Un racconto breve, forse troppo, che lascia l’amaro in bocca. Non saprei come altro descrivere la storia narrata da Luca Pappalardo nel racconto Storia di uno Scorpione, che si compone di soli tre capitoli e un prologo, per un totale di circa venti pagine.
Sebbene la narrazione sia fluente, arricchita dai dialoghi che calzano a pennello nelle bocche dei personaggi, e la storia lineare, l'impressione che ne ricava il lettore è di un testo debole e soprattutto confuso.
I capitoli, inoltre, sembrano essere posti in un ordine temporale caotico: per dare un giusto ordine cronologico prima viene il secondo capitolo, poi il primo e, infine, il terzo.
Balthasar, è un investigatore della capitale del Regno (non altrimenti specificato), chiamata Qadath, in cui gli uomini vivono suddivisi in Tre Anelli, che corrispondono a una sorta di classe sociale. Il Primo è per i ricchi, mentre il Terzo per i mentecatti. Qui vive anche Balthasar, uomo disprezzabile, che apprezza gli aspetti indegni della vita e si crede il padrone del Regno in cui spende e spande anche i soldi che non ha (spesso in alcol e in dolce compagnia).
Un giorno bussa alla sua porta un cliente facoltoso, un uomo del Primo Anello pronto a pagare molto bene per un lavoro che solo un investigatore può svolgere. Sarà durante questo incarico che i sentimenti di Balthasar, e la sua incuranza per ciò che provano le altre persone, verranno messi a dura prova. Può un uomo essere completamente impermeabile alle sofferenze altrui? Questo dovrete scoprirlo da soli.
Insieme a Balthasar troviamo Keria, la sua assistente di razza elfica. Come un’elfa possa essere finita a lavorare per un umano non ci è dato sapere, dato che il racconto breve non lascia spazio a dettagli più intimi. Dello stesso protagonista sappiamo solo quello che Pappalardo ci dice, ovvero che è un investigatore e che pratica l’alchimia, come lui stesso ammette nel secondo capitolo. All’inizio del racconto abbiamo solo una bozza di entrambi, pochi tratti fisici e il carattere è delineato solo da quello che il lettore può apprendere dal modo di parlare e litigare dei due. Solo alla fine si avrà un quadro più ampio dei due personaggi, che tuttavia restano persi nel presente, senza un passato che spieghi i motivi delle loro scelte.
Data la brevità del racconto non possiamo pretendere una storia complicata, e Pappalardo ha fatto una buona mossa nella scelta della trama. Quello che non si capisce, tuttavia, sono i passaggi logici che portano il protagonista in determinati posti. Semplicemente, il lettore subisce il cambio di scena, come un osservatore a teatro. La storia gli scorre davanti senza poter fare supposizioni su cosa accadrà dopo, non avendo a disposizione gli elementi per farlo. Il colpo di scena finale, ahimè, non è nemmeno tale: è solo la conclusione logica di tutto quello che viene messo sotto al naso a chi legge. Una sorta di legge matematica.
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