Tim Burton. Un nome che già al pronunciarsi restituisce una certa dimensione mentale, poiché una delle figure artistiche più influenti e significative della cinematografia e dell’illustrazione contemporanea destinato alla gloria imperitura, nonostante qualche opera meno riuscita, nonostante il rischio di essere ormai un “tipo”.
In quel suo stile ormai definito e universalmente riconosciuto come burtoniano convergono i sentimenti, le speranze, le ispirazioni e il sentire non solo del giovane artista protonerd di Burbank, ma di intere generazioni di spettatori, oltre che di aspiranti artisti e cineasti.
Il volume di Giulio Muratore si pone l’intento di tracciare un profilo artistico di questo artista a tutto tondo, tra i registi più significativi del panorama fantastico contemporaneo, con un forte accento non tanto sulla sua produzione artistica bensì su quegli elementi del suo background che lo possano avere influenzato e caratterizzato al punto di renderlo il cineasta visionario dall’animo goticamente candido che buona parte della critica e del pubblico apprezza e stima.
Si nota, fin dalle prime pagine, la volontà di tracciare un profilo artistico-biografico – poetico sulla base della simmetria tra storia personale – opportunità – opere guardata da questo angolo fortemente introspettivo. Burton è il proprio cinema in pensieri, parole, opere, emozioni, omissioni, sfumature, colori, volti, e Muratore lo coglie e lo comunica con dovizia di particolari.
A fine lettura di questo libercolo di circa 130 pagine si evince che “il ragazzo (Muratore, appunto)” ne sappia: ha studiato, si è documentato meticolosamente (ne è prova la ricca bibliografia a fondo libro), si è appassionato al tema esprimendosi da un potenzialmente buon punto di osservazione da cui approcciare il mondo di Burton (fino a Dark Shadows). Dico potenzialmente perché si percepisce una certa acerbezza: seppure scorrevole, il saggio sembra a tratti un tema ben strutturato, dal sapore troppo accademico, con uno schema rigido, quasi un testo universitario da dover studiare e non solo leggere (il che, per le generazioni di studenti a venire, sarà di certo un punto a favore).
Certo, Tim Burton – From Gotham to Wonderland è un saggio, e forse è questo il suo scopo: essere articolato e approfondire con un certo scrupolo e dovizia di dettagli. Ma è un saggio su Tim Burton, in cui si passa dal suo immaginario, dal suo vissuto, dal suo punto di vista più intimista che quello più meramente tecnico in cui tuttavia è fondamentale addentrarsi e capirne quanto più a fondo possibile certe dinamiche. Questa accademicità forse voluta, forse resasi necessaria stride con la libertà senza compromessi di Burton.
Se la parte di ricerca è ottima, la formulazione di considerazioni e teorie non lo è altrettanto: alcuni concetti espressi rimangono un po’ forzati per rientrare nel già definito “schema rigido”, come per esempio la figura del cosiddetto outsider.
In ambito sociologico, un outsider è colui che si pone (o viene posto) al di fuori di un establishment rispetto a cui rappresenta un elemento esterno e ne ostacola l'operato; se consideriamo il concetto usato per indicare un soggetto emarginato che ha qualche probabilità di "riscatto" o un personaggio immaginario inizialmente presentato con tratti negativi ed affini al male, ci rendiamo conto che alcuni protagonisti dei mondi burtoniani presentati in questo capitolo sono stati un po’ tirati dentro per i capelli: uno per tutti il mondo dell’Aldilà di Corpse Bride (La sposa cadavere). E anche nell’analisi che fa di Frankenweenie non sono ben chiari i suoi intenti nella definizione di chi sia l’outsider.
Un’altra definizione a mio parere azzardata è voler definire il Cappellaio Matto di Alice come una figura transgender, restituendo un’immagine impropria e assolutamente forzata considerando il contesto, il personaggio stesso, e alla fine di tutto, anche gli sviluppi che questo ha avuto nel sequel Alice attraverso lo specchio, del 2016.
Semplicemente, nei mondi immaginati da Burton sono più i “normali”, gli “ordinari” ad apparire diversi, piatti, spesso senza carattere. Burton, come ha fatto anche con Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali, si è sempre battuto per la libertà di espressione personale, senza lasciarsi intimorire dalle convenzioni.
Tornando al libro, stilisticamente risulta un po’ acerbo a causa di una certa timidezza nell’esposizione, non del tutto ripulita da espressioni ipotetiche che minano quel senso di credibilità che il saggista vuole solitamente comunicare esprimendo il proprio punto di vista, nel caso del giovane Muratore, ribadisco, fortemente contestualizzato attraverso riferimenti di una certa autorevolezza e competenza; inoltre si è riscontrato qualche refuso che, a parere di chi scrive, è sempre fastidioso ritrovare (ma questa responsabilità non è solo dell’autore).
Bella la proposta di immagini scelte, peccato averle relegate a fine libro. Essendo suddivise in sottogruppi che portano gli stessi titoli dei vari capitoli, avrebbe potuto essere più dinamico suddividerle tra gli stessi.
Non sarebbe veritiero dichiarare che si tratti di un saggio da leggere tutto d’un fiato: è uno scritto complesso e ben documentato che necessita di una lettura attenta e consapevole, ma nel suo complesso è un buon lavoro di ricerca e analisi.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID