L'ultimo ricordo che il piccolo Ben ha della madre è collegato alla sua scomparsa e alla contestuale nascita della sorellina Saoirse.
Pertanto, sei anni dopo, non riesce a non colpevolizzare ancora la bambina. Se a questo si aggiunge la cupa desolazione di un padre che non ha ancora elaborato il lutto, il quadro è completo.
Un improvviso cambiamento, la nonna che decide di portare con sé in città i due bambini, ritenendo il faro in cui vivono inadatto alla loro crescita, sarà l'inizio di un'avventura dai toni fiabeschi e straordinari. Ben scoprirà un mondo di creature leggendarie, in cui i miti sono veri e tangibili, intraprendendo un viaggio per la salvezza di Saoirse ma anche, e soprattutto, di se stesso e del suo mondo.
Se i protagonisti sono bambini a confronto con l'aridità e l'incapacità degli adulti di comprendere il meraviglioso, i temi di La canzone del mare di Tomm Moore sono tutt'altro che infantili. Temi importanti, come il valore del sacrificio, veicolati con parole e immagini adatte alla comprensione dei bambini, con una chiave di lettura anche per gli adulti.
A contribuire in modo determinante al senso di stupita meraviglia del film, che immerge letteralmente in un mondo di creature e visioni straordinarie, c'è la tecnica d'animazione basata su disegni tradizionali in 2D. Ben lungi, in epoca digitale, da essere un esercizio di stile, ha invece una funzione narrativa decisiva nel proporsi come media privilegiato di una favola dal sapore antico ma sempre moderna, perché veicola concetti universali, validi ora e sempre.
Non siamo davanti a un'avventura eroica, a una quest da vincere, bensì a un viaggio che è anche interiore.
Un film da vedere perché parla all'infanzia senza essere retoricamente infantile.
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