso.
Questo, e il modo insulso con cui Han e Finn riescono ad eliminare gli scudi della Starkiller: un buco di sceneggiatura decisamente più grosso di quello che consentì la distruzione della prima Morte Nera). Ma se Kylo Ren crescerà proprio grazie al confronto con Vader, compiendo il proprio “viaggio” proprio come gli eroi positivi, allora questo difetto si trasformerà in un ulteriore punto di forza dell’intera storia.
Non vedo l’ora di scoprirlo.
2 commenti
Aggiungi un commentona cagata pazzesca ribadisco il giudizio.
A me non è affatto dispiaciuto. Certo, c'è una percentuale pesante di fanservice, ma esattamente come c'era nei 2 star trek nuovi perchè jar jar abrams deve essere un nerdino, ma per il resto è una storia semplice e senza pretese, lascia aperta la porta ai sequel chiudendo comunque la trama.
E poi ci sono i pupazzotti e i modellini (o della computer grafica fatta con criterio).
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