Veloce come il vento è un'altra boccata di aria fresca nel cinema italiano di questi anni.
Ben lungi dall'inseguire in modo totalmente imitativo il cinema di genere statunitense (non si pensi quindi a un Fast and Furious all'amatriciana), il film di Matteo Rovere racconta una storia autenticamente italiana, anzi romagnola, terra dova la passione per i motori si respira insieme all'aria.
La giovane promessa dell'automobilismo, Giulia De Martino (Matilda De Angelis), perde quasi subito il suo mentore, il padre Mario (Giuseppe Gaiani), mentre sta correndo la prima gara di un Campionato GT sulla cui vittoria il genitore aveva puntato tutto, arrivando a impegnarsi anche la casa.
Rimasta da sola alla guida di un team scioltosi come neve al sole, con il solo meccanico Tonino (Paolo Graziosi) ad aiutarla, nella vita della diciassettenne, pilota abilitata alle corse ma ancora senza patente per guidare su strade cittadine, e del fratellino Nico (Giulio Pugnaghi), ritornerà quindi, in una doppia veste di eroe riluttante e nuovo mentore, il fratello maggiore Loris (Stefano Accorsi), ex corridore la cui carriera si era bruscamente interrotta 10 anni prima, ormai caduto vittima della dipendenza dalle droghe insieme alla compagna Annarella (Roberta Mattei).
I tre fratelli dovranno imparare a conoscersi, e in particolare Giulia e Loris dovranno cercare di collaborare per riuscire nell'impresa di vincere il campionato, unico modo per salvare la loro casa dalle grinfie del team manager Minotti (Lorenzo Gioielli), con il quale il loro defunto padre si era indebitato.
Veloce come il vento è un altro di quei film con i quali il cinema statunitense ci ha inondato per anni, appartenenti al sottogenere del dramma sportivo, che abbiamo visto ambientati sui campi da football e baseball o sui ring della boxe. Qui sono le strade e i circuiti a essere pieni di ostacoli, ma maggiori saranno in realtà gli ostacoli di natura emotiva e personale che i personaggi dovranno affrontare, in un percorso di crescita che sarà l'unico possibile per superare le avversità.
Si perché in realtà la vittoria vera non sarà in pista, ma fuori, al di là del risultato sportivo.
Il film è liberamente ispirato alla vera figura del pilota da rally Carlo Capone, raccontata al regista e agli sceneggiatori dal meccanico Antonio Dentini, scomparso nel 2014 e al quale la pellicola è dedicata.
Nel mettere in scena il suo dramma Rovere si dimostra abilissimo nelle scene sportive, tutte credibili e spettacolari, più convenzionale ma non meno efficace nei momenti drammatici e da commedia.
La sceneggiatura è scritta con molta attenzione, fin troppa, al dosaggio degli elementi, al raggiungere i momenti di svolta all'esatto minuto in cui devono arrivare, risultando a volte prevedibile.
La buona prova degli attori, Accorsi in testa (è il caso di dirlo), oltre che la grande tensione delle scene di corsa, reggono e rendono credibile il film. Siamo davanti a un prodotto che intraprende strade ancora poco battute dal nostro cinema, con uno sguardo ai mercati internazionali, dove il film sarà presentato con il titolo Italian Race. Un tentativo da incoraggiare, una nuova occasione per il nostro cinema di affrancarsi dagli estremi del cinepanettone e del drammone esistenziale "due camere e cucina", con film d'intrattenimento "medi" ben fatti ed equilibrati.
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