Nota di apertura per il lettore: data la natura "maschia" dell'argomento, la recensione che segue avrà rimembranze testosteroniche che potrebbero ledere la sensibilità di un pubblico abituato a valutazioni di tipo filologico, che tengano in considerazione diversi punti di vista che non siano quello dell'autore. Mi scuso in anticipo per eventuali scorrettezze di genere, terminologie sessiste e la poca considerazione del comune senso del pudore. Giuro che, finito il pezzo, farò ammenda con una visione – modello Arancia Meccanica – del musical Mamma Mia e di qualunque titolo con protagonista Barbra Streisand.
Buona lettura.
Nel mondo del cinema e della televisione ci sono due filoni ben distinti che, non si sa bene perché, attraggono in modo fatale autori di tutte le generazioni e provenienze culturali.
Il primo ha un tema horror e nasce dalle allucinatorie visioni di H.P. Lovecraft che, all'inizio del secolo scorso, parlava di divinità siderali la cui sola visione mandava fuori di testa chiunque le vedesse e che avevano come unico scopo nella vita la distruzione di tutto, ma proprio tutto. Ovviamente sto parlando dei Miti di Cthulhu, uno dei filoni più imitati e osannati e che mai (MAI!) è riuscito ad avere una sua trasposizione, come minimo convincente, che non facesse proprio schifo di brutto.
Il secondo, molto più antico e letale, ed è quello che ha come personaggio Beowulf, un eroe nordico tutto d'un pezzo che ride in faccia alla paura, e appare più spaventevole degli stessi mostri che affronta. Un personaggio quanto di più lontano possibile dal politically correct che si possa immaginare. Mitologica la scena di quando, nel pieno della sua furia devastatrice, strappa un braccio a un mostro e lo mena con lo stesso, facendo un macello inenarrabile e costringendo il sovrumano Grendel – incarnazione perfetta del male puro – alla fuga. Leggendo quel passaggio, lo devo ammettere, ho pianto per il berserk che è in me e che altrimenti non avrebbe mai trovato il suo sfogo. Infatti, l'eroe di poche parole, che avrebbe un suo corrispettivo più in un Hulk che in un Capitan America, è bello proprio per questo motivo. Anche lui, a suo modo, è un puro. Per lui non esistono 50 sfumature di male: ci sono solo due colori, il bianco e il nero. E con questa ignorante quanto affascinante visione del mondo, affronta le sue avventure. Roba che Conan in confronto è un laureato in psicologia comportamentale.
Per chi conoscesse la genesi del personaggio eccovi una breve sinossi:
Beowulf è il personaggio principale del più lungo poema epico in lingua inglese arcaica che si conosca. In questa storia, il nostro eroe arriva in soccorso del re danese che vede il suo regno assediato dalle spaventevoli incursione di mostri e leggende viventi. Di Beowulf le trascrizioni non dicono molto, solo che è un uomo molto giovane, dotato di una statura e di una forza sovrumane, che lo fanno apparire quasi come un essere sovrannaturale, ostile e pericoloso. Nella sua avventura affronterà creature mitologiche e bestiali che minacciano la tranquillità di vichinghi rozzi e assetati di sangue e che, a causa di questi vili attacchi, non possono eseguire le loro divertenti razzie, ai danni dei pacifici popoli confinanti. Una brutta storia alla quale il nostro eroe porrà rimedio come una medicina amara ma essenziale.
Questa la cornice. E qui sta proprio il problema nell'affrontare un personaggio simile, perché la possibilità di rendere il granitico Beowulf una "fichetta" (perdonatemi il termine molto tranchant ma quando si parla di lui mi è impossibile tenere a bada il testosterone) è altissimo. Per dirla tutta: Beowulf sarebbe stato perfetto se fosse stato prodotto negli anni '80, dove gli eroi erano più o meno ignoranti e virili quanto lui e il massimo della battuta psicologica che potevano dire era un bel "È tempo di morire!" seguito da un colpo di bazooka, sparato da Chuck Norris (prototipo dell'uomo vero dell'edonismo reaganiano) in una stanza chiusa nel memorabile e, di nuovo, ignorante finale di Invasion USA. Che bei ricordi!
Ed eccolo il problema: in un periodo storico come il nostro dove tutti hanno paura di offendere tutti, un personaggio del genere può trovare una giusta collocazione solamente snaturandosi. La sensazione è identica a quella provata da John Spartan (l'eroe surgelato e interpretato da Sylvester Stallone in Demolition Man) che, riportato in vita trentasei anni dopo una strage di civili, si ritrova in un mondo che è praticamente quello che vediamo oggi. Un mondo distorto e irriconoscibile dove le hit parade sono piene di jingle pubblicitari, ci si pulisce il sedere con una conchiglietta, si fa sesso solo virtualmente e le parolacce sono state messe al bando: pena una multa salata. Sì, praticamente quello che succede oggi.
E questo Beowulf: Return to the Shieldlands ne è la riprova. Anche se nessuno aveva chiesto di produrla.
L'eroe che negli anni '70 sarebbe stato bollato, a buon diritto, dall'intellighenzia come fascista, oggi è praticamente irriconoscibile. Basta guardare la locandina dello show per capire che c'è qualcosa che non va.
Intanto, cosa diavolo ci fa un "moro" nella Danimarca dell'anno mille circa meno quasi?!? Roba che sarebbe stato più facile trovare un troll che un saraceno a spasso fra i boschi.
E qui la prima concessione al politically correct che tanto amiamo nelle odierne trasposizioni cine/televisive. Una riscrittura alla radice che sembra prendere lezioni dal deleterio metodo pedagogico permissivo del dottor Spock (che voi sapete non essere quello di Star Trek, ovviamente) che insegnava ai genitori una strategia zen, vietandogli di incazzarsi con i propri pargoli, anche quando questi facevano la pupù sul tappeto. Il risultato lo possiamo vedere oggi: generazioni di imbelli, completamente impreparati e pieni di paure nei confronti del mondo che li circonda.
Perché Beowulf, come ogni favola che si rispetti, deve essere tremenda, deve incutere timore, deve dare una lezione, anche schiaffeggiandoti di rovescio. In poche parole: deve far capire ai bambini che il mondo è potenzialmente un luogo pericoloso e affrontarlo senza le giuste armi è da incoscienti, per non dire idioti.
Quindi, il fatto di mettere in un periodo storico sbagliato un personaggio di colore è una concessione bislacca, un revisionismo storico che fornisce delle basi fallaci (e aggiungerei truffaldine) alle nuove generazioni. Un imbarazzismo del mondo bianco (e ancora oggi imperante) che deve fare ammenda a tutti i costi per le varie segregazioni e per il mancato riconoscimento dei diritti fondamentali della persona.
Ma questo non è il contenitore adatto per una simile presa di coscienza. Cosa succederà quando, infervorati dalla storia, i ragazzini andranno a leggersi l'originale Beowulf e non troveranno nulla di quello che è stato loro raccontato?
Ma lasciamo da parte per un attimo questa concessione al buonismo a tutti i costi. Il vero problema di Beowulf: return to the shieldland è l'impianto produttivo e narrativo a non funzionare.
Il primo, lo si vede subito dai titoli di testa che sono una scopiazzatura wannabe del più autorevole e aspirazionale Il trono di spade, diventato ormai unico e incrollabile riferimento per tutti i titoli fantasy da qui all'eternità (speriamo di no). E tu, produttore, devi essere davvero un'incosciente se speri che questo mezzuccio riesca a portarti il favore del pubblico.
E non parliamo della recitazione. Qui sta il peggio di questo prodotto che, spero, venga presto abbandonato e dimenticato nel cassetto immaginario degli errori produttivi. Tutti, e dico tutti, recitano sopra le righe, a petto in fuori e con attitudine e faccette moderne, in pieno spregio a quello che dovrebbe essere un adattamento (sì, ma tutto c'è un limite) di uno dei topos della narrativa mondiale. Non dico di parlare in terzine o con terminologie vetuste come "tenzone" o "villico" ma qui sembra che da un momento all'altro a uno dei protagonisti possa scappare un moderno "Ok, 'namo và!".
Tutti elementi che, già da soli, fanno alzare gli occhi al cielo, imprecando Thor, perché non ha ancora scagliato un fulmine che incenerisca questi sciagurati.
Ma non è tutto. Lasciamo perdere le parrucche che sono da cinema di serie B, anche le location, la mitica contea di Durham in Inghilterra, già utilizzata in produzioncine come Harry Potter e la Pietra Filosofale. Con tutto questo ben diddidio, anche le inquadrature riescono nella difficile impresa di rendere il tutto ripreso come nel giardino dietro casa. Imbarazzante e senza appello.
Non parlo volutamente delle creature nate dall'apporto della CGI perché su produzioni del genere devono essere una conditio sine qua non. A riguardo, posso solo dire che non sono loro il problema.
Per concludere questa filippica, vorrei aggiungere che fino a quando le produzioni non rinunceranno a guardare a Il trono di spade come unico e monolitico riferimento per i lavori a venire, senza tenere conto che la forza di quel titolo è proprio quello che tutti gli altri cercano di evitare (ovvero l'eccesso e il menefreghismo per il comune senso del pudore come cifra stilistica), tutti i loro sforzi per rendere i nuovi prodotti credibili rimarranno un vano tentativo di creare una nicchia biologica, in un mondo crudele e inarrivabile, per budget e per scrittura, al quale è perfettamente inutile approcciarsi se non con una buona dose di inventiva e spregio delle convenzioni. Ricordiamoci che è stato proprio Il trono di spade a reinventare gli opening credits, in un periodo in cui a loro erano destinati solo pochi e rarefatti secondi.
Beowulf merita molto di più di questo, visto che neanche la geniale penna di Neil Gaiman è riuscito a dargli (ricordiamoci del film in treddì di Robert Zemeckis) lo spessore che merita, nella misura in cui neanche a Cthulhu è stato permesso di presentarsi in tutta la sua orribile, mostruosa e blasfema imponenza da tutti coloro che si sono "permessi" di evocarlo e che, immancabilmente, hanno fatto la fine dei personaggi descritti dallo stesso Lovecraft.
Provate a guardare il pilot di Beowulf: return to the shieldland e poi, datemi torto. Aridateci gli eroi ignoranti!
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