La mitologia lovecraftiana è sempre stata spinosa da rappresentare visivamente. Come rendere al meglio delle opere la cui tensione narrativa è data più dal non visto che dal visto, più dall'evocato che dal rappresentato?
A questa domanda rispondono con Nyarlathotep lo sceneggiatore Rotomago (alla sua seconda prova con il mondo di H.P. Lovecraft, dopo U-29, adattamento del racconto Il Tempio) e disegnatore Jean Noirel (al suo debutto nel fumetto).
È un approccio solido, concreto. Basato su un racconto scritto nel 1920, nel quale il male ha una raffigurazione umana, tangibile, come un uomo alto e dalla carnagione scura, ma le cui azioni hanno conseguenze ben più ampie della modesta apparenza.
La città, nel racconto come nel fumetto, è un luogo spoglio e desolato, privato del suo brulicare di vita.
Il male incombe, forse più nelle teste e nelle visioni che in un luogo fisico.
Incerte e tremanti figure umane fronteggiano desolanti paesaggi fino al confronto con il caos, con rappresentazioni a piena pagina che le inglobano, aumentando la scala di rappresentazione fino al cosmico.
Il finale, senza speranze, ci mostra l'ombra del male, perché è il timore stesso della paura che è il seme della sconfitta.
A corredo della storia principale, illustrazioni in bianco e nero di versi di Lovecraft e la lettera del 1921 scritta a Reinhardt Kleiner, metatesto esplicativo che è persino più potente ed evocativo del racconto stesso. Una descrizione di Nyarlathotep che lascia il segno, così come lo lascia questa brillante e immaginifica trasposizione per immagini dell'universo di paure, angosce e incubi millenari di H.P. Lovecraft.
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